venerdì 31 ottobre 2008

Mondo Topless

Russ Meyer è un nome sconosciuto ai più. Questi più, se sono schiavi della ghiandola mammaria, farebbero bene a recuperare le sue opere in quanto egli stesso diceva: “Io giro solo film di tette.” (Wikipedia docet).
Nel 1965 diresse Faster, Pussycat! Kill! Kill!, il suo film più famoso rivalutato negli ultimi anni fino a diventare un cult. Ma al tempo fu un flop colossale, così Meyer per cercare di riparare al danno nel ‘66 monta alcune scene di un suo mondo-movie girato in Europa, insieme ad una serie di interviste ad alcune giunoniche ballerine. Il risultato è Mondo Topless.
Che cosa si vede in Mondo topless? È presto detto. Solo ed esclusivamente tette. Da sopra, da sotto, di lato, piccole, enormi, sode, cadenti. È il tripudio del seno al pari de L’elogio del culo di Brass.
Le proprietarie di queste poppe non fanno altro che ballare senza reggiseno per tutti i 57 minuti nelle aree geografiche più disparate: dalla battigia di una spiaggia, ad una piscina; da un bosco alla prossimità di un binario ferroviario. Loro ballano, e con esse le loro tette, in un movimento continuo e ipnotico, ma anche un po’ tedioso ad essere sinceri.
Sì, vedere un bel seno è sempre piacevole, però si ha la sensazione che dieci minuti sarebbero bastati e avanzati, invece bisogna sopportare le loro disquisizioni che a distanza di 40 anni perdono la forza emancipatoria del tempo. E allora sapere che la biondina dorme senza reggiseno, o che un’altra tipa ha più di tre uomini e riesce a soddisfarli tutti, mi farà lo stesso dormire sonni tranquilli. È un po’ il discorso di Pink Flamingos (1972), il passare degli anni ha sminuito la loro effervescenza arrivando ai nostri occhi fuori tempo massimo.
Ha il pregio però di distaccarsi dai mondo-movie come Magia nuda(1975), qui di schifezze non se ne vedono, a meno che uno non odi le tette, ma quello è un altro discorso.

giovedì 30 ottobre 2008

Le porte del silenzio

Come recita la copertina del dvd “l’ultimo straordinario film di Lucio Fulci”. Forse non così straordinario ma incontrovertibilmente l’ultimo, purtroppo.
Per gli strani arabeschi del destino il film figura come un epitaffio del regista, una specie di iscrizione funebre che cerca di superare la morte illudendosi la vita, ma che dovrà arrendersi di fronte al grande mistero questa volta impresso su una targa: D.E.A.T.H.
Il Fulci crepuscolare abbandona splatter e violenza sobbarcandosi l’onere di scrivere il soggetto e la sceneggiatura, creando un film profondo, non so se più bello o più brutto ai suoi precedenti, sicuramente diverso. Paradossalmente però la pellicola, prodotta da Joe D'Amato, è rimasta nell’oblio per molti anni a causa di una distribuzione scellerata.

C’è un incidente stradale, un’orologio segna le sette e trenta.
Il protagonista della storia è Melvin Deveraux (John Savage, Il cacciatore, 1978), un uomo di affari che dopo aver visitato la tomba del padre si mette in viaggio per tornare a casa. Lungo il tragitto incontra un carro funebre che gli sbarra la strada, inizia così un lungo inseguimento inframezzato dalla misteriosa presenza di una donna che dice di volere Melvin.
C’è un incidente stradale, un orologio segna le sette e trenta.

“…quando varcherai le porte del nulla, nessuno ti sarà vicino: solo l’ombra della tua morte…”
Così dice Giovanni nel IV libro de l’Apocalisse e così si conclude il film. L’ultimo istante di vita di Melvin si dilata in un’ora e mezza dove l’uomo rincorre senza riuscirci un carro funebre che porta il suo feretro. E quindi la struttura circolare su cui poggia l’intera vicenda è una riflessione davvero profonda sulla morte e sulla vita, ironica e onirica allo stesso tempo. Tempo che si cristallizza nelle lancette, ma non per Melvin che continua ad inseguire ossessivamente quel carro per dimostrare a se stesso che è vivo, mentre quel carro altro non è che la sua morte.
Molto bello, molto poetico. Ma anche un po’ fiacco, difettando in coinvolgimento, forse saranno quelle lunghe riprese di Savage che macina chilometri su chilometri, e derivativo nella struttura, forse sarà quell’inseguimento che ricorda molto Duel (1971). Anche la fotografia è il risultato di immagini un po’ dozzinali senza grossi acuti né scene memorabili, e pure la trama appare piuttosto prevedibile, ma forse questo era voluto…

