Nessun concreto approfondimento sullo scenario passato dell’Abcasia, la scarsa intraprendenza del regista che non insiste sulla guerra con la Georgia e un pizzico di reticenza da parte di Maxim non schiariscono il cielo dalle nubi che questi conflitti separatisti si trascinano per anni, come è evidente che l’appoggio della Russia non si deve né per uno spirito crocerossino né per convenienze commerciali (cosa mai potrà comprare/esportare la microscopica Abcasia?), ma io sono troppo lontano, nonché completamente all’oscuro, delle suddette dinamiche per cui preferisco accogliere con misurato piacere l’evidenziarsi del piano umano, e sociale, che sale a galla. I riscontri vocali di Max diventano un discorso personale impastato nella realtà vissuta, c’è spazio per riflessioni di ogni tipo, filosofiche (l’essere in un luogo e, nel mentre, essere altrove), storiche (spira della nostalgia per l’epoca sovietica), intime (il divorzio dalla moglie), professionali (la carriera in ascesa con le visite in Nicaragua e Venezuela), e a me, un mosaico di pensieri così strutturato, non dispiace affatto, il motivo, non posso girarci intorno, si colloca nella geografia d’appartenenza, non sarebbe stata la stessa cosa se l’azione si fosse svolta in Canada o in Australia, il fatto di fornirci una panoramica su un luogo dove il 99,9% di noi non metterà mai piede, e, per di più, attraverso un onorevole procedimento stilistico, mi ricorda che il cinema può sostituirsi ai nostri occhi per farci vedere l’inconoscibile, a volte perfino al nostro cuore per farci provare l’inconcepibile, non è il caso di Letters to Max, ma va bene comunque.
giovedì 31 agosto 2023
Letters to Max
mercoledì 30 agosto 2023
Flores
Il secondo capitoletto, narrato in francese, si asciuga un poco della forza ammaliante perché si occupa di un’azienda olandese che insediatasi su una delle isole ha cercato di sfruttare economicamente l’inondazione di ortensie. L’incantesimo si attenua ma, per dare a Jácome i suoi meriti, rimane una coerenza argomentativa perché sempre della suddetta vegetazione si parla, non si può affermare altrettanto dell’ultima sezione che invece si concentra su una specie di processione clandestina immersa nell’oscurità, parecchio suggestiva sebbene il tema-ortensia non ha la rilevanza vista in precedenza (notiamo giusto un mazzo di questi fiori che, dentro ad un gommone arancione sulla battigia, fa da cuscino alla statua di una Madonna). Centralità o meno, arrivati alla fine si ha comunque l’impressione di aver visionato un cortometraggio di buona, se non buonissima fattura, una finestra con panorama semi-alieno, un frammento che a prescindere dalle coordinate geografiche che dà (e le fornisce davvero con latitudini e longitudini) stimola l’importante area nascosta del sentibile spettatoriale. Eh già, tocca aggiungere un nuovo nome in lista.
martedì 29 agosto 2023
The Border Fence
Vero che il cinema del viennese cerca fin dagli albori di mantenere una distanza col girato e far sì che quella distanza venga colmata dalle riflessioni di chi guarda, non è altrettanto vero se si applica la suddetta teoria alla pellicola sotto esame, la ragione potrebbe essere data dall’urgenza sociale e politica della questione centrata che lo rende in buona sostanza un instant movie (ed è triste pensare che la qualità “instant” sia valida da almeno dieci anni e ad oggi non si sa se ci sarà una data di scadenza). Non è affatto un caso allora se Geyrhalter è presente come non mai nel documentario, o meglio sono le sue parole ad essere presenti (l’unica altra eccezione che ricordo è il già citato Über die Jahre), i pensieri dei vari abitanti che si susseguono sono stimolati dalle domande di chi sta dietro la mdp, ’sta volta non tagliate dal montaggio finale, sicché ecco emergere un dialogo dove anche Nikolaus diventa protagonista attivo (in un frangente non ce la fa a starsene zitto e rimembra alla signora che cosa combinò la chiesa cattolica con le Crociate). La complessità del problema-migranti è abissale, da un film del genere non mi aspettavo delle soluzioni, che, sai com’è, spetterebbero alle Istituzioni, ma il plausibile resoconto degli effetti scaturiti, e questo c’è perché lo spaccato cronachistico è, in scala ridotta, la riproposizione di un meccanismo che nei periodi recenti ha portato alla ribalta correnti reazionarie ed estremiste che fanno leva sulla forza pervasiva della paura, al momento non vi è nessuna orda di puzzolenti islamici che vogliono venire a mangiarci nel piatto, ad ogni modo, nel frattempo, un muro lo tiro su comunque. Per fortuna in Die bauliche Maßnahme c’è anche il riscontro di presidi d’umanità che ancora esistono e resistono, insieme ad un mucchio di altre cose che verranno a bussare alla vostra coscienza di cittadini europei ancor prima che italiani.
