Qualcuno potrebbe obiettare sull’assenza di una congiuntura delle due storie raccontate, l’indipendenza della sezione di lui e di quella di lei è un dato di fatto, sono parallele che in un’ottica razionale non si incontreranno mai. Però se Fund ha un merito, e a mio avviso ce l’ha abbastanza, sta nell’aver saputo trovare una coesione, una fluidità avvicinando due segmenti che, seppur non conciliabili, alla fine sembra che si sfumino a vicenda, l’uno nell’altro. Una piccola connessione la si può rintracciare nella lingua francese che riduce la distanza atlantica, ma è poco se si ha la sensazione che ci sia di più, che si tocchi una sfera non tangibile, non scritta, Toublanc fa sì che in uno spazio filmico si possa verificare una coesistenza che vive di epifanie, di velato onirismo, di specchi. Il procedimento ludico di duplicazione che Fund usa è un collante che amalgama, alcune scene sono gemelle: Toublanc e Clara sull’autobus, talune rovesciate: Toublanc interroga, Clara è interrogata dalla polizia, in generale il legame che si profila tra l’uomo e la donna, tra i loro due mondi, diventa un credibile tutt’uno, e il sentimento che svetta in assoluto, che li rende le celeberrime facce di una stessa medaglia coniata con un materiale fosco, è la solitudine. Ecco, il tratto realmente unificante, il punto di convergenza della pellicola e dei suoi protagonisti è la solitudine che essuda da una quotidianità casalinga, da un amore senza direzione (l’ultimo primo piano di Clara: piange), da una vacua investigazione malinconica. Caro Fund, dopo Toublanc, se ce ne sarà occasione, ascolterò ancora ciò che hai da dire.
lunedì 29 maggio 2023
Toublanc
mercoledì 24 maggio 2023
Adiós entusiasmo
Arrivati alla fine si percepisce comunque un senso di incompiuto, di potenziale inespresso. È come se l’opera flirtasse con una dimensione astratta senza però avere mai il coraggio di buttarcisi a capofitto, nel limbo realistico che si dispiega in formato panoramico sullo schermo capiamo che al regista interessa mettere a punto un sistema femmineo-centrico dove gli uomini sono assenti (i padri, non pervenuti) anche se presenti (i due fidanzati, idem), ad eccezione del piccolo Axelito che infatti avrà una parte decisiva nelle battute finali (è lui che squaderna varie verità sulle sorelle nel gioco di ruolo tra i partecipanti alla festa ed è ancora lui ad oltrepassare il confine nel bagno), l’inscenare un habitat muliebre del genere in contrapposizione all’assenza fisica della mamma, è una raffigurazione che rimane nel suddetto campo, è un disegno, un quadretto che si osserva con distacco. Sicuramente si è visto molto di peggio ma a furia di adagiarci su frasi fatte si finisce per fornire alibi a produzioni che invece di puntare all’eccellenza si accontentano di galleggiare nell’oceano dell’autorialità, non che codesto mare sia un’infima pozzanghera, però è talmente pieno di imbarcazioni che raggiungono un sufficiente livello qualitativo da spingerci a desiderare film che sanno inabissarsi verso il fondo o magari decollare verso il cielo, Adiós entusiasmo staziona sulla linea di un ben noto orizzonte, a voi le conclusioni.
