mercoledì 18 dicembre 2019

Homo Sapiens

Per quanto mi riguarda il nome di Nikolaus Geyrhalter era, fino a qualche ora fa, quello di un perfetto sconosciuto, ma andando a leggere il suo denso curriculum in rapporto ad un’età relativamente “giovane” (è nato a Vienna nel ’72) facciamo conoscenza con un documentarista che sembra avere girato dei titoli sulla carta abbastanza interessanti, e non stupisce allora che questo film, presentato a Berlino ’16 dopo quasi un lustro di lavorazione, sia un oggetto anomalo e dalle sfiziose premesse. Homo Sapiens (2016) è un’opera che inanella per tutta la sua durata immagini in giro per il globo di luoghi eretti dall’uomo e ormai abbandonati, e pur non avendo coordinate in quanto non vi è alcuna descrizione sulle location, si intuisce che il depliant è planetario poiché Geyrhalter rimbalza da zone ex-sovietiche (l’apertura e la chiusura è fornita dal gigantesco monumento di Buzludzha in Bulgaria) ad altre orientali (sicuramente Giappone) e ad altre ancora che non hanno una precisa collocazione geografica, il che contribuisce a creare uno stato filmico di “sempre e ovunque” che abbatte i confini fisici per ritrarre uno spazio a se stante, un memoriale dell’abbandono, un’elegia dello sfascio, perché nelle rovine di un McDonald’s, di un parco giochi, di un ospedale, di una chiesa o di una prigione, nella loro solitudine abitata da fantasmi, si intrasente il ricordo di ciò che fu, ed è qui che Geyrhalter pone il suo centro concettuale, Homo Sapiens è un film sull’essere umano senza esseri umani, è un occhio che arriva dieci, venti, cento anni dopo la scomparsa delle persone e che in un certo qual modo trasla il film dal genere documentario a quello post-atomico.

Assodata l’assenza dell’uomo sapiente (definizione alquanto opinabile), il regista spinge parecchio sull’idea di una natura come unica possibile sopravvissuta nei secoli a venire, ciò si desume grazie ad un preciso lavoro nel campo sonoro implementato da un editing che intensifica e sovrappone certe manifestazioni naturali, pertanto la concezione di una corruttibilità dell’artificio umano è certificata dalla lenta ma implacabile invasione della Natura sottoforma di muschio, acqua, vento, erbacce, sole ed uccellini (gli unici animali del creato con cui avremo a che fare) che zelanti penetrano nelle macerie del cemento armato per farle proprie, per deumanizzare, inconsapevolmente, il manufatto. Se vogliamo tale movimento purificante può portarci molto lontano, nelle zone della teoria cinematografica dove la necessità di un processo definzionalizzante è un’urgenza a cui non ci si può sottrarre ed il richiamo a forme originarie nelle quali trovare comunque degli spunti estetico-narrativi dovrebbe essere l’obiettivo di chiunque si considera un autore. Ad ogni modo non credo che Geyrhalter abbia messo in preventivo un discorso così ampio, per cui è opportuno asserire che: oggettivamente trovo parecchio stuzzicante l’idea di mettere una mdp nel mondo e lasciare che la realtà diventi cinema, non ci sarebbe niente di più facile e al contempo di più difficile, tuttavia Homo Sapiens non si posiziona esclusivamente su queste frequenze, facendo fede al proprio diktat di riprendere posti in decadimento si autolimita proponendo un tour sicuramente suggestivo e affascinante ma anche un po’ statico, l’impressione è che non ci sia un’espansione così ampia al di là di quanto si vede, stabilita l’antitesi tra titolo e argomentazione è faticoso rintracciare un oltre. Resta il fatto che questo Geyrhalter, avendo più tempo e più voglia, sarebbe da approfondire.

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