Come si direbbe di una donnina in vetrina ad Amsterdam: si lascia guardare, pur con qualche riserva.

martedì 28 ottobre 2008

Zoo

Kenneth Pynian probabilmente non si sarebbe mai immaginato che il 2 Luglio del 2005 la sua vita si sarebbe fermata per colpa di un cavallo. E se anche fosse, un decesso per peritonite acuta a causa della perforazione del colon sarebbe stato l’ultimo dei suoi pensieri, ma d’altronde come si può avere paura di ciò che si ama?

In breve: nello stato di Washington un gruppo di zoofili organizza un week-end a luci rosse in una piccola fattoria. Si ride, si beve, si scherza e ci si fa montare da un cavallo. Pynian, un ingegnere sposato con figlio, ci rimette le penne. Il cavallo in questione, un Arabian e quindi un bel bestione, ci rimette il suo arnese in quanto dopo i “rapporti” aveva sviluppato strani comportamenti sessuali come leccare il pene ad un pony.

Beh, sarebbe stato facile per Robinson Devor scadere nel cattivo gusto. Probabilmente nelle mani sbagliate ci sarebbe stata una speculazione sulla vicenda che avrebbe trascinato il film in una dimensione pruriginosa, cosa che Polselli aveva puntualmente fatto nel 1973 con Oscenità. Invece Zoo, a dispetto della materia che tratta, è un film di gran classe. Anche per un profano come me salta subito all’occhio la bravura del regista nel maneggiare la mdp nelle splendide panoramiche della cittadina, a volte sul tramonto altre volte all’alba, trasmettono un senso di inquietudine, di disagio, di ansia.
Apprezzata la scelta di non far vedere praticamente nulla di esploitativo, esclusi alcuni veloci fotogrammi che mostra la polizia ai proprietari della fattoria; il video del fattaccio se lo volete vedere ciccate qui… eeeeh col cavolo questo è un blog serio!, comunque il video gira per davvero in rete, l’ho visto e devo ammettere che è bello tosto, sempre che si tratti realmente di Pynian.
I vari componenti del gruppo, che usano nomignoli tipo Coyote, Mr.Hand e Happy Horseman sono ovviamente impersonati da attori, mentre le riflessioni che accompagnano tutto il film sono state registrate da interviste ai reali protagonisti. Però se non si ha dimestichezza con l’inglese non è facile stare dietro a ciò che dicono anche perché non essendoci interlocutori visibili si perde tutta la comunicazione non verbale.

Locandina stupenda, una delle migliori che abbia mai visto, all’altezza della forma complessiva della pellicola che risulta un prodotto davvero ben confezionato; e pur trattando di zoofilia non scema nella volgarità gratuita, mostrando non solo il mondo esteriore dei protagonisti ma anche quello interiore, non riuscendoci appieno forse, ma il tentativo resta lodevole.

sabato 25 ottobre 2008

Terror! Il castello delle donne maledette

Credo che poche persone siano a conoscenza del fatto che nel 1973 tale Robert Oliver, aka (forse) Oscar Brazzi, autore di alcuni film erotici tra il '60 ed il '70, decise di girare questo Terror! Il castello delle donne maledette prendendo spunto da Frankestein (1818), l’immortale romanzo di Mary Shelley.
Infatti il conte protagonista del film, interpretato da Rossano Brazzi, fratello del regista e attore di un certo calibro, ha come cognome la creatura creata dalla penna della scrittrice inglese. Tale conte è dedito ad esperimenti poco ortodossi come riportare in vita i morti.
E fin qua potrebbe essere tutto nella norma.Purtroppo Oliver infila nella trama gotica, con ambientazioni neanche troppo malvagie (a parte il laboratorio forse…), un gigante troglodita e un uomo di Neanderthal impersonato dall’attore più neanderthaliano che sia mai esistito: Salvatore Baccaro, che si presenta come Boris Lugosi. Spettacolo.
In più nel castello del conte si aggirano individui sinistri come un nano con evidenti problemi di deambulazione, e un gobbo bruttissimo che però s’intende con la procace cameriera. E proprio il nano sarà accusato dal conte Frankestein di tradimento con la polizia in seguito al trafugamento di un corpo nel cimitero per uno dei suoi esperimenti. Così il nano incazzato trova rifugio nella caverna dell’uomo primitivo e con esso pianifica la vendetta. Quindi potete immaginarvi cosa possono combinare un nano e Baccaro versione Fred Flistones, roba che Beatrix Kiddo gli fa una pippa.

