Una luna tremolante graffia la superficie del lago in una notte immobile. Piccole casupole colorate sono antri per pescatori solitari, assassini in fuga e borghesi puttanieri. Una donna, novella Caronte, di giorno trasporta anime dalla riva alle casupole e di notte si concede ad esse in cambio di soldi.
Nell’apparente immutabilità di una natura perennemente ciclica, l’imbarcazione di questa donna ferisce in silenzio le acque torbide del lago, e mentre la mdp spia dietro i vetri appannati delle casette, nasce un amore in questa sterminata distesa di liquido amniotico.
Complessa, e mi permetto di affermare, acerba opera di Kim Ki-duk che modella una storia in cui un uomo e una donna, persi in un lago fuori dal tempo, abbandonano se stessi alla violenza della morte e dell’amore. Figure simmetriche e solitarie, però lontane, che si congiungeranno solo dopo una crudele prova in cui ripescheranno, nel vero senso della parola, loro stessi. Ami che scivolano lungo l’esofago, o che deturpano una vagina, thanatos e eros che si sfiorano sulle punte di un pennello.
L’isola, luogo poetico e metafisico prima che i reality show ne prendessero possesso, ha una dimensione intima pulsante dove la passione esplode in maniera catartica spogliando i due innamorati di ogni insicurezza e perbenismo, rendendoli dei selvaggi disposti ad uccidere, e uccidersi, per amarsi. Lacerazioni carnali, sesso brutale e torture ad animali sono il contrappasso da pagare poiché ogni passione nasconde un lato di dolore.
Si accusa, però, come mai mi era capitato in un film di questo regista, il peso del silenzio. Davvero assordante la mancanza di una spiegazione, che questa volta non si riesce ad intuire negli sguardi o nei gesti degli attori, al punto che nella prima mezz’ora si fatica a capire i ruoli di ogni singolo personaggio.
Il preludio di Primavera...
Nell’apparente immutabilità di una natura perennemente ciclica, l’imbarcazione di questa donna ferisce in silenzio le acque torbide del lago, e mentre la mdp spia dietro i vetri appannati delle casette, nasce un amore in questa sterminata distesa di liquido amniotico.
Complessa, e mi permetto di affermare, acerba opera di Kim Ki-duk che modella una storia in cui un uomo e una donna, persi in un lago fuori dal tempo, abbandonano se stessi alla violenza della morte e dell’amore. Figure simmetriche e solitarie, però lontane, che si congiungeranno solo dopo una crudele prova in cui ripescheranno, nel vero senso della parola, loro stessi. Ami che scivolano lungo l’esofago, o che deturpano una vagina, thanatos e eros che si sfiorano sulle punte di un pennello.
L’isola, luogo poetico e metafisico prima che i reality show ne prendessero possesso, ha una dimensione intima pulsante dove la passione esplode in maniera catartica spogliando i due innamorati di ogni insicurezza e perbenismo, rendendoli dei selvaggi disposti ad uccidere, e uccidersi, per amarsi. Lacerazioni carnali, sesso brutale e torture ad animali sono il contrappasso da pagare poiché ogni passione nasconde un lato di dolore.
Si accusa, però, come mai mi era capitato in un film di questo regista, il peso del silenzio. Davvero assordante la mancanza di una spiegazione, che questa volta non si riesce ad intuire negli sguardi o nei gesti degli attori, al punto che nella prima mezz’ora si fatica a capire i ruoli di ogni singolo personaggio.
Il preludio di Primavera...
Visto stanotte per la prima volta. Stupendo, crudele e preludio di tanto Ki Duk che verrà.
RispondiEliminaGiovanni
Adesso scatta la Kim-mania :)
RispondiEliminaIo sono un adoratore storico, mica dell'ultimo momento ;) ne sto solo approfittando per vedere i primi lavori dato che mercoledì mi tocca Pietà in anteprima nazionale
RispondiEliminaGiovanni
Lo so, non mi riferivo certo a te ma coloro i quali - e lo posso assicurare poiché vedo le chiavi di ricerca che portano al blog - dal momento in cui Kim ha cantato Arirang sul palco si sono messi sulle sue tracce e sono arrivati qui in buon numero. Io mi accontenterò dell'uscita di venerdì, di certo non mancherò l'appuntamento.