domenica 27 agosto 2023
Filha da Mãe
Una volta riusciti a districarci dalla piccola giungla amorosa a cui si aggiunge una spolverata crime, il film pian piano scopre le sue carte. Il centro della storia diviene il rapporto, ovviamente conflittuale, tra mamma e figlia, il legame, rimbombante nella rappresentazione teatrale dove proprio il genitore è in prima linea sul palco, si arroventa con la presenza di Álvaro, l’ex marito di ritorno dal Brasile che non sa se è il padre di Maria o meno (“potrebbe essere tua figlia...”). Canijo, proprio nel momento apicale della pellicola dove si verifica un evento mortuario, invece di approfondire la possibile faglia funebre, cambia pelle alla vicenda compiendo un’intrigante estromissione della materia concreta dalla trama fin lì osservata. Lo spostamento fisico di Maria da Lisbona alla casa del patrigno si rivela altresì un passaggio mentale ed emotivo che rende Filha da Mãe, da quell’istante in avanti, dannatamente più astratto di come era in precedenza. E c’è di che goderne. Già da principio si avvertiva una precisa attenzione ai colori (il rosso, non a caso, domina), con l’ingresso nell’abitazione-atelier i rimandi cromatici si moltiplicano e, inoltre, si geometrizzano (la verticalità delle pareti divisorie pare, in nuce, simile a quella di Sangue do Meu Sangue), la dimensione in cui approda Maria, peraltro maggiormente alienata da un maialino che scorrazza tra le stanze, è realmente separata da un contesto che comunque partiva col piede sull’acceleratore dello straniamento, è qui che il regista cammina sul filo del rasoio ammiccando ad una relazione consanguinea alla quale però non permette di avere piena catarsi. Con coerenza, senza didascalia, attraverso un’impostazione visiva che, contestualizzando, riesce tutt’oggi a fare una bella impressione, FdM , escludendo l’imbottigliamento introduttivo, è cinema autoriale che vale la pena andare a ripescare, e così capire meglio del perché il Portogallo sia da anni leader assoluto nel settore.
sabato 26 agosto 2023
The Astronomer’s Sun
Ipotizzo che la presenza in co-regia di Jessica Cope, una professionista che in futuro lavorerà in Frankenweenie (2012) di Tim Burton, abbia dato quel tocco di delicatezza che fa del film in questione una caramella di zucchero con giusto un lontano retrogusto amarognolo. La tecnica del passo uno rientra nell’ordinario, sicché è gradevole la cura degli immancabili dettagli che impreziosiscono l’allestimento scenico, l’impennata conclusiva è accompagnata da una schitarrata post-rock adeguata ad enfatizzare la situazione, poi il sacrificio del pupazzo e l’ultima lirica immagine delle comete nel cielo stellato fanno il resto, ovvero lambire la sensibilità di chi non ha chissà quali aspettative quando veste i panni dello spettatore se non quelle di provare qualche emozione, che poi sono le medesima necessità del sottoscritto, cambiano “soltanto” le modalità di divulgazione che in un oggetto così ridotto sono per forza di cose piuttosto elementari.