Personalmente ho trovato un indice di “trashosità” molto più elevato in Nuda per Satana (1974) o Riti, magie nere e segrete orge nel trecento (1973). Qui, seppur nella goffaggine in cui il film annaspa, ho ravvisato un minimo di sottotesto: striminzito, risibile, misero, ma l’ho trovato. Nei due film precedenti no.
Un sottotesto che viene travolto dalla storia aberrante di cui fa parte, ma che è presente ed è riassunto dalla frase finale di browninghiana memoria: “Era un anormale, ma forse tutti siamo un po’ anormali.” Che suona gratuita e immotivata, che fa ridere nel contesto in cui viene pronunciata, che sembra intrisa di una solennità fuori luogo. Però c’è, ed è sempre meglio che niente.

Ma è solo un fuoco di paglia. Poi vedendo fulmini disegnati, tette e culi, i piedi di Baccaro, il cranio pelato del gigante, Rossano Brazzi che cerca di essere nella parte, donne maledette latitanti e il nano guardone, non posso che arrendermi di fronte a cotanto trashume.

Però c’è di peggio nel peggio.

giovedì 23 ottobre 2008

Padre nostro


Il mondo per lei è oltre quella pellicola di plastica attaccata a del cartone colorato che la inscatola proteggendola, ma è così sottile questo involucro che quando sente cigolare la porta della sua cameretta inizia a pregare stringendo forte il rosario tra le manine di plastica.
Il mostro entra silenziosamente trascinandosi sulle molli gambe, e le flaccide braccia lungo i fianchi. Dalla sua bocca, da cui gorgoglia della bava bianca, escono sempre le stesse identiche parole: ” Sono venuto a rimboccarti le coperte...”
È solo a quel punto che la piccina comincia la sua preghiera.

Padre nostro, che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,

I viscidi tentacoli del mostro s’insinuano sotto le coperte lambendo il pigiamino di stoffa ricamata, la lingua rosea e appuntita inizia a ripulire la bava che aumenta spropositatamente sulle sue labbra. Scivola come un mollusco dentro al letto, il respiro si fa affannoso tanto che la piccola quasi non riesce a respirare dal fetore di alcool che sprigiona il suo alito, allora lei chiude i suoi occhi azzurri di ceramica e continua a pregare.

venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà
come in cielo così in terra.

“Adesso arriva il trenino per la mia bambolina.” La voce del mostro è spezzata, singhiozza, sembra quasi che soffra, i pori dai quali spurgano matasse di pus giallo pulsano come cuori impazziti, il suo esile corpo è teso. “Ciuff, ciuff, arriva…arriva”.
Lei non apre gli occhi, sgrana il rosario e prosegue la sua preghiera.

Dacci oggi
il nostro pane quotidiano,
rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo
ai nostri debitori

Ora l’essere spregevole emette versi che non provengono da questo mondo, si muove freneticamente tenendo ben salde le sue dita palmate sul materasso, ogni tanto abbassa il collo sottile leccando il viso della piccola dal mento alla fronte e viceversa, sfregando sulla plastica liscia.
“Ti piace il trenino vero?Ti piace eh?”. Il suo è un sussurro, ma ha la potenza di un boato.
L’ultimo urlo è dirompente, accumula tutta l’energia che gli rimane e la concentra nel bacino, dando un’ancata poderosa che fa sbattere la spalliera del letto contro il muro, poi si affloscia svuotato sul corpicino della bambola come una medusa sulla risacca.
Per la piccola non è ancora arrivato il momento di rivedere la luce.

e non ci indurre in tentazione

“Non spaventarti, io lo faccio perché ti voglio bene, ricordatelo, ti voglio tanto bene.”
Il mostro si rialza a fatica e scende dal letto tirando un gran respiro con i suoi polmoni marci, esce dalla stanza lasciando dietro di sé una scia appiccicosa come quella di una lumaca.
Solo in quel momento la bambolina riapre gli occhi e allenta la morsa delle mani, le palline del rosario hanno solcato la sua pelle, il mattino dopo questi segni saranno spariti, quelli nell’anima, invece, resteranno per sempre.

ma liberaci dal male.