lunedì 22 maggio 2023
Carne
venerdì 19 maggio 2023
Yumen
Dipende da quali aspettative si hanno, il sottoscritto è sempre ben lieto di visionare titoli che si prendono dei rischi pur di proporsi in maniera inusuale, Sniadecki per dare una scossa all’impianto realistico inserisce dei personaggi che vagano tra le macerie cittadine. Due di essi, Huang Xiang e Xu Routao, oltre ad essere degli artisti locali, figurano anche come co-registi, e insieme ad altri bizzarri esseri umani si aggirano nell’ambiente post-atomico quasi fossero dei fantasmi. L’interpretazione ectoplasmica va per la maggiore nei commenti in Rete e pure io mi ci accodo, infatti, attraverso un commento esterno, udiamo le loro voci raccontarci brandelli di un passato che nell’incertezza non attribuirei a nessuno di loro, al massimo direi che sono gli echi di Yumen, in qualche modo, a farsi ancora vivi. Non c’è però un afflato nostalgico/malinconico come abbiamo visto in altre opere similari, la piega presa da Yumen è troppo scollata e laterale per lavorare sugli ipotetici ingranaggi emotivi, lo score stridente (brani che oscillano tra il popolare ed il moderno), i balletti (… mi permetto di decretarli così: goffi, ma probabilmente era una cosa voluta) e i volti ritratti sui muri, sono elementi che, e qui concordo con la recensione di Marco Chiani (link), trasportano il film nella performance-art, senza scordare un irrobustimento finzionale (tra un ragazzo e una ragazza pare si crei una sorta di legame). Alcune scelte tecniche e sintattiche seminano interrogativi che germogliano in un film più strano che bello, il che può comunque essere un buon motivo per spingersi nella visione.
mercoledì 17 maggio 2023
Voices from Chernobyl
La questione non mi è affatto nuova e si ripresenta ogni qual volta un titolo oscilla tra la rappresentazione ed il suo possibile opposto. La mia opinione è che nel materiale che si cattura, quindi nella chiamiamola realtà, ci sono a prescindere tutte le storie di cui un autore ha bisogno, trattandosi di una sostanza malleabile con gli opportuni accorgimenti possono uscire fuori dei capolavori di limpida semplicità. Cruchten non ha creduto nel potenziale nascosto dietro e dentro le immagini nude e crude, invece di illuminare con il suo lavoro quei cristalli narrativi che anche un documentario custodisce, ha preferito forzare optando per un’energica costruzione finzionale. Il risultato immediato è una perdita di naturalezza globale e il fatto che si percepisca in maniera gravosa la mano del demiurgo inaridisce la portata semantica, non è che non si crede al dolore di una vedova o alle paure di un bimbo malato, solo che con un’impostazione del genere, si crede, anzi si sente un po’ meno lo spettro dei sentimenti perché è inquinato da una predisposizione studiata a tavolino. Il rovescio della medaglia si palesa in una composizione dal carattere artistico, una sostanza pittorica se non fotografica piena di istantanee che manderanno in visibilio gli esteti del settore, Cruchten qui sconfina addirittura nel surreale con pennellate degne dei migliori visionari (la porta nel bosco; la pioggia nell’ufficio; l’albero luccicante; gli inserti animati; la citazione a Stalker [1979] del finale), se tanto vi basta per raggiungere il vostro gradimento allora sapete che fare, in caso contrario calma e gesso, oltre l’ammirabile confezione esterna La supplication possiede un deficit teorico che per alcuni (eccomi) potrebbe essere uno scoglio.
lunedì 15 maggio 2023
Triangulum
Da tradizione la gabbia espositiva è quadrata, l’aspetto della pellicola è “rovinato”, qui esclusivamente negli stralci in bianco e nero, perché sì, Triangulum procede per balzi cromatici incrementando il disorientamento, un campo può essere a colori, l’annesso controcampo il suo opposto. In un montaggio bello serrato spesso è complicato identificare i soggetti che si affacciano nella diegesi, chi sta parlando? E che sta dicendo? Meglio non fondersi inutilmente il cervello dietro ai dettagli, piuttosto vale la pena allargare lo sguardo per cogliere la complessità del film, del resto i due registi sono i soliti alchimisti che aprono la scatola-cinema ad immissioni di altre discipline, senza dimenticare (e come sarebbe possibile farlo?) il rifarsi ad un linguaggio visivo che sembra disseminare simboli (la piccola piramide luminosa; la piramide-tenda nel deserto) e al contempo attingere al bacino della realtà, se non della cronaca (la donna al tavolino che parla dell’Iraq; Melissa che distribuisce dei volantini alle passanti). Pretenzioso? Presuntuoso? Altezzoso? Non escludo nulla. Ma esattamente come per In the Traveler’s Heart (2013), alla fine, si sente che il ribollio artistico di Jahn & Dullius non è un vuoto atto d’onanismo.
