Non sono mai stato un simpatizzante di tutto ciò che ruota intorno al mondo fantasy.
Quando era scoppiata la moda de Il Signore degli Anelli (2001), comprai Lo Hobbit (1937 1° ed.). Lo lessi e lo riposi nella libreria dove giace tutt’ora.
Non è che non mi piace questo genere, ma credo si tratti di un discorso parecchio soggettivo: fatemi ascoltare qualcosa di malinconico e sono contento, fatemi vedere qualcosa di introspettivo, asciutto e sono soddisfatto.
Tutta quella messa in scena poderosa non mi ha mai attirato. Ammirevoli sforzi di fantasia, senza dubbio, e significati intrinseci notevoli e magari non diversi da un’opera di mio gradimento, ma io con elfi, maghi o giganti non riesco a proprio a legare.A questo punto, dopo una premessa del genere, ci si aspetterebbe che con In compagnia dei lupi abbia cambiato il mio giudizio. Non è così, però non credo di aver sprecato il mio tempo.
Questo film non è propriamente un film fantasy, menchemeno un horror. Trattasi di favola nera? Boh, io sinceramente non ho mai trovato allegre le favole, da quando sono stato abbastanza grande da allacciarmi le scarpe da solo, le ho sempre trovate tristi: bambini abbandonati, rane che diventano uomini, lupi che mangiano vecchiette. Eh già, Cappuccetto rosso. La fiaba dei fratelli Grimm è il punto di partenza, anzi è la traccia, che Neil Jordan segue per questo suo film.
Rose è la protagonista. Il suo sogno è la storia del film. È un sogno che la vede in un villaggio avvolto da un bosco fitto, denso, magico. Sua sorella è stata uccisa da un lupo, un animale che viene visto come una minaccia per la comunità del paese, e che fomenta leggende raccontate dalla nonnina di turno interpretata da Angela Lansbury, la mitica signora in giallo.
Neil Jordan versa tutta la tradizione della sua terra: l’Irlanda. Grazie ad un accurata messa in scena, e ad una splendida fotografia, il bosco, con i suoi anfratti, è parte integrante della storia. Dal bosco provengono i lupi, che sono estranei, e quindi temuti. Più volte viene raccomandato a Rose di non abbandonare mai il sentiero. Ecco, per capire qualcosa di In compagnia dei lupi bisogna fare l’opposto. Qui non si tratta di una rivisitazione della nota fiaba, ma di una interpretazione del regista. Che però non è chiara, ma è celata dietro a segni e a simboli che rimandano ad altri significati, e per comprenderli bisogna uscire dai binari (sentieri) della narrazione.
Il personaggio di Rose è sospeso tra l’infanzia (le fiabe della nonna) e l’adolescenza ( le lusinghe di un suo coetaneo). Ciò che sta oltre il sentiero rappresenta per lei un mistero affascinante. Nell’inseguirsi con il ragazzino si smarrisce nel bosco, e arrampicandosi su di un albero, trova, all’interno di un nido, uno specchio, un rossetto rosso che spalma sulle labbra, e delle uova contenenti un piccolo bambino di pietra. Che significa? Credo che quell’istante segni il passaggio di Rose nell’adolescenza. Da quel momento sarà lei a raccontare fiabe, a testimonianza del raggiungimento di una dimensione più adulta.
E quindi emancipata e dotata di quell’incoscienza squisitamente giovanile, accetta ancora una volta di lasciare il sentiero dopo aver conosciuto un estraneo nella foresta. Qui l’erotismo che si sprigiona è forte. L’incontro con uno sconosciuto, uno spirito libero, uno che non ha mai vissuto “nel sentiero”: un selvaggio. Per Rose è terribilmente affascinante. Tanto che scommette con l'uomo che arriverà prima di lui nella casa della nonna. Ovviamente arriva prima l’estraneo, che è il lupo cattivo. La nonna viene decapitata, ma la sua testa si rompe in mille pezzi come se fosse di ceramica. Perché questo? Non l’ho capito.
Poi arriva Rose. E se prima l’erotismo era celato, qua si palesa prepotentemente: “Togliti la mantella, sei tutta bagnata…” La mantella rossa viene bruciata nel camino. È il segno di una verginità violata? Potrebbe. Rose è combattuta, è attratta ma allo stesso tempo disprezza quell’uomo (lupo). La paura radicata nell’altro si manifesta ora in un suo simile. Homo homini lupus? Forse.
Ma dopo che lo colpisce con una fucilata prova pietà verso quell’essere: “Perdonami, non sapevo che un lupo sapesse piangere.” E alla fine, quando i genitori vanno a cercarla, anche lei è diventata un lupo. Homo homini lupus, quindi? Sembrerebbe proprio di sì.
Neil Jordan, sebbene nel 1984 fosse un semi esordiente dimostrava già di saperci fare dietro la mdp.
Quanto a me, anche se non sono un fan del fantasy e credo che non lo sarò mai, riconosco le qualità di questo film.