venerdì 25 agosto 2023
La deuxième nuit
Due scene gemelle mi hanno emozionato, penso non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che si tratta di due sequenze dalla cifra finzionale dove Pauwels ha ricreato un focolaio famigliare ripreso in maniera statica di spalle, eppure l’altezza che si raggiunge in ambo le parentesi non è nient’altro che il sintomo di una versatilità estetica in totale simbiosi con la scrittura che la accompagna. Possiamo e dobbiamo ancora stupirci di fronte ad un dispositivo che riesce a sostenere una narrazione in bilico tra particolare e universale ricorrendo a strumenti d’uso pressoché quotidiani, vecchie fotografie e cartoline (una è un disco-cartolina, ed è poesia), filmini di una vacanza in Spagna, il video di un anziano che porta a spasso il cane, ma anche (credo) lacerti di altre pellicole, dettagli di dipinti, citazioni letterarie (Robert Walser: <3), uno stralcio animato per simulare un temporale, ombre cinesi di un ulteriore storia nella storia... quanta ricchezza! Quanto amore! Sia nei confronti del mezzo che permette al belga di esprimersi, sia verso quell’allitterazione che prima di qualunque cosa che verrà dopo schiocca via dalle labbra, come una musica, come un chiarore: mam-ma. Tributo, memoir, cerimoniale, La deuxième nuit è una gemma che brilla delicata nel suo passaggio sulla Terra. Magistrale.
mercoledì 23 agosto 2023
Belle dormant – Bella addormentata
Scontato rimarcare che Belle dormant non può essere una mia cup of tea per manifesti gusti personali, ciò non toglie che, se la parte introduttiva illustrante la situazione nel regno di Letonia che delinea i personaggi e getta le basi per il viaggio verso Kentz è giusto carina per il tatto generale profuso da Arrieta, l’arrivo di Egon (ah, è un predestinato, si lascia andare tra le braccia di Morfeo fin dall’inizio durante la conferenza) ha un fascino particolare che sposta definitivamente il pallino del gioco sul tavolo onirico. Anticipata, non a caso, da fotografie frapposte nel montaggio che comunicano quel senso di immobilità che ammanta il luogo, l’incursione del principe che quatto quatto passeggia tra gli addormentati del reame è una micro poesia visiva o parimenti un micro tour in una galleria d’arte in live action, sono sicuro che questa scena si ritaglierà un angolino nella memoria di chi lo vedrà. Fedele al concetto di riammodernamento Arrieta si e ci diverte ponendo elementi estranei (il cellulare, gli aerei) in un mondo congelato per un secolo, il che mi è sembrata la proiezione concettuale del film in sé, ad una fola vecchia come il mondo Arrieta ha apportato una visione personale senza snaturarla, non sarà una pietra miliare della cinematografia però almeno depura lo sguardo dalle innumerevoli americanate da botteghino.
lunedì 21 agosto 2023
Another Day Without a Future, But What the Hell Another Day...
Another Day... rientra in una di quelle casistiche in cui l’aspetto raffazzonato e l’inconcludenza generale sono compensati da un’energia che medica le altrimenti sanguinanti ferite. Se dicessi che è un oggetto bello e gradevole da vedere verrei preso a ragione per un folle, è troppo una roba ancora acerba e studentesca per lasciare un segno, però che volete farci, io non disdegno mai degli esemplari di cinema che seppur costituiti da una micro-statura se ne fottono e imboccano strade che sono peggio del celeberrimo cavatappi di Laguna Seca. E sono talmente accogliente nei riguardi di titoli del genere, che mi faccio andare bene anche quando partono per la tangente fregandosene del povero spettatore alla mercé della tempesta, ad esempio qua, se dividiamo in due il flusso filmico, la seconda parte con la trasferta in un Paese latino (Santo Domingo?) manda al diavolo il discorso meta (ammesso che fosse mai iniziato...) per trasformarsi in un filmino amatoriale semi-vacanziero. Eppure sai lettore, c’è, come scrivevo prima, l’energia, sì, che non si sa da dove proviene e men che meno dove va, c’è e basta, per il resto un punto interrogativo che appare sullo schermo a fine visione credo che sia la migliore conclusione possibile.