sabato 13 maggio 2023
Totem
Un’ambiguità sì e no strisciante caratterizza la pellicola (nell’incipit, quando ancora non si sa quale sarà l’impiego di Fiona, si crea una tensione che però perderà nerbo col passare dei minuti) coniugata ad uno stress sessuale che, attraverso episodi un po’ così (sia con la madre che col padre), sembra sempre sul punto di esplodere, in tale area para-erotica la sequenza migliore vede Fiona seguire la figlia col fidanzato in uno scantinato con la mdp che si e ci getta in una stanza immersa nel buio. Ancora il “già visto” fa capolino con insistenza, di nuclei famigliari con più di una rotella fuori posto il cinema recente e non ne è pieno zeppo, alla Krummacher non le avremmo chiesto di essere la risposta teutonica a Lanthimos però il scivolare in un anonimo torpore non è la fine che si auspicava per il lungometraggio. Dell’impianto critico rivolto alla società e alle cellule che la compongono non mi sento di esprimere niente di particolare perché siamo lontani da un ritratto all’arsenico, gli squilibri della moglie, quelli del genitore, la strana relazione dell’adolescente Nicole con un ragazzo più grande di lei, sono unità che non riescono a spaccare lo schermo in due, è roba priva di qualunque carica incendiaria. Deboli sussulti per: due finestre introspettive di Fiona che ragiona sul presente e sul futuro, l’apparizione dello scorpione anticipata dal racconto di Jürgen e il fotogramma conclusivo che soffia un’ombra funerea sulla vicenda (oltre al costituirsi in una forzatura narrativa, ma è solo una mia opinione). Dodici anni fa erano dodici anni fa, eravamo diversi, cercavamo altro, forse si sarebbe creato un legame, un interesse, un feeling, adesso no caro Totem, adesso no.
giovedì 11 maggio 2023
Vendrán lluvias suaves
Che poi ci sia una mappa simbolica dietro al disegno di Vendrán lluvias suaves ritengo sia una questione inopinabile, piaccia o meno le cose sono abbastanza dirette: l’elettricità va via (il che mi ha riportato ad un ulteriore esemplare albiceleste, History of Fear [2014], che si avvaleva dei blackout per farci sapere un po’ come la pensava) e gli adulti cadono in un sonno comatoso. Senza nonni e senza genitori i bambini si ritrovano in una realtà che per Fund può essere una metafora della loro età, in buona sostanza il manipolo di ragazzini prende l’improvvisa narcolessia dei grandi come un’avventura (e la pellicola, se la si osserva senza troppi onanismi celebrali è proprio così: un’avventura), un gioco collettivo dove non mancano momenti di svago e di preoccupazione, di paura e solidarietà, probabilmente, anche se non amo affatto la seguente etichetta, Vendrán lluvias suaves è una vicenda di formazione perché in un contesto dove le figure genitoriali si assentano, sono i figli, ora, a doversi occupare di se stessi e delle persone (oltre che degli animali, presenze costanti sullo schermo) che hanno a cuore, non a caso la miccia che dà il via al viaggio è il desiderio di Alma di tornare a casa dal fratellino. L’idea che sta alla base, carina ma non certo definibile come seminale (’ste rivisitazione favolistiche hanno colmato la misura), avvince fino al livello della superficie che è dove il film razzola, non c’è un dietro, un sopra, un sotto, un oltre: i bimbi gironzolano perché non hanno nessuno a guidarli ed errabondando si impratichiscono con la vita, ciò è. Allora, per non masticare troppo amaro, rivolgo l’attenzione verso un paio di attraenti immagini (ho apprezzato la carrellata a metà proiezione su dei coetanei impegnati a fronteggiare la sopraggiunta condizione di orfani), e su un corredo musicale che descriverei come anomalo.