Quando era scoppiata la moda de Il Signore degli Anelli (2001), comprai Lo Hobbit (1937 1° ed.). Lo lessi e lo riposi nella libreria dove giace tutt’ora.
Non è che non mi piace questo genere, ma credo si tratti di un discorso parecchio soggettivo: fatemi ascoltare qualcosa di malinconico e sono contento, fatemi vedere qualcosa di introspettivo, asciutto e sono soddisfatto.
Tutta quella messa in scena poderosa non mi ha mai attirato. Ammirevoli sforzi di fantasia, senza dubbio, e significati intrinseci notevoli e magari non diversi da un’opera di mio gradimento, ma io con elfi, maghi o giganti non riesco a proprio a legare.A questo punto, dopo una premessa del genere, ci si aspetterebbe che con In compagnia dei lupi abbia cambiato il mio giudizio. Non è così, però non credo di aver sprecato il mio tempo.
Questo film non è propriamente un film fantasy, menchemeno un horror. Trattasi di favola nera? Boh, io sinceramente non ho mai trovato allegre le favole, da quando sono stato abbastanza grande da allacciarmi le scarpe da solo, le ho sempre trovate tristi: bambini abbandonati, rane che diventano uomini, lupi che mangiano vecchiette. Eh già, Cappuccetto rosso. La fiaba dei fratelli Grimm è il punto di partenza, anzi è la traccia, che Neil Jordan segue per questo suo film.
Rose è la protagonista. Il suo sogno è la storia del film. È un sogno che la vede in un villaggio avvolto da un bosco fitto, denso, magico. Sua sorella è stata uccisa da un lupo, un animale che viene visto come una minaccia per la comunità del paese, e che fomenta leggende raccontate dalla nonnina di turno interpretata da Angela Lansbury, la mitica signora in giallo.
Neil Jordan versa tutta la tradizione della sua terra: l’Irlanda. Grazie ad un accurata messa in scena, e ad una splendida fotografia, il bosco, con i suoi anfratti, è parte integrante della storia. Dal bosco provengono i lupi, che sono estranei, e quindi temuti. Più volte viene raccomandato a Rose di non abbandonare mai il sentiero. Ecco, per capire qualcosa di In compagnia dei lupi bisogna fare l’opposto. Qui non si tratta di una rivisitazione della nota fiaba, ma di una interpretazione del regista. Che però non è chiara, ma è celata dietro a segni e a simboli che rimandano ad altri significati, e per comprenderli bisogna uscire dai binari (sentieri) della narrazione.
Il personaggio di Rose è sospeso tra l’infanzia (le fiabe della nonna) e l’adolescenza ( le lusinghe di un suo coetaneo). Ciò che sta oltre il sentiero rappresenta per lei un mistero affascinante. Nell’inseguirsi con il ragazzino si smarrisce nel bosco, e arrampicandosi su di un albero, trova, all’interno di un nido, uno specchio, un rossetto rosso che spalma sulle labbra, e delle uova contenenti un piccolo bambino di pietra. Che significa? Credo che quell’istante segni il passaggio di Rose nell’adolescenza. Da quel momento sarà lei a raccontare fiabe, a testimonianza del raggiungimento di una dimensione più adulta.
E quindi emancipata e dotata di quell’incoscienza squisitamente giovanile, accetta ancora una volta di lasciare il sentiero dopo aver conosciuto un estraneo nella foresta. Qui l’erotismo che si sprigiona è forte. L’incontro con uno sconosciuto, uno spirito libero, uno che non ha mai vissuto “nel sentiero”: un selvaggio. Per Rose è terribilmente affascinante. Tanto che scommette con l'uomo che arriverà prima di lui nella casa della nonna. Ovviamente arriva prima l’estraneo, che è il lupo cattivo. La nonna viene decapitata, ma la sua testa si rompe in mille pezzi come se fosse di ceramica. Perché questo? Non l’ho capito.
Poi arriva Rose. E se prima l’erotismo era celato, qua si palesa prepotentemente: “Togliti la mantella, sei tutta bagnata…” La mantella rossa viene bruciata nel camino. È il segno di una verginità violata? Potrebbe. Rose è combattuta, è attratta ma allo stesso tempo disprezza quell’uomo (lupo). La paura radicata nell’altro si manifesta ora in un suo simile. Homo homini lupus? Forse.
Ma dopo che lo colpisce con una fucilata prova pietà verso quell’essere: “Perdonami, non sapevo che un lupo sapesse piangere.” E alla fine, quando i genitori vanno a cercarla, anche lei è diventata un lupo. Homo homini lupus, quindi? Sembrerebbe proprio di sì.
Neil Jordan, sebbene nel 1984 fosse un semi esordiente dimostrava già di saperci fare dietro la mdp.
Quanto a me, anche se non sono un fan del fantasy e credo che non lo sarò mai, riconosco le qualità di questo film.