RispondiEliminaHa detto che per lui è un nuovo inizio, e che Arirang è stato necessario per ricominciare. Speriamo bene. Poi ne parliamo sul mio blog di cinema preferito ;)
RispondiEliminaGiovanni
Eh eh sicuro! Attenzione però, non bisogna dimenticarsi che Kim fra Arirang e Pietà ha fatto un altro film per adesso irreperibile: Amen, bisognerà tenerne conto. Condivido la speranza ma vedo già molte recensioni (compresa la mia): "bel film ma non è il Kim di un tempo".
RispondiEliminaDomani lo vedo e poi lo metabolizzo fino a venerdì, però ho buone speranze, ci voglio credere. Intanto Address Unknown: MAAAAAAAAAAMMA MIA.
RispondiEliminaGiovanni
è vero... Address Unknown, non so perché l'avevo rimosso, certo che Kim ce ne ha regalate perle in passato eh.
RispondiEliminaPoi magari se ti va, dopo la visione di Pietà, accennami un piccolo parere, così da mettermi in guardia :)
Tornato a casa ora dopo maratona a cinema di Pietà + E' stato il figlio (Ciprì senza Maresco).
RispondiEliminaIo non ti dico niente ancora :) sono abbastanza fiducioso, anche perchè dovrebbe ricordarti tanto un certo regista, una certa trilogia, diciamo pure quadrilogia, ora. Buona visione ;)
Giovanni
Mi permetto solo: finale da antologia.
RispondiEliminaG
mmm, trilogia? Mi viene in mente Park ma di quadrilogie non se ne parla con lui... o forse parli di Kim stesso? Marcirò nella curiosità fino a venerdì.
RispondiEliminaE Ciprì com'è? Voglio vedermi anche quello, sebbene Servillo, solo per il fatto di essere un prezzemolino e non per le sue doti, mi urta non poco.
Ciprì capolavoro e Servillo clamoroso.
RispondiEliminaPs. il quarto è Pietà ;)
G
per quello non mi sta simpatico, è troppo bravo e lo fa vedere troppo in giro :).
RispondiEliminaSe il quarto è Pietà sparo gli altri tre: Ferro 3, L'arco, Primavera... sbaglio?
nono, gli altri 3 non sono di Ki Duk :)
RispondiEliminaG
non può essere ciò che penso... o sì?
RispondiEliminane riparliamo venerdì notte :)
RispondiEliminaG
visto?
RispondiEliminaG
sì.
RispondiEliminaDirei che ero stato veggente di me stesso, nel senso che ora, a caldissimo, mi viene da dire "non male, ma il Kim di un tempo è molto lontano". Ci sono cose che sì, altre che no, il Kim di una volta ti faceva credere quelle che no in quelle che sì. Se ne parlerà da queste parti più approfonditamente.