domenica 20 agosto 2023
The Wolf House
Per evidenziare il suo collegamento alla dimensione storica La Casa Lobo è introdotto da un fittizio filmato d’archivio che puzza parecchio di propaganda, si tratta di un valido escamotage che conduce in un mondo lontano galassie dalla realtà in live action. I complimenti al duo dietro la mdp vanno fatti per come sono riusciti ad esaltare lo spazio abitativo ripreso, è incredibile come la casa (magari un banale modellino costruito ad hoc) perda da subito i connotati fisici, è una casa-dedalo che penso piacerebbe non poco a Mark Z. Danielewski (avete letto la riedizione firmata da 66thand2nd di Casa di foglie? No?! Che aspettate? È un capolavoro!), un progressivo svilupparsi di stanze esaltato dalla fluidità dei movimenti, quasi – o senza quasi – dei piano sequenza che forniscono una profondità quadrimensionale alle immagini. Non solo, perché la dinamicità degli ambienti è presa d’assalto dagli estrosi attacchi dei registi, non c’è mai stasi, dalla cassetta degli attrezzi vengono afferrati gli strumenti efficaci per dare al corpo del film uno, dieci, cento aspetti differenti. Quest’effetto mutevole, di incessante trasformazione, è un frullatore che ci sconquassa, tutto cambia nel giro di un’inquadratura, perfino María e i suoi figli-maiali, pur rimanendo riconoscibili, subiscono dei repentini processi metamorfici, dall’essere dei burattini di cartapesta a bambolotti di plastica, il flusso creativo è inarrestabile e germoglia ovunque all’interno del quadro. L’esito globale è un potente tour de force che ammoderna le caratteristiche della favola dark (alla fine parliamo dei Tre porcellini, o no?) e che sancisce, per l’ennesima volta, come certa animazione si faccia luogo autoriale dove convivono ricerca di metodo e spessore tematico.
giovedì 17 agosto 2023
La última tierra
Mi interessa però circoscrivere La última tierra non tanto da un punto di vista categoriale, dell’etichetta, quanto nella collocazione che ha dentro al sistema-cinema, perché riflettendo su ciò ho fatto a me medesimo delle domande. “Sistema” è la parola chiave, questo, sono pronto ad essere smentito ma a fine visione ho percepito la seguente impressione, è un prodotto da Festival, stop. È passato a Rotterdam e a Torino, ha raccolto diverse candidature (oltre che un premio proprio in Olanda) e immagino che abbia fatto compiacere i critici della loro sagacia mentre assistevano alle lunghe parentesi meditative. Tutto lecito e tutto inattaccabile, se non fosse che di oggetti festivalieri, francamente, ne abbiamo fin sopra i capelli. Perché poi si verifica il rischio che un titolo all’apparenza intransigente conformandosi ad altri suoi simili divenga quasi reazionario, e la cifra anticonvenzionale, di riflesso, si fa solo patina esterna in procinto di essere grattata via da qualche proiezione davvero profonda, davvero immersiva, davvero sanguinante. Non vorrei apparire un cazzo di saputello che snobba lo sforzo di un giovane regista perché il suo lavoro è passato attraverso rassegne cinematografiche non sufficientemente sotterranee (e Rotterdam ad ogni modo non è una roba da tappeti rossi), il fatto è che la cornice espositiva conta parecchio (credo che il discorso valga anche per l’arte pittorica e l’arte concettuale) e in taluni casi vi è una ricaduta anche sull’esibizione in sé. Allora, se si vuole prendere atto di un’eccellenza in La última tierra, l’impianto sonoro è dove direzionarsi, del resto Lamar è un professionista del settore avendo collaborato con Ricardo Alves Jr. per Tremor (2013) e con João Salaviza per Chuva É Cantoria Na Aldeia Dos Mortos (2018 – altro film dove ho patito il taglio da mostra... starò mica diventando allergico?).