Amen

mercoledì 22 ottobre 2008

La tarantola dal ventre nero

Thriller all’italiana che ricalca fin dal titolo la trilogia argentiana degli animali senza ottenere gli stessi risultati (e te credo), sia dal punto di vista qualitativo, mi è parsa molto più fiacca questa pellicola di Paolo Cavara, che da quello della tensione, qua praticamente assente.
E anche se il cast è composto da nomi “pesanti” - Giancarlo Giannini non proprio memorabile, Stefania Sandrelli, mai piaciuta come attrice al sottoscritto e Barbara Bouchet, da sturbo per ogni cinefilo onanista i suoi primi e unici dieci minuti – non riesce a far decollare il film che ristagna nella prevedibilità.

Alcune donne vengono uccise da un assassino che prima le immobilizza con uno spillone per l'agopuntura, e poi le sventra con un coltello proprio come le vespe fanno con le tarantole. Il filo conduttore che le lega tutte è il centro di bellezza che frequentano.
Il commissario Tellini (Giancarlo Giannini) indaga su questi omicidi, fino ad esserne coinvolto in prima persona e insieme a lui sua moglie Anna (Stefania Sandrelli).

C’è un goccio di sangue in più rispetto ad altri gialli italiani, ok ne prendo atto. Ma il resto?
Il resto galleggia nella mediocrità. Non che sia inguardabile ma manca della classe estetica di Fulci, dell’inquietudine di Bava e dell’angoscia di Argento.
Ho apprezzato alcune soluzioni tecniche del regista come quando inquadra le mani dell’assassino appoggiate sul telefono e subito dopo con un allargamento del campo visivo ci si accorge che le mani guantate sono quelle del poliziotto che cerca impronte digitali. Oltre a questo però non vi è originalità, compresa la sceneggiatura che ha dei tempi morti un po’ irritanti in cui avrebbe fatto comodo una colonna sonora più marcata e invece quella presente scivola via che neanche si sente.
E poi l’assassino.
Io solitamente non li becco mai, neanche quelli sulla settimana enigmistica. Ma qui appena l’ho visto ho detto: “è lui!”. E infatti c’ho preso, ma più che altro per il suo modus operandi che è troppo affine al lavoro che svolge, come se un falegname uccidesse a bastonate…
Nel finale si accenna ad una patologia psichica del killer ma Giannini è troppo scazzato per stare a sentire il dottore, in quanto il pazzoide ha inforcato sua moglie (con lo spillone eh!… l’agopuntura, non pensate male), e scende in strada mentre scorrono i titoli di coda.

Se lo beccate in quei cestoni tutto 5 euro prendetelo, se no lasciatelo lì.

lunedì 20 ottobre 2008

L'Uomo è morto


Una delle ragioni per cui vale la pena vivere è la musica, di qualunque genere essa sia.
Ma non basta soltanto ascoltarla, perché sarebbe troppo facile. È obbligatorio comprenderla.
Che poi il senso che ci trovo dentro non è detto che sia la giusta interpretazione, ma un tentativo, anche sbagliato, di entrare nella musica è sempre meglio che farla scivolare via passivamente.
Forse quando ho sentito per la prima volta Dio è morto ero troppo piccolo, ma non di età bensì di testa. L’avevo liquidata con banalità del genere: “Mmm sì vabbè un po’ di Nietzsche, nichilismo, niente di nuovo per gli anni '60. C’è di meglio.”

Poi l’ho riascoltata.
E poi di nuovo, e ancora e ancora.
Così adesso rido di me, ma sono anche contento perché ho capito il messaggio di Guccini: non è nessun Dio che è morto ai bordi delle strade e nemmeno nei miti delle estate. No, chi è morto nei campi di sterminio è l’Uomo. L’Uomo è morto nei miti della razza e negli odi di partito.
Ma c’è una frase che mi ha fulminato:

nelle auto prese a rate Dio è morto

Boom. Illuminazione.
Magari mi spingo troppo oltre, ma se quelle auto fossero delle case? E quelle rate dei mutui?

Io mi aggrappo alle ultime parole della canzone, sperando.

giovedì 16 ottobre 2008

La stronza

"Cucciola...io sto cercando di venirti incontro..."
"Cerca di venire e basta."

lunedì 13 ottobre 2008

L'Uno per l'Altra - Cielo pesante

Riassunto: Altra ha mandato via Uno di casa a causa del suo "tradimento". L'uomo ha deciso di aspettare l'alba sulla panchina di un parco...