E mi sa che avevo azzeccato pure il discorso sulla trilogia che dunque resta in ambito coreano, o no? :)
si, quale altra trilogia d'altronde :) non credo nemmeno che ci siano rimandi consapevoli tra i due, più un punto di partenza comune diciamo, o forse un punto d'arrivo. Comunque io penso che sia un capolavoro di quelli che hanno il "difetto" di fartene accorgere solo dopo un poco, a freddo. I difetti, SE ci sono, sono ampiamente superati dal risultato complessivo. Quello che io ho accusato a caldo è stata una certa retorica (probabilmente aggravata dalle traduzioni) che però scompare nella gestione del percorso di redenzione, che inizia dalla sequenza del suicida sul palazzo, o ancora prima dalla masturbazione/i (primo/i momenti di umanità). Non è Oldboy certo, ma è un grande film, con una profondità e una coerenza maggiori di quanto non sembri a primo impatto. La domanda da farsi è: dov'è la Pietà del titolo? Sembra passare in secondo piano rispetto al sentimento tutto coreano della Vendetta, ma non è così. La pietà diventa mezzo attraverso cui prende forma un paradosso terribilmente umano, per cui essa è mezzo della vendetta di una madre, ma anche base di ricostruzione di un identità umana. La pietà rende il diavolo umano e così lo distrugge, nell'unico modo in cui una vendetta può alla fine sostanziarsi in una sorta di lieto fine, una vendetta che redime, che ricostruisce e salva. A prevalere non è il rancore, ma la pietà reciproca. Quello che conta alla fine non è chi sia chi, ma quello che si è diventati durante quel percorso: anche dopo la scoperta del corpo sepolto, lei è ancora sua madre. Non escludo che nel finale ci sia un idea di ricongiungimento. E se ci fai caso, la pietà è l'unico sentimento non elencato dalla madre come derivato dai soldi, che pure sono "la fine e l'inizio di tutto".
RispondiEliminaG
Brevemente che sono proprio di passaggio: tutta la manfrina sui soldi, la critica al capitalismo estremo (parole di Kim), i piccoli artigiani strozzati dal denaro e così via sono aspetti che non mi sono piaciuti, li ho trovati anonimi, certamente non kimmiani. Tutto ciò che riguarda l'aspetto umano invece l'ho gradito, con le ferite consanguinee che non si rimarginano, i continui rimandi madre-figlio e tutte le interpretazioni possibili del titolo come quella che hai fatto tu (ottima).
RispondiEliminaDi capolavoro non me la sento di parlarne (ci sono passaggi che non mi hanno convinto, tipo lui che si addormenta vicino al gancio), di contro l'ultima mezz'ora il film decolla e alla fine ho goduto.
Quando Kim dice che il denaro è il terzo protagonista del film, credo voglia sottolineare anche che non è il primo: il contesto "capitalistico" più che essere protagonista a sè serve a mostrare gli effetti scatenati sugli altri due protagonisti dal mestiere-maschera di riscossore (quando lui si sveglia la mattina è ancora ragazzo, ma una volta vestito e armato è già mestierante-non più umano), e le storie di contorno più che vere e proprie storie corali (come in Address Unknown) sono al contempo immagini-conseguenze delle azioni di lui e al contempo concause scatenanti del succitato processo di umanizzazione. Il contesto di persone e soldi che lo circonda viene progressivamente letto attraverso il filtro della sua relazione, che d'altro canto e così anomala da non potersi definire solo materna o amorosa, ma quasi primordiale (come primordiale è nella violenza iniziale e fisica tra i due, e primordiale è lui nel suo regresso ad infante, all'origine quindi, nel suo ritorno alla terra). Più che un personaggio quindi i soldi sono un luogo e una chiave di lettura. Detto questo concordo sul fatto che il film alla fine decolla, ma credo sia dovuto anche a come è impostato all'inizio (senza scendere nel dettaglio di singole scene più o meno riuscite).
RispondiEliminaSe vuoi/puoi (non so come funziona blogspot) puoi spostare i commenti sotto alla apposita recensione, quando e se la farai ;)
G
sì beh questo non è un film sulla crisi e la componente di "denuncia" è chiaramente un mezzo per evidenziare l'ipocentro del film, non sono stato deluso da ciò ma più meramente dalla via di esposizione, secondo me si poteva fare qualcosa di più nella trasmissione delle info sul quadro economico del luogo, mi è parso tutto troppo diretto (occidentale?) tanto che a latitare è quella peculiarità propria dell'autore, ovvero la capacità di narrare tramite immagini, di navigare e perché no naufragare nel simbolismo orientale, qui non c'è niente di tutto questo, la "critica" di per se è inerte, continuo ad affermareche non sia roba per lui. Poi a pensarla come dici tu, ossia che quetsa parte sia interconnessa con il nucleo del film (e ammetto che è plausibilmente così) l'opinione mi si addolcisce, e ci posso passare sopra. Magari questo sarà il nuovo corso kimmiano, chissà, meno voli pindarici e più pragmatismo. Lo accetterei comunque.