mercoledì 16 agosto 2023
Ada Kaleh
Di e da Ada Kaleh non sappiamo altro a parte un prologo che si disallinea dal resto. Niente giravolta visiva ma il dettaglio di un muro le cui croste di pittura rimaste attaccate assomigliano ad una cartina geografica della Terra, a contorno un commento off in cinese o un’altra lingua orientale parla ripetutamente di “loro” e di dove potrebbero andare immaginando Paesi e luoghi lontani. È poco per dare nerbo al tentativo di interpretazione, ma l’imbeccata su una ricerca della spazialità parrebbe una strada percorribile, c’è nella proiezione mentale dei coinquilini verso un altrove e c’è nelle azioni concrete della Wittmann che calibra il suo occhio su traiettorie che squadernano la reale dimensione domestica. Ora, sempre andandoci cauti, sembrerebbe che la conclusione faccia convergere l’ambiente, e quindi lo spazio, esterno con quello interno, il procedimento usato è fin immediato: ad un vociare confuso viene alzato il volume come se fosse avvenuta una penetrazione, poi l’immagine si sofferma sulla finestra, qui si compie la piena fusione, in un frame coesiste l’esterno (il palazzo, l’albero) e l’interno (il riflesso dell’uomo sdraiato a letto). Che cosa ci guadagniamo da una visione del genere? Non lo so, ma il cinema non è compravendita sicché va bene anche viverlo in maniera disequilibrata, purché si annusi della fascinazione, della profondità, dello studio, che per chi scrive in Ada Kaleh non mancano.
martedì 15 agosto 2023
Sibérie
E allora cosa mi aspettavo di trovare dentro a Sibérie? Trattandosi di professionisti del settore (dimenticavo, lei è un’attrice marsigliese) speravo che tra le pieghe del quadretto intimo si potessero profilare dei ragionamenti intorno alla settima arte. Piccola delusione: non vi è granché a proposito, ad esclusione di qualche accenno, e uno riguarda la discussione sulla possibilità che Joana venisse scritturata in un lavoro di Bruno, il tema-cinema è ben lungi dal venire affrontato in maniera adeguata. Il palcoscenico se lo prende dunque il rapporto sentimentale dal quale affiora qualche incertezza da ambo le parti, è in sostanza un lanciarsi frecciatine, pizzicarsi, cercare conferme nell’altro che si dipana all’incirca per l’intera durata, se mi si chiedesse quanta interiorità, quanto amore (sicché, anche, gelosia, preoccupazione, dolore, gioia, emozione, ed eccetera all’infinito) il documentario lascia trasudare, la risposta è nell’ordine del poco/pochissimo. Il ritratto fornito dalla Preiss della sua liaison con un autore stimato e affermato (alla fine lo vediamo in un qualche Festival russo) avrebbe sortito gli stessi effetti anche se il partner fosse stato un ingegnere o un imbianchino (e idem rovesciando l’assunto, zero differenze se lei faceva l’impiegata o l’insegnante), il problema è che Sibérie zoppica anche se lo si intende in via generica un film su una coppia, diciamo, qualunque, l’approccio non memorabile e la scelta di galleggiare in un anonimo torpore argomentativo faranno in modo di far scivolare il film nell’oblio, dove tra l’altro è stato finora. Per la cronaca (rosa) Dumont e la Preiss si sono poi lasciati, metaforicamente la destinazione del titolo, fredda e lontana, ha fatto da profezia sul prosieguo della loro relazione.
lunedì 14 agosto 2023
The Raft
domenica 13 agosto 2023
Danny Boy
In un contesto del genere non mi è poi dispiaciuto l’uso del sonoro proprio perché è un non-uso. Danny Boy è per buona parte della sua durata un film silenziato, ad esclusione di qualche mirato ingresso musicale non ci sono ulteriori accenti, in questo modo si riesce a entrare in sintonia con un piccolo universo dove non esistono corde vocali. La situazione narrativa principale, ovvero l’incontro tra lui e lei, non credo abbia bisogno di grandi approfondimenti, è abbastanza palese nell’offrirsi a chi guarda, tuttavia non è da disdegnare la virata horrorifica (vabbè, lasciatemi esagerare) che Skrobecki compie, se l’atto di autodecapitarsi fosse avvenuto in un’opera di Tim Burton hai voglia per quanto ne avremmo sentito parlare! Il film sarebbe finito in una sorta di vissero felice e contenti quando invece è proprio al termine della proiezione che viene sferrata la zampata maggiormente indecifrabile: con la coppia che giuliva si incammina verso il sole, un aereo si schianta contro quella che è inequivocabilmente una torre che si staglia sull’agglomerato urbano. Perché inserire un riferimento dell’11 settembre in una produzione che è distante eoni da quel tragico evento storico? Non ne ho la benché minima idea, ma il fatto che ci sia non mi ha per nulla infastidito, anzi.