Uno passò quel che rimaneva della notte seduto su una panchina del parco.
Le nuvole viola pesavano su di lui, mentre l’aria di solitudine che lo cingeva era interrotta dal ronzio di un lampione difettoso che si accendeva e spegneva ad intermittenza.
Pensava agli errori che aveva fatto, alla sua impotenza, alle persone che aveva ucciso, ma soprattutto a lei, al suo amore.
Perso nei suoi pensieri non si accorse neanche di un barbone che lentamente si avvicinava alla panchina dove era seduto.
“TI dispiace se mi siedo fratello? Che sono stanco, stanotte una banda di figli di papà armati di mazze da baseball mi ha picchiato per bene.”
Uno, scrutando il vento ai suoi piedi, rimase in silenzio.
Il barbone lo fissò per bene poi disse: ”Ehi amico guarda che scherzavo, certe cose succedono solo nei film, la vita vera è molto più dura! Comunque sono io che dovrei essere triste, guarda qua, sono ridotto a bere del vino che ormai sa di aceto, tu che hai per essere così? Avanti dillo al tuo migliore amico solo per questa sera! Ti avverto che accetto tutti i tipi di pagamento, esclusi quelli in natura.”
Uno riemerse dal suo stato catatonico: ”Cosa scusa?”
“Sei proprio preso male fratello, fatti un goccio se vuoi! Ehi ehi ma tu hai pianto di brutto, quello che ti ci vuole è una bella sbronza, poi quando ti riprendi sei più triste di prima, è un po’ come farsi una sega, hai presente? Mentre te la fai pensi che è uno sballo, poi quando vieni ti demoralizzi e vorresti che ci fosse qualche bella topolina lì con te anche solo per farti una carezza, è vero o no?”
Accade certe volte che confidarsi a persone sconosciute sia più facile che farlo con amici di vecchia data, ma Uno non ha mai avuto nessuno, a parte Altra, e quella notte non si era mai sentito così solo; quel barbone era il primo amico della sua vita, così deglutì inghiottendo il magone.
“M-mia moglie è incinta di un altro…”
“Fiuuuu brutta storia cazzo, senti io droga non ne ho però se vuoi posso procurartela…e che ci fai su una panchina del parco?”
”Mi ha cacciato fuori di casa”
“Frena frena, lei si è fatta stampinare da un altro e ti manda fuori di casa? Aspetta che tiro una golata.”
“È difficile spiegare, è difficile capire…anche io l’ ho tradita…”
“Bella fratello, è così che si fa! E com’era questa sbarbina? Dai racconta racconta, anche i particolari più sporchi, tanto io di sporcizia me ne intendo.”
“Era un travestito, e l’ ho ucciso, io uccido solo ombre, ma quello non era un’ombra, così ho tradito la fiducia di mia moglie, sono diventato un assassino , sono un mostro, Dio mio sono un mostro.” E scoppiò in lacrime.
“Senti amico, io sono ubriaco marcio praticamente da venti anni a questa parte, e di cazzate ne ho sentite, ma questa le batte tutte davvero, non so che dirti, anzi una cosa te la dico, ricomincia da zero, era una puttana, non ci hai perso niente.”
Asciugandosi le lacrime Uno rispose: ”No, non lo era, ti sbagli. Io ho fatto molti errori nella mia vita, ma lei è stata l’unica cosa giusta, l’unica…”
“A volte ringrazio Dio di essere un barbone, sarò povero e puzzolente ma almeno non devo pensare a queste cose. Non ti invidio per niente amico, proprio per niente. Io me ne vado, di solito a quest’ora spuntano le prime tossiche che per qualche soldo lo succhiano anche ad uno come me, però credo che me ne andrò a dormire in stazione, sono stanco.”
Il barbone si alzò portandosi dietro il suo odore di piscio, Uno rimase piegato sulla panchina fino a che non sorse il sole, poi se ne andò anche lui con la valigia in mano. In una storia che rispetti si potrebbe dire che per lui iniziava una nuova vita, ma questa è la storia di Uno e di Altra.
E non è ancora finita.

sabato 11 ottobre 2008

Le orme

La mente di una donna (Florinda Bolkan, già vista in Non si sevizia un paperino, 1972) e tutto l’universo che ci sta dentro, camminato da astronauti diretti da un uomo cattivo che sembra uno scienziato pazzo, anzi togliete pazzo. Uno scienziato, forse un dottore?
Il tutto fotografato da una regia raffinata con deliziose figure in controluce, e ambienti geometrici lontani dalle atmosfere fricchettone degli anni 70.
Le orme è un film criptico, che scava nell’animo umano senza mai sfiorarlo, che tratta la pazzia senza mai nominarla attorcigliando lo spettatore in una morsa contorta che ha una soluzione al di sotto della qualità estetica che lo permea.
Regia di Luigi Buzzoni, musiche di un giovane Nicola Piovani, fotografia di Vittorio Storaro. Nel cast anche prezzemolino Nicoletta Elmi e Klaus Kinski.
Forse più da vedere che da comprendere.