RispondiEliminaNon credo si possa fare una transumanza di commenti, vabbè; ci ho scritto qualcosa perché dovevo e perché se non lo faccio subito poi vado in panico. Sicuramente da ieri sera il film è cresciuto dentro me.
E' un Ki Duk diverso, meno ubriacato d'immagini, come dici giustmente (e la qual cosa mi fa comunque preferire Primavera, Ferro3, L'arco e L'isola), meno onirico, ma non direi meno orientale. La scena in cui solleva la carrozzina per far vedere l'uomo oltre il muro, la scena in cui lui e il futuro suicida osservano il quartiere dall'alto e tante altre sono piene di oriente-kidukkiano. Certo il film è molto più dinamico e sopratutto molto più parlato dei precedenti. Non vorrei fosse la suggestione dell'averlo visto subito prima, ma il paragone più prossimo nella filmografia del regista forse è proprio quell'Address Unknown dalla violenza così simile e dal chiaro interesse sociale, di sicuro meno estetizzante e meno sbilanciato su un piano retorico. Secondo me, tornando al discorso delle vittime e facendo un analisi che esula dalla critica formale che gli fai e che è giustificata in relazione alle opere straripanti a cui ci ha abituato il regista, anche le vittime sono gestite in modo non banale: ad una viene "rimesso il debito" (e torna la metafora cristiana) ma si buca lo stesso le mani cercando una scorciatoia per la famiglia, ma in realtà agendo da codardo, uno educa il figlio alla vendetta, un altro sopravvive nella pietà della coppia, l'uomo sulla carrozzella capisce: "Ho vissuto male", e tramite le sue parole prende coscienza anche il nostro protagonista. Tutto sommato quello che è importante in queste figure di contorno non è la loro storia,non è un preciso contesto (realistico come in Address), quanto l'esemplarità delle loro posizioni, non banalizzata nella figura omologata della "vittima" (non c'è manicheismo, tutto è molto relativo-umano), una caratterizzazione che se rischia la retorica, la schiva coprendo un vasto ventaglio di possibilità umane, addendi di un meccanismo di pietas che termina con l'autosottrazione del male.
RispondiEliminaUna curiosità: la diffidenza che ti ha provocato il film è simile a quella che avesti guardando Faust di Sokurov? Magari è tutta una questione di ritmo atteso e ritmo effettivo. Uno si aspetta una cosa e la cosa diversa, giustamente, lo stranisce.
(che poi spero tu ti sia ricreduto, Faust è palesemente un capolavoro assoluto e inarrivabile della storia del cinema :) ma si parla d'altro)
Scusa il sermone
G
ti rispondo alle ultime due domande perché ho un tempo limitato, come tutti del resto (ma domani metto online la mia paginetta word e magari poi si continua lì :) ). La roba delle attese potrebbe anche essere, nel rapporto uomo-cinema le debolezze del primo spesse volte prendono il sopravvento, ma qui rispetto a Faust credo di essere un pochino più sicuro di quanto affermo perché ho amato molto Kim ed essendomi emozionato e appassionato alle sue opere penso di conoscerlo un minimo. E' chiaramente un altro Kim, anche io preferisco il "vecchio", ma questo lo accetto e spero che se ci sarà un futuro su questa strada sia via via sempre migliore.
RispondiEliminaSu Faust non ne ho mai sminuito la grandezza (se l'ho fatto chiedo umilmente venia), solo che al tempo il discorso era uscito in relazione a Tarr e la mia partigianeria mi aveva fatto forse esagerare. Dovrei rivederlo.
Forse questa discontinuità (nonostante le differenze, che ci sono) è più apparente che altro. Ne riparleremo dopo una seconda visione.
RispondiEliminaRifuardo Tarr, è ovviamente un'altra cosa, ma il Faust è Enorme Cinema, da top 5.
Si continua di là allora ;)
G