sabato 12 agosto 2023
Magdalena Viraga
Difettoso per tutti i difetti che si possono rintracciare in un lavoro giovanile lo sarà anche, però è piuttosto manifesta l’indole di un’autrice che non si vuole sedere e imbeve la propria creatura di un immaginario suadente, di sicuro femminile (in Phantom Love [2007] ritorneranno prepotenti questi echi muliebri), tangente il Mistero della Donna impersonificata da una Maddalena moderna, e altrettanto di sicuro religioso perché c’è una chiara insistenza su una dimensione cristiana. Il mix, se trasportato negli anni ’80, mi è sembrato parecchio convincente e non agilmente esauribile ad una visione superficiale anche perché viene aumentato il carico della suggestione con una ricostruzione del misfatto a sua volta frammentata, irrazionale nel rivelarsi con l’apparizione di una tizia nuda che lanciandoci in una interpretazione potrebbe essere la proiezione psichica di Ida, e surreale con l’alibi che la Nostra asserisce, una matassa di viscoso e organico sangue mestruale. E poi la Menkes a riprova di stare a suo agio nei panni di fattucchiera, sa come colpire l’occhio disseminando la pellicola di istantanee dal forte impatto, l’incipit ardente è un indizio che al di là dell’assonanza con la palma di Queen of Diamonds (1991) diventa fiammeggiante conferma con l’inaspettata nonché eccellente sequenza dell’“i am a witch” dentro la chiesa, e parimenti i confronti con l’amica-collega a bordo piscina o i flash dove Ida corre e urla lungo un prato sono le note che arricchiscono uno spartito più alchemico che musicale. Quindi, sappiate che: Nina Menkes incontra i miei favori.
venerdì 11 agosto 2023
The Iron Ministry
Da buon antropologo Sniadecki non si lascia sfuggire l’occasione di incunearsi nel tessuto umano che si snoda di vagone in vagone. La panoramica è ampia, in generale si può dire che l’attenzione è rivolta ai ceti meno abbienti, solo verso la fine si nota quello che è un treno ad alta velocità, praticamente vuoto, pulito e silenzioso, probabilmente con tale conclusione si è voluta dare l’idea di uno Stato proiettato verso il futuro, ad ogni modo a noi interessa maggiormente aggirarci tra le carrozze iper-assembrate nemmeno fossimo in Snowpiercer (2013) e captare le voci che si mescolano, che discutono di religione, che sperano di trovare un buon lavoro nella città in cui si stanno dirigendo, che tentano di vendere i propri prodotti, che sono spaventati dall’acquisto di una casa, unico viatico al matrimonio per soddisfare il volere della suocera. Pur non eccellendo per ordine e geometria, il cinema di The Iron Ministry è un notevole squarcio nel concreto con annesso approfondimento sociologico, una manifestazione sporca, tremolante. Viva. Grezzo ma bello, si-può-fare.
giovedì 10 agosto 2023
Lloren la locura perdida de estos campos
Se il nocciolo teorico del film è cariato a mio avviso anche ciò che gli orbita intorno non ce la fa a sganciarsi dalla “normalità”. Vanno bene le ellissi che scombinano gli eventi (però in un lavoro di appena quindici minuti si rischia la sbrigatività, vedi il brusco salto tra la morte e il cane che raspa via la terra dalla tomba), e va altrettanto bene l’ipotetico simbolismo che, mia personalissima ipotesi, vedrebbe nell’animale un possibile traghettatore di anime, e non è da meno, inoltre, l’apertura del finale che semina il dubbio sulla dimensione effettiva dei fatti: è successo davvero? È stato un sogno? Va tutto alla grande perché tutto è lecito quando si tratta di modellare la materia cinematografica, la differenza sta nel risultato ottenuto inequivocabilmente figlio dell’approccio utilizzato, purtroppo non c’è un’altra via di uscita. E con una banalità del genere porgo cordiali saluti, ci si vede alla prossima puntata.