giovedì 9 ottobre 2008

Il Palazzo - Ottavo piano

Anna vive sola nel suo appartamento, o forse sopravvive. La sua vita è fatta di cose semplici: il lavoro part-time al super market, la collezione di Harmony, la sua gatta nera e il barattolone di Nutella da cinque chili. A volte, prima di addormentarsi, piange stringendo forte il cuscino.
Agli antipodi del Palazzo sorge una costruzione molto simile che si erge in una strada come tante altre, e lì, all’ottavo piano vi abita Goffredo. Anche lui vive da solo, e come per Anna la sua vita è fatta di piccole cose: i ragazzi del baseball, la collezione in dvd di Rambo, il suo cagnone da caccia e il vecchio orsacchiotto di pezza. Spesso mentre fuma la sua prima sigaretta del giorno pensa a quanto sia solo.
Eppure, anche se così lontani, Anna e Goffredo sono più vicini di quanto sembra. Purtroppo non lo sanno.
Inizialmente nessuno dei due ci ha fatto caso, ma sulla parete dei loro bagni si è aperto un piccolo buchino che col passare del tempo si è allargato, fino a diventare un’ enorme crepa nel muro da cui fuoriesce un vento gelido che penetra nelle ossa stringendo i due ancor più in sé stessi.
Entrambi sono in piedi davanti alla breccia, se solo uno dei due avesse il coraggio di saltare non sarebbero più soli: Anna non piangerebbe più la sera e Goffredo non penserebbe più alla solitudine fumando la sua prima sigaretta del giorno.
Basterebbe un piccolo salto nel buio.
Solo un salto.
Uno soltanto.
Ma loro restano immobili.

martedì 7 ottobre 2008

Pink Flamingos

Lascio spazio alle immagini per una volta.
Dico solo che per comprendere un film del genere bisognava trovarsi in America nel 1972. A quasi quarant'anni di distanza tutto (zoofilia, fellatio, evirazione, coprofagia) è già stato visto, perdendo così la sua cifra rivoluzionaria e dissacrante per trasformarsi in una sequenza di banalità, che di banale in senso stretto non hanno niente, ma che sono diventate tali ai nostri occhi col passare degli anni. E questo non so se sia un bene o un male.

venerdì 3 ottobre 2008

L'immoralità

Il Morandini boccia impietosamente le uniche tre opere di Massimo Pirri (escludendo Calàmo e Meglio baciare un cobra), Italia: ultimo atto (1977), L’immoralità (1978) e Tunnel (1983) definendole sciatte, carosellesche (eh?), di cattivo gusto e inverosimili. Eppure, come spesso accade, Pirri è stato (ri)scoperto negli ultimi anni con la rivalutazione di quei 10-20 anni di cinema italiano underground, tanto che nel 2006 la Raro Video ha ristampato in dvd L’immoralità.

Scrive Alessio Palma a proposito del film: L’immoralità è (…) una delle cose più affascinanti del cinema “sommerso” italiano di fine decennio. Una fiaba malata e dagli intenti desacralizzanti, non priva di ingenuità o cedimenti strutturali i quali però, contestualizzati nel periodo di riferimento, si offrono come schegge impazzite di sana irresponsabilità, marcando la distanza che oggi ci separa da un cinema non più ripetibile, colorandola di nostalgia.
La parola chiave è contestualizzare, ma su questo ci tornerò a fine commento.
La sinossi deve essere stata la seguente più o meno: prendiamo Federico un maniaco sessuale, un uomo che non sarebbe degno di essere definito tale, uno che uccide i bambini. In una fuga disperata mettiamo sulla sua strada Simona, una dodicenne con un padre paralizzato e una madre libertina.
Facciamo in modo che la madre e l’uomo si incontrino, che lei porti nella villa lui, che vadano a letto, che Simona veda tutto e che non voglia essere da meno nei confronti di sua madre.

