Werner Herzog
2004
Mondadori; 347 p.
2004
Mondadori; 347 p.
Una grossa falena marrone si è conficcata nel liscio pavimento di calcestruzzo come volesse penetrare nella crosta terrestre, e sbatteva le ali con tanto impeto che quel rumore sordo accompagnava il crepitio elettrico e lo scricchiolio del neon morente come una sinfonia che risuonasse dalle viscere di un cosmo orripilante, un cosmo che si era preparato per l’ultimo raccolto.
L’immagine di questa falena che tenta con tutte le sue forze di penetrare il terreno mi piace molto perché la vedo un po’ come una metafora della poetica di Werner Herzog.
La stessa voglia di superare il limite, di sfidare la natura e se stessi, si esplicita in tutta la sua forza con il film più importante del regista bavarese: Fitzcarraldo (1982).
Questo libro altro non è che il diario tenuto da Herzog durante la sua lavorazione; comincia il 16 Giugno 1979, e termina il 4 Novembre 1981, più di due anni in cui il regista ha dovuto far fronte ad imprevisti di ogni sorta: dalla burocrazia peruviana all’impervia foresta vergine, dalle escandescenze di Kinski al sogno più grande, quello di portare una nave su una montagna.
Oltre ad essere un grande regista, Herzog non scrive affatto male.
L’ambientazione da lui descritta ha un fascino soprannaturale, leggendo La conquista dell’inutile avevo la sensazione di avere tra le mani un libro di Marquez o dell’Alliende. Ogni pagina, ogni riga, è avvolta da quel realismo magico proprio dei grandi narratori latini: la foresta silenziosa, gli animali sornioni, il fiume immobile e poi d’improvviso il temporale, gli indio ubriachi marci dai nomi improbabili e infine Kinski che sbraita contro il nulla, sono tutti elementi affascinanti che compongono un quadro suggestivo, penso molto lontano da un qualunque set cinematografico dei giorni nostri.
Il numero di pagine non è esiguo e la quantità di nomi, tra attori, operatori, comparse, ecc., che Herzog cita è notevole, disorientando un pochino il lettore. Ma essendo un diario ciò che conta non sono tanto gli avvenimenti, ma i pensieri di chi l’ha scritto. E in certi passi si nota tutto lo scoramento di Herzog nel trovarsi di fronte ad ostacoli apparentemente insormontabili (Kinski sopra tutti). A tratti la sua scrittura si fa visionaria come nei suoi documentari più estremi, in un meraviglioso alternarsi fra realtà e sogno.
È, insieme a Burden of Dreams (1982), fondamentale se si vuol conoscere la storia di questo film. Fra l’altro emergono delle chicche niente male: ad esempio si viene a sapere che Herzog, in visita da Coppola, assistette alle riprese di Shining (1980) e scambiò qualche battuta con Kubrick, senza riscontrare troppo feeling, e con Jack Nicholson, il quale gli confessò che avrebbe voluto fare qualcosa con lui, a patto però di non girare nella giungla.
Consigliato a tutti i fan di Herzog, ma perché no, anche a chi Herzog non sa nemmeno chi sia.
L’immagine di questa falena che tenta con tutte le sue forze di penetrare il terreno mi piace molto perché la vedo un po’ come una metafora della poetica di Werner Herzog.
La stessa voglia di superare il limite, di sfidare la natura e se stessi, si esplicita in tutta la sua forza con il film più importante del regista bavarese: Fitzcarraldo (1982).
Questo libro altro non è che il diario tenuto da Herzog durante la sua lavorazione; comincia il 16 Giugno 1979, e termina il 4 Novembre 1981, più di due anni in cui il regista ha dovuto far fronte ad imprevisti di ogni sorta: dalla burocrazia peruviana all’impervia foresta vergine, dalle escandescenze di Kinski al sogno più grande, quello di portare una nave su una montagna.
Oltre ad essere un grande regista, Herzog non scrive affatto male.
L’ambientazione da lui descritta ha un fascino soprannaturale, leggendo La conquista dell’inutile avevo la sensazione di avere tra le mani un libro di Marquez o dell’Alliende. Ogni pagina, ogni riga, è avvolta da quel realismo magico proprio dei grandi narratori latini: la foresta silenziosa, gli animali sornioni, il fiume immobile e poi d’improvviso il temporale, gli indio ubriachi marci dai nomi improbabili e infine Kinski che sbraita contro il nulla, sono tutti elementi affascinanti che compongono un quadro suggestivo, penso molto lontano da un qualunque set cinematografico dei giorni nostri.
Il numero di pagine non è esiguo e la quantità di nomi, tra attori, operatori, comparse, ecc., che Herzog cita è notevole, disorientando un pochino il lettore. Ma essendo un diario ciò che conta non sono tanto gli avvenimenti, ma i pensieri di chi l’ha scritto. E in certi passi si nota tutto lo scoramento di Herzog nel trovarsi di fronte ad ostacoli apparentemente insormontabili (Kinski sopra tutti). A tratti la sua scrittura si fa visionaria come nei suoi documentari più estremi, in un meraviglioso alternarsi fra realtà e sogno.
È, insieme a Burden of Dreams (1982), fondamentale se si vuol conoscere la storia di questo film. Fra l’altro emergono delle chicche niente male: ad esempio si viene a sapere che Herzog, in visita da Coppola, assistette alle riprese di Shining (1980) e scambiò qualche battuta con Kubrick, senza riscontrare troppo feeling, e con Jack Nicholson, il quale gli confessò che avrebbe voluto fare qualcosa con lui, a patto però di non girare nella giungla.
Consigliato a tutti i fan di Herzog, ma perché no, anche a chi Herzog non sa nemmeno chi sia.