Per quanto mi riguarda il
nome di Nikolaus Geyrhalter era, fino a qualche ora fa, quello di un
perfetto sconosciuto, ma andando a leggere il suo denso curriculum in
rapporto ad un’età relativamente “giovane” (è nato a Vienna
nel ’72) facciamo conoscenza con un documentarista che sembra avere
girato dei titoli sulla carta abbastanza interessanti, e non stupisce
allora che questo film, presentato a Berlino ’16 dopo quasi un
lustro di lavorazione, sia un oggetto anomalo e dalle sfiziose
premesse. Homo Sapiens (2016) è un’opera che inanella per
tutta la sua durata immagini in giro per il globo di luoghi eretti dall’uomo e ormai
abbandonati, e pur non avendo coordinate in
quanto non vi è alcuna descrizione sulle location, si intuisce che
il depliant è planetario poiché Geyrhalter rimbalza da zone
ex-sovietiche (l’apertura e la chiusura è fornita dal gigantesco
monumento di Buzludzha in Bulgaria) ad altre orientali (sicuramente
Giappone) e ad altre ancora che non hanno una precisa collocazione
geografica, il che contribuisce a creare uno stato filmico di “sempre
e ovunque” che abbatte i confini fisici per ritrarre uno spazio a
se stante, un memoriale dell’abbandono, un’elegia dello sfascio,
perché nelle rovine di un McDonald’s,
di un parco giochi, di un ospedale, di una chiesa o di una prigione,
nella loro solitudine abitata da fantasmi, si intrasente il ricordo
di ciò che fu, ed è qui che Geyrhalter pone il suo
centro concettuale, Homo Sapiens è un film sull’essere
umano senza esseri umani, è un occhio che arriva dieci, venti, cento
anni dopo la scomparsa delle persone e che in un certo qual modo
trasla il film dal genere documentario a quello post-atomico.
Assodata l’assenza
dell’uomo sapiente (definizione alquanto opinabile), il
regista spinge parecchio sull’idea di una natura come unica
possibile sopravvissuta nei secoli a venire, ciò si desume grazie ad
un preciso lavoro nel campo sonoro implementato da un editing che
intensifica e sovrappone certe manifestazioni naturali, pertanto la
concezione di una corruttibilità dell’artificio umano è
certificata dalla lenta ma implacabile invasione della Natura
sottoforma di muschio, acqua, vento, erbacce, sole ed uccellini (gli
unici animali del creato con cui avremo a che fare) che zelanti
penetrano nelle macerie del cemento armato per farle proprie, per
deumanizzare, inconsapevolmente, il manufatto. Se vogliamo tale
movimento purificante può portarci molto lontano, nelle zone della
teoria cinematografica dove la necessità di un processo
definzionalizzante è un’urgenza a cui non ci si può sottrarre ed
il richiamo a forme originarie nelle quali trovare comunque degli
spunti estetico-narrativi dovrebbe essere l’obiettivo di chiunque
si considera un autore. Ad ogni modo non credo che Geyrhalter abbia
messo in preventivo un discorso così ampio, per cui è opportuno
asserire che: oggettivamente trovo parecchio stuzzicante l’idea di
mettere una mdp nel mondo e lasciare che la realtà diventi cinema,
non ci sarebbe niente di più facile e al contempo di più difficile,
tuttavia Homo Sapiens non si posiziona esclusivamente su
queste frequenze, facendo fede al proprio diktat di riprendere posti
in decadimento si autolimita proponendo un tour sicuramente
suggestivo e affascinante ma anche un po’ statico, l’impressione
è che non ci sia un’espansione così ampia al di là di quanto si
vede, stabilita l’antitesi tra titolo e argomentazione è faticoso
rintracciare un oltre. Resta il fatto che questo Geyrhalter, avendo
più tempo e più voglia, sarebbe da approfondire.
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