L’immoralità è l’assenza di principi morali.
Ma cosa sono i principi morali? Non sono forse il risultato della nostra educazione e formazione collettiva? E la collettività non è formata da uomini? E quindi questo film non è forse una critica sociale?
Sì, lo è.
Ma allo stesso tempo è vittima della sua collocazione temporale, del suo contesto. E così quello che vorrebbe dire lo dice con mezzi biechi e perversi, e la linea che separa la pellicola dall’exploitation è sottile. Se il climax del film è rappresentato dal rapporto sessuale tra la dodicenne Simona e il maniaco Federico, allora questo confine viene oltrepassato. Però, se si limitasse ad un mero racconto di triangoli amorosi e fini a se stessi, significherebbe che L’immoralità non ha un sottotesto, che Pirri ha voluto mostrare una ragazzina nuda e basta. Invece ciò che appare più rimproverabile, scavando a fondo, è il suo punto di forza. Si può evincere, ma con fatica e senza lasciarci suggestionare dall’atmosfera erotica, che la mancanza di una morale, di una coscienza, è una cappa che ingabbia non solo i tre protagonisti ma l’intera cittadina: un poliziotto che vuole sedurre la civettuola Vera (Lisa Gastoni che regge il film da sola) invece di proseguire le indagini e un gruppo di “giustizieri” che dà la caccia al pedofilo sono uomini che hanno smarrito la propria coscienza, la propria etica. E allora forse non sono più uomini ma animali (si badi che il pedofilo muore in una uccelliera, allegoria di una prigione, ma anche ironia per un cielo irraggiungibile), e allora forse non sono tanto diversi dal maniaco.

Vi sono alcune classiche facilonerie: recitazione sottotono, montaggio poco azzeccato in alcuni frangenti (prima sequenza di sesso), musiche, anche se di Morricone, poco incisive. Ma tutto deve essere portato nel 1978, in un contesto ben preciso. Ed è d’obbligo dunque porci due domande che sorgono a visione terminata quanto mai attuali.
Quali sono i valori guida di una società, e quindi di un singolo uomo?
Quando un comportamento è eticamente corretto?
Agli spettatori l’ardua responsabilità di rispondere.

giovedì 2 ottobre 2008

Mangiati vivi!

Il 27 Dicembre scorso parlando di Cannibal ferox (1981) affermavo che non avrei mai più visto un cannibal-movie.
A quasi un anno di distanza mi sono rimangiato queste parole senza una ragione particolare. Quando la scritta Eaten alive! campeggiava sul mio schermo era ormai troppo tardi. Una piccola motivazione è che mi interessava vedere Paola Senatore recitare con altri attori, e non soltanto con i membri di essi, visto che ricevo molti contatti giornalieri grazie a lei. La regia è sempre di Lenzi che ricicla la morte di una ragazza dal primo film sui cannibali ovvero Il paese del sesso selvaggio (1972 - Dovrei vedermi pure questo? Mmm… magari se ne parla tra dieci mesi). Nel cast anche Robert Kerman (Richard Bolla per chi bazzica il mondo hard) e un’impalpabile Janet Agren.

Un uomo dai tratti somatici indigeni uccide a colpi di cerbottana alcune persone a New York e dintorni. Dopo essere stato investito da un camion la polizia trova nelle sue tasche un filmino e il nome di una donna: Diana Morris (Paola Senatore), scomparsa da parecchio tempo. Così viene chiamata in causa la sorella Sheila (Agren) che visto il filmino in cui è ripresa la sorella in un rito tribale effettuato da una specie di setta, parte alla volta della Guinea per recuperare Diana. Nella giungla viene aiutata da Mark per raggiungere il villaggio della congrega. Quando vi giungono capiscono che il santone è solo un folle e tentare la fuga è pericoloso perché intorno è pieno di cannibali.

È un cannibal-movie con tutti i pregi (pochi) e i difetti (molti) che ne conseguono. Come tutti i suoi “simili” non riesce a scrollarsi di dosso alcuni cliché che all’esterno risultano datati e di cattivo gusto. Parlo ovviamente della violenza gratuita sugli animali goffamente aggiunta in fase di montaggio come sempre accade in queste pellicole. Quindi dico “no grazie” a coccodrilli spellati come mele e privati del cervello tramite un affilato coltello.
L’originalità non era cosa nota per Deodato e Lenzi che procedono per stereotipi: i cannibali sono cattivi. Gli occidentali pure ma qualcuno si salva. I buoni se la dovranno vedere con i cannibali che restano sempre brutti e cattivissimi. Fine. Che noia.

