Nessuna lampada
riuscirebbe a fare luce in quel buio.
È sempre piacevole, ma
di un piacere che diffonde nel palato un sapore di sconfitta,
penetrare nel mondo di Pedro Costa poiché, come i suoi grandi
capolavori ci hanno insegnato, l’intersecazione si fa reciproca e
può accadere che in fin dei conti è il suo mondo che sta guardando
te, e non il contrario. Preso separatamente O nosso Homem
(2010) dirà poco a chi non conosce il maestro portoghese, sì, un
taglio “particolare”, un assorbimento del reale notevole, dei
dialoghi strampalati, insomma, che altro? L’altro, cioè tutto, è:
un’opera che dal ’94 in poi (anno di Casa de Lava) ha
continuato a perpetuarsi in ogni sua manifestazione e che
focalizzandosi sull’ultimità dell’umano ci ha spedito delle
memorabili cartoline dalla penombra, questo è il cinema di Costa che
ovviamente contiene ulteriori, pregevoli, componenti a cui si rimanda
nei vari commenti che chi scrive ha tentato di riservargli su queste
pagine, ma di sicuro un dato che va rimarcato e che si riaffaccia
anche nel corto sotto esame è quello di un’attenzione alla
geografia, dell’idea che un luogo possa rappresentare le persone e
viceversa, e poiché il quartiere di Fontainhas non esiste più
allora, in un qualche modo, non esistono nemmeno più i suoi
abitanti.
Tutto ciò si realizzerà
nel bellissimo lungometraggio successivo Cavallo Denaro
(2014), qui siamo ancora in un momento di transizione tra la fine di
un’epoca (Colossal Youth, 2006) e l’inizio di un’altra,
non solo più oscura e disperata ma anche affrancata dai paletti del
realismo, tale proiezione in una dimensione più alta (o più bassa,
chissà… ) si deve ad un Costa che dopo la spossante autopsia di In Vanda’s Room (2000) è pian piano salpato verso traiettorie che
mischiando i piani spaziali hanno avuto concretizzazione nel
sopraccitato film del ’14. O nosso Homem sta quindi a metà
tra due mondi e tra due modi espositivi vicini a diventare un
tutt’uno, abbiamo perciò nel dialogo tra madre e figlio il
desiderio di avere una casa, un tetto, una Patria, eppure subito dopo
il discorso scivola nel folkloristico, in una leggenda cupa e
tenebrosa, oppure ecco che ritorna il caro Ventura insieme ad un
amico, e riecco i problemi economici di quest’ultimo, la perdita
del lavoro, della moglie, di se stesso (“sono entrato in una casa
abbandonata per riposare e dei ragazzi hanno iniziato a picchiarmi”),
di nuovo la loro miseria (mangiano i resti di una zuppa in una mensa
scolastica), ma soprattutto, anche, l’apertura verso l’impossibile
che si fa possibile nello scambio di battute conclusivo dove si
allude alla presunta morte del socio di Ventura, il che ci dà la
conferma di come il cinema di Costa stesse già cominciando a
mostrarci il lato nascosto della realtà, un lato pullulante di
poveri fantasmi.
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