Infine, una riflessione sulle modalità decise da Fund per chiudere la pratica. Non sto a chiedermi cosa sia quella sorta di Slender Man trasparente che se ne sta nel giardino di Alma (se aguzzerete la vista lo vedrete passare in video anche in una occasione precedente), mi domando, invece, se il suo inserimento sia una trovata che fornisce concreto spessore o se oppure, data l’enigmaticità che lo sostanzia, sia uno stratagemma effimero usato per confondere delle acque altrimenti calmine. E quindi Iván Fund è più bravo o più furbo? Per fare chiarezza ci sarebbe bisogno di dare un’occhiata al resto del curriculum, il timore di eventualmente buttare alle ortiche il proprio tempo è però un bel freno.
venerdì 5 maggio 2023
Cochemare
La foresta immersa in un magico pulviscolo è realizzata in maniera rimarchevole, il connubio tra 3D e non so quale altra tecnica dona una profondità visiva, una lucentezza umida, una sgargiante varietà di forme e colori che non sono affatto male, se al posto della divinità muliebre ci fosse stata Björk con Gondry alla regia avremmo avuto un altro bel videoclip da tramandare ai posteri. L’inserimento dei demoni insieme all’interesse in dettaglio nei confronti delle lumache, al loro corpo molle e viscido, fornisce inoltre al film un’atmosfera che, con le dovute proporzioni, arriva dritta dritta dalle enciclopedie di Švankmajer o dei gemelli Quay. La quota realistica dentro la stazione spaziale rientra un po’ nei ranghi dell’ordinario, non siamo in una produzione hollywoodiana e bisogna stare al gioco che quella stanza con oblò, pannelli elettrici e circuiti siano davvero gli interni di una navicella persa nell’universo, e io, senza pentimento alcuno, al gioco ci sono stato e di Cochemare conserverò un valido ricordo per la commistione weird-sci-fi che mi ha proposto, light bonus erotico compreso. In quanto alla coppia di autori ribadisco il desiderio espresso alla fine del commento di Higglety Pigglety Pop!: vogliamo un esordio nel lungometraggio, ecchediamine.
martedì 2 maggio 2023
Extinction
Che poi il valore di Extinction non si ferma soltanto ad esporre in maniera arty la confusione vigente attorno ad una striscia tra i monti che non vuole appartenere alla Moldavia, la Lamas coglie l’occasione per pensare e ripensare a cosa è la Russia oggi e cosa è stata l’URRS in passato. Per farlo si serve di cantastorie interni, di soggetti che compaiono sullo schermo in una veste quasi surreale (si veda il barbone all’inizio), che compiono delle significative digressioni storiche (ho apprezzato molto la metafora ferroviaria), e al contempo vediamo Kolja vagare in luoghi più astratti rispetto al filo conduttore da reportage ma inequivocabilmente, indubitabilmente sovietici fino al midollo (dopo Homo Sapiens [2016] eccoci nuovamente a Buzludža, un enorme relitto di cemento che la Lamas illumina con l’effimero fulgore dei razzi). L’urgenza a cui credo che la regista abbia voluto più di qualunque altro aspetto dare voce si concentra sulla situazione geopolitica dei nostri vicini russi, osservando la cartina si nota che nel mondo la maggioranza degli stati non internazionalmente accettati sono proprio localizzati nei territori ai confini dell’ex URRS, oltre alla Transnistria c’è l’Abcasia, l’Ossezia del Sud, l’Artsakh e le due repubbliche di Doneck e Lungask, senza ovviamente dimenticare la complessa realtà della Crimea. Impariamo allora che tutti questi posti dove si contrappongono gruppi separatisti ad istituzioni che invece rivendicano come propria quella o quell’altra regione, sono delle polveriere esplose o in procinto di esplodere, e che la scacchiera politica è nelle mani di un solo Paese: la Russia. Ora, non sto nemmeno a rimarcare che un film di nemmeno un’ora e mezza è impossibilitato a risultare esaustivo sull’argomento, però aver avuto la possibilità di sfiorare il suddetto ginepraio per mezzo di un ricercato studio sulla forma è appagante, con enigmatica e affascinante ciliegina nel finale. Brava Salomé, dopo Terra de ninguém (2012) un’altra prova di livello.
P.S.: ho scritto questo commento prima dello scoppio della guerra in Ucraina.