domenica 16 ottobre 2022

Arkadia haire

Viaggio tra la poesia e la Storia in quel di Arcadia, una regione del Peloponneso lontana dal mare fatta di montagne, alberi, fiori, piccole cittadine e soprattutto mito, tradizione e folklore, questi ultimi tre aspetti sono esplicitamente ricercati dal nostro tour leader, Filippos Koutsaftis, regista greco di lungo corso principalmente attivo come direttore della fotografia, che nel suo girovagare da un paese all’altro della zona infarcisce la questione con richiami alla mitologia ellenica o comunque ricorsi storici riguardanti il territorio circostante. Si può dire che Arkadia haire (2015) sia un documentario “di scavo”, nel senso che Koutsaftis mette un po’ i panni dell’archeologo e tenta di scendere giù lungo le pieghe del tempo, per farlo si avvale in primis di veri esperti arrivati lì per riportare alla luce reperti interrati da secoli (si tratta di volontari e studiosi provenienti dall’Europa settentrionale, nessuno, come evidenziato, dalla Grecia) e successivamente, attraverso gli strumenti del caso, è lui stesso a recuperare oggetti, storie e ricordi che arrivano dal lontano passato. Il film è abbastanza simile ad altri che sono passati sugli schermi dagli anni ’10 in poi, la tendenza a voler fare del cinema uno spazio di incontro tra l’ieri e l’oggi, e mi è parso che Koutsaftis punti ad un tale equilibrio, si ravvisa ormai in parecchi documentari, in particolare quelli che hanno un’ambientazione agreste, ciò non deprezza l’argomento che comunque viene affrontato, del resto posare lo sguardo su mondi dove sono ancora vivi dei rituali primitivi (notevole la scena in cui si riprende una cerimonia con dei ramoscelli per poi vederla inscritta su un antico vaso) e dove in generale l’esistenza occidentale che viviamo è distante eoni da quella in video, è pur sempre un’occasione di conoscenza che non andrebbe sprecata.

La forma di Arkadia haire si offre per mezzo di un’articolazione così strutturata: un paio di brevi interviste alle persone incontrate sul tragitto, molte sequenze naturalistiche che però non mi spingono a parlare di contemplazione, digressioni documentate con dettaglio dei ritrovamenti sul campo. Nel globale parliamo di un lavoro che non si adagia totalmente al concetto di ordinarietà perché in lui ribolle una mistura di liricità ed esplorazione empirica che si scuote dalla routine del settore, però al contempo non si fa un passo al di là del consueto. Escludendo due rapidi flash inaspettati che non avranno seguito, mi riferisco agli improvvisi paralleli visivi con Lo specchio (1975) di Tarkovskij e il celebre dipinto Ragazza col turbante di Johannes Vermeer, il metodo di Koutsaftis si presenta a noi vedibile ma sorpassato, e a riprova di un’idea non troppo moderna c’è, secondo me, un inopportuno perché onnipresente commento in prima persona effettuato dal regista stesso che copre ogni minuto del girato, un flusso di pensieri, descrizioni e nozioni che ho trovato soffocante, se inoltre aggiungiamo espedienti quali i ralenti (arghh!) o delle sottolineature musicali, l’opera non riesce ad ingranare una marcia capace di farle prendere velocità, ed è un peccato perché ha gli argomenti giusti per risultare interessante, diciamo che è un “problema” di come e non di cosa. Una visione, ad ogni modo, non significherebbe buttare al vento il proprio prezioso tempo, in giro si incrocia di molto peggio.