mercoledì 9 agosto 2023
Blue Bird
Non sarebbe così sbagliato intendere Blue Bird un Munyurangabo (2007) irrorato di realismo magico, il viaggio lungo un giorno compiuto dai bambini alla ricerca del volatile perduto è un percorso che segue i ritmi della fiaba, lo fa con passo felpato, senza calcare troppo la mano, però più la narrazione si sviluppa e più si ha l’impressione di stare dentro ad una favola. Gli elementi che tengono il film ancorato ad una sorta di reale sono dati dal tasso di verità sprigionato dal set desertico, dagli esseri umani reclutati per la prima e ultima volta “attori”, dal folklore, dall’eccezionalità di essere in Togo al fianco di due bimbi dalla pancia gonfia e le gambe secche. Non ci sono esplosioni di fantasia, piuttosto con un procedimento che molto alla lontana ricorda un po’ Weerasethakul, vengono schiusi dei micro-sipari che danno su altri mondi, l’incontro con i nonni defunti per la naturalezza con cui avviene è apprezzabile, il contrario dell’agguato da parte della tribù incarognita col papà falegname che invece sa di forzatura. E quindi Bafiokadié e Tené camminano, giocano, si divertono, imparano, si spaventano, piangono: vivono. Senza girarci attorno il succo è: anche se raffigurato nello spazio di ventiquattro ore, l’itinerario è esistenziale nonché formativo, aspetto sottolineato incautamente con la scena dei vestiti che d’improvviso sono diventati stretti.
Ecco, penso e spero che le parole del sottoscritto siano state sufficienti ad inquadrare il lavoro del belga (girato a meno di trent’anni...), non un esemplare di cinema in cui riporre grandi speranze, abbastanza “facile” sfarinando via la patina esterna e magari anche leggermente ingenuo in alcuni frangenti, però il suo voler aspirare ad una certa autorialità con una discreta sfrontatezza me lo fa apparire simpatico (forse la presenza dei due marmocchi incide sulla mia benevolenza) e meno fragile di come probabilmente è (però la sequenza con l’orda di ragazzetti non ancora nati ha un perché e un percome), sono ad ogni modo le prove generali in vista di una maturazione professionale che si verificherà nel successivo e già menzionato Lucifer, un film che invito caldamente a vedere.
martedì 8 agosto 2023
Drift
È banale sottolineare quanto sia decisivo l’ambiente nell’intelaiatura estetica (e semantica) di Drift, è il terzo personaggio (nonché, probabilmente, quello principale) che instaura una dialettica visiva all’interno della diegesi, semplicemente le immagini sembra che si e ci parlino: la spiaggia immersa nell’oscurità notturna e un frame dopo il biancore delle lenzuola dalle ondose increspature, Theresa intrappolata in una piscina, in una automobile, in una doccia, Theresa che dorme nella cabina e un secondo dopo ecco l’esplosione salina, circa venti minuti di totale ipnosi che avrebbero meritato di essere visti su uno schermo adeguato, qualcosa di già assaporato in Muito Romântico (2016) ma con meno intensità, un momento di alta stimolazione sensoriale, una dilatazione che sembra protrarsi verso l’infinito e che invece finisce con una magistrale sovrimpressione, dall’acqua alla terra, ancora istantanee in dialogo, in incontro, in fusione, un suolo marziano e l’affollata sala d’aspetto di una stazione ferroviaria. Il percorso emotivo esce dalla singola persona per riflettersi nello spazio circostante, oppure è quest’ultimo a convergere nell’animo della ragazza, è una proiezione dentro alla proiezione, il resoconto di un itinerario circolare che sfuma nella nebbia e che da lì fa ritorno: nel finale la maggior parte delle recensioni hanno evidenziato il tributo a Wavelength (1967) di Michael Snow, e non posso che farlo anche io, è una conclusione magnifica che concettualizza la transizione atlantica e colma la distanza nei riguardi di un affetto, con nostalgia uno zoom va in avanti fino a riempire il quadro, ed è ancora a-mare, flutti che proseguono anche nella grafica dei titoli di coda.
Drift, ditelo, fate vibrare la lingua nel palato, soffiate via il fiato, liberate le consonanti nell’aria, drift: brezza, gelo all’alba, colonie di formiche, paesaggio che scorre rapido al di là del finestrino, drift, la condivisione di una piccola vacanza, la separazione, la solitudine, il sogno, l’introspezione, nostos: Drift.