Il tasso di splatter è minore e concentrato alla fine che se no di cannibali se ne erano visti pochi. Tralascio gli sfx, e vabbè i tempi erano quelli che erano, il budget pure, ma in Cannibal Holocaust (1980) sono superiori a questo dove, ad esempio, alla Senatore viene staccata una gamba ma si capisce subito che l’ha infilata nel terreno fino al ginocchio. Intanto il cannibale si gusta la tibia di un manichino, contento lui!
Ovviamente non manca una “bella” evirazione in primo piano e l’asportazione di una tetta ai danni della Senatore che 5 anni dopo le tette le userà in ben altra maniera nel mitico Non stop, sempre buio in sala (1985).
Per i fan del cannibal (ma esistono??) consigliato, per tutti gli altri meglio starne alla larga.

mercoledì 1 ottobre 2008

L'Uno per l'Altra - La scissione


Riassunto: Uno ormai sconsolato dalla gravidanza della moglie si reca in un bordello nel centro della città e uccide un travestito per placare il suo istinto omicida. Alla sera ritornando a casa lo aspetta Altra...
 
Altra per la prima volta da quando era sposata stava aspettando suo marito in piedi, affacciata al balcone. Quando lo vide sbucare dall’angolo in fondo alla strada chiuse velocemente la finestra e si piantò nell’ingresso davanti alla porta di casa.
Uno entrò con lo sguardo chino, sapeva cosa lo attendeva.
La postura di sua moglie, con i pugni appoggiati sui fianchi a formare un angolo retto con i gomiti, gli ricordò l’aquilone con cui giocava da bambino insieme a suo padre.
“Si può sapere dove cazzo sei stato fino a quest’ora?”
“Scusa cara ma ho avuto molto da fare in ufficio.” Disse appendendo il cappotto.
“Mi prendi in giro? E guardami in faccia quando ti parlo.” Altra lo prese per un braccio costringendolo a voltarsi verso di lei.
“Sono stato in ufficio sino adesso, te lo giuro.”
“Non è vero...ho chiamato e mi hanno detto che eri uscito al solito orario…” I suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime.
“Sono dovuto andare a fare un lavoro fuori, adesso vado a letto che sono stanco.” Si liberò dalla morsa di Altra e si chiuse in camera.
Lei rimase immobile, stringendosi da sola nella sua vestaglietta trasparente, tremando di lacrime. Avrebbe dormito sul divano questa notte, non voleva stare vicino a quell’uomo falso. Prima però aveva bisogno di una sigaretta, le sue erano in camera da letto, e non ci voleva entrare lì. Sperò che nel cappotto di Uno ci fossero le sue, frugò nelle tasche esterne, niente, poi in quelle interne, c’era un pacchetto.
“Multifilter?” Si chiese ad alta voce.
Lo scosse, sentì che dentro c’erano poche sigarette. Aprì, e con la punta delle dita prese un mozzicone che si era adagiato orizzontalmente sul fondo del pacchetto.
Il filtro era macchiato di rossetto.
Altra entrò nella stanza come un tornado, la testa di suo marito che emergeva dalle coperte si voltò di scatto in direzione della porta, quando vide sua moglie sbraitare con quel mozzicone in mano comprese di aver fatto un errore, l’unica parola che riuscì a proferire fu: ”Scusa…”
La voce di Altra era magma incandescente: ”Scusarti? SCUSARTI? Chi è la puttanella? Voglio sapere chi è, e subito.”
“Tesoro hai frainteso...io non ti ho tradita…”
“Sta zitto…sta zitto per favore, esci da questa casa, NON VOGLIO VEDERTI MAI Più!”
“Fammi spiegare almeno, non sono stato con nessun’altra donna, lo sai anche tu che non posso...”
“Non me ne frega un cazzo! Sparisci immediatamente da questa casa.” I suoi occhi sputavano fiamme, le sue mani prendevano qualunque cosa capitasse nelle vicinanze, che fosse la foto del loro matrimonio o i cuscini del letto, e volavano per la stanza. “E sai che ti dico brutto stronzo? Quel bambino non rimarrà in fondo al pozzo.”
Le piume dei cuscini che svolazzavano nella camera si arrestarono per un secondo, il cuore di Uno si bloccò con esse, sentì la stessa sensazione della sera in cui venne a sapere della gravidanza.
“C-che cosa scusa?”
“Io tengo il bambino. Il mio bambino, e adesso va via per favore.”
Lui non disse nulla, si alzò dal letto, prese la valigia dall’armadio e cominciò a buttarci dentro dei vestiti alla rinfusa, Altra lo guardava in silenzio appoggiata alla porta, quando i loro sguardi s’incrociarono lei chiese: ”Dove andrai?”
“Non lo so.” E uscì.