
I primi due capitoli, Vasumita e Samaria, non sembrano neanche partoriti dalla (geniale) mente del regista di Bonghwa. La telecamera è spesso “a spalla” con inquadrature traballanti che seguono da vicino i protagonisti, in una città, Seul, che appare più occidentale di una città occidentale. Non c’è spazio per la poesia di Ferro 3 (2004) o di Primavera… (2003), no. C’è una ragazzina che si prostituisce e una sua amica che le fa da pappona tenendo contabilità e contatti. Il tutto per comprare un biglietto aereo destinazione Europa. Di solito non mi soffermo più di tanto sulle sfilacciature di una trama, soprattutto se si tratta di cinema orientale, e in particolare di Kim Ki-duk. Ma nei primi due capitoli le imperfezioni ci sono e si sentono: perché le due giovinette non cambiavano motel per gli incontri sapendo che la polizia ormai le aveva beccate? E che “strana” coincidenza il fatto che il padre presenzi la scena di un delitto, e affacciandosi casualmente alla finestra veda la figlia che si fa montare da un tizio. Inoltre il suicidio della piccola prostituta è tanto repentino quanto immotivato.
Interessante, però, di come l’amica prenda il suo posto identificandosi con lei. Prima era solo la sua voce, poi diventa anche il suo corpo. Si potrebbe vedere l’una come il doppio dell’altra, con la protagonista che però si sente come in soggezione nei confronti dell’amica, forse a causa della sua formazione cattolica, ma che con la morte di quest’ultima, essa si responsabilizza facendosi carico di una missione: quella di restituire i soldi guadagnati, ma il prezzo da pagare è troppo alto per il padre.
La samaritana al pozzo è un episodio descritto nel vangelo giovanneo, la donna in questione è una peccatrice che ha avuto una vita dura. Ma l’incontro con Gesù nei pressi di un pozzo, cambia profondamente la sua esistenza.
La samaritana di questo film non ha avuto un’infanzia difficile per quel che ci è dato sapere. Ma di certo non apprezza la sua condizione se decide di partire per l’Europa. La condotta che ha non è ammirevole, ma nel terzo capitolo, Sonata, il più kimmiano dei tre, accade qualcosa.
Padre e figlia si allontanano dalla fredda città per smarrirsi, e quindi ritrovarsi, sulle montagne dove è seppellita la madre. Immersa nella natura, la samaritana ritrova la strada giusta nella bella metafora dell’auto e delle pietre colorate. Ma la conclusione non è a lieto fine. Appena finito il percorso disegnato dal padre, l’auto guidata dalla ragazzina incappa in buche e pozzanghere su di una strada che sarà la vita, la sua.
Spesso rileggendo le mie recensioni mi accorgo che alla fine non si capisce se un film mi sia piaciuto o meno. Quindi sarò diretto questa volta: no, non mi è piaciuto. E la motivazione non va ricercata nei difetti o nelle imperfezioni, ma nel fatto che Kim Ki-duk mi aveva abituato sempre a qualcosa di straordinariamente bello, mentre La samaritana è soltanto ordinariamente bello.