venerdì 23 maggio 2008

Stop

Niente dài, mi fermo un po’. Non so per quanto, qualche giorno o anche di più.
Parecchie idee da riordinare, nella vita virtuale e non, magari studiare anche.
Torno e cambio, questo è sicuro, c’è bisogno di aria fresca.
Giusto per dire, ho 34 film da vedere, 18 storie già finite, una decina abbozzate, 7 pagine di word di L’uno per l’altra.
Col tempo metterò tutto, piano piano, adesso mi fermo.
A presto.

The Game - Nessuna regola

Rare sono le mie incursioni nel cinema da blockbuster, ma necessarie per non farmi perdere le coordinate nel mondo di celluloide.

David Fincher non è uno sprovveduto, grazie ad una gavetta nei set di alcuni film che hanno fatto la storia del cinema recente come La storia infinita, Il ritorno dello Jedi e Indiana Jones e il tempio maledetto, esordisce con il Alien³ (1992), non apprezzato dai fan del mostro in quanto il film affronta tematiche diverse dai suoi predecessori. Il grande salto avviene nel '95 con Seven, l’opera che rivoluziona il genere thriller a Hollywood grazie anche ad un cast stellare. Due anni dopo esce queso The Game, anch’esso con attori da urlo tipo Michael Douglas protagonista o il sempre grandissimo Sean Penn.

Nicholas Van Orton è il classico miliardario che ha lasciato gli affetti in cambio del denaro, nel giorno del suo compleanno il fratello Conrad gli regala la partecipazione ad un gioco speciale.
Metaforicamente si può vedere il film come una strada senza uscita che collassa su stessa, sembra che l’inizio e la fine coincidano, Nicholas si getta giù da un palazzo così come aveva fatto il padre, ma la soluzione sta nel titolo del film, è un gioco, un gioco riabilitativo aggiungerei. La curiosità dello spettatore in questo genere di film sta sempre nel vedere fino a che punto il regista riesce a spingersi, e a quanto risulti credibile.
A fine visione si può anche essere soddisfatti, il ritmo, la tensione e qualche spruzzata di ironia, fanno digerire due ore di girato. A freddo però è inevitabile qualche considerazione sulla sceneggiatura: credo sia difficile che un’organizzazione riesca a controllare in modo così tentacolare una serie di situazioni... la polizia, la banca, l’ospedale, le tv, tutto sembra piegarsi alle richieste della Rcs ed al suo gioco.
Bella la scena in cui Nicholas entra nella Rcs e rivede seduti tutti i personaggi che ha incontrato negli ultimi giorni, ma anche quello era il gioco, oppure no?

Dunque da una parte si può accettare la storia così com’è e godersi il film senza fare troppe domande, dall’altra si può andare a spaccare il capello in quattro e credo che salteranno fuori parecchie incongruenze. Io sto tra i primi, in fondo è solo finzione, un gioco insomma.

giovedì 22 maggio 2008

Confessioni proibite di una monaca adolescente

Jess Franco, al secolo Jesus Franco Manera, è un regista spagnolo che ha all’attivo qualcosa come 200 lungometraggi girati in circa 45 anni di carriera, cifre impressionanti che però non gli hanno consentito di entrare nel giro che conta, vuoi per il suo modo di porsi - si considera egli stesso un outsider - vuoi per la critica che lo ha spesso stroncato nonostante tra i suoi stimatori avesse registi del calibro di Buñuel ed Orson Wells, mica cotiche! Fino a poco fa ero a completo digiuno con questo regista, ma conto di rifarmi in futuro.
Probabilmente il mio approccio con Franco è stato sbagliato, Confessioni proibite di una monaca adolescente non è nemmeno segnalato in alcune sue filmografie, e questo la dice lunga sull’importanza che si dà a questo film.
Ho avuto la fortuna di beccare un rippaggio da dvd, e quindi ho potuto “godere” della messa in scena che peraltro è discreta, dai costumi, alle ambientazioni barocche; certo che il film perde di ogni credibilità fin dall’inizio quando il prete acconciato alla Nino D’angelo dei tempi d’oro, si masturba durante la confessione della piccola Maria, il cui aggettivo “piccola” le calza a pennello data l’acerbità del suo corpo. Il film oscilla tra il b-movie ed il nunsploitation più becero pur non esagerando mai nei contenuti hard. Immagini di un convento (1979), per fare un esempio, è molto più spinto (ci sono scene di penetrazione); si precipita nel trash psichedelico, alla Polselli per intenderci, con l’entrata in scena del diavolo. Dovete sapere che la protagonista Maria viene accalappiata dal prete Nino D’angelo in un bosco, il quale dopo aver convinto la madre porta la ragazzina nel suo convento, solo che qui invece di adorare il Signore gli si preferisce il buon vecchio Belfagor. Sorpassando sui dialoghi, e le pietose scene della madre superiore che si sollazza con altre suorine invocando il Demonio, arrivo diretto all’entrata di Lucifero in persona nel film, e non si sa se piangere o se ridere perché è vestito come Cappuccetto Rosso, ed invece che due corna ne ha solo una, piantata nel centro della fronte (?), in più è dotato di mani pelose che mi hanno ricordato molto quelle de l’uomo lupo ne La croce dalle sette pietre (1987)…
Il compito di Satana è quello di inchiappettarsi Maria e mentre lo fa alcune suore intorno mostrano allegramente le tette. Che dire… una delle sequenze più trash che mi sia capitato di vedere!
Nel finale mi sono perso, Maria viene salvata dal rogo in quanto accusata di stregoneria, forse dal re di Portogallo, o da qualchedun’altro, comunque c’era la finale di Champions mica potevo stare lì a vedermi che fine faceva Maria!

Decisamente brutto, vuoto, insensato, ma sempre con un certo stile.

mercoledì 21 maggio 2008

Il blog che vorrei

Non è certamente il mio.
Ultimamente “Oltre il fondo” sta diventando una vuota carellata di film astrusi che vedo io e qualche altro fissato, il fatto è che se fossi un critico di cinema, o un esperto in generale, ci sarebbe un senso, ma siccome non so nulla in materia potrei riempire i post di lettere a caso che sarebbe uguale. Aijsdsidhasodhasofdfowdhfow (ehi funziona!!)
Per il resto le “storie” che scrivo sono più o meno della qualità dei film che vedo, anzi peggio, senza anzi. A rileggerle certe cose mi mettono i brividi.
Di altre persone ho parlato fin troppo, di me ho parlato abbastanza, sempre con una vena malinconica, triste. E sono dispiaciuto perché non sono così, ma che ci posso fare? Beh tutto, sono io che scrivo. Ecco fantastico, adesso parlo anche da solo.
No, il blog per me deve essere una porta che entra nella vita di chi l’ha creato, con discrezione, chiedendo permesso se necessario, però capendo chi c’è dietro la tastiera. Mi chiedo cosa possa trasparire dal mio sempre circondato da un’aura pessimistica, dovrei scriverci nell’intestazione che è altamente sconsigliata la lettura a chi è giù di morale.
Negli ultimi giorni ho viaggiato al ritmo di un post al giorno perchè non ho un cazzo da fare, spero che mi richiamino al lavoro, non mi importa delle vacanze estive, sono in vacanza da una vita io.
E poi cosa volevo dire? Niente, ero partito con un’altra idea per questo post ma sono uscito dal seminato e non ho voglia di rientrarci, credo che andrò a dormire, dopo aver ascoltato qualcosa… mmm… vediamo, non trovo niente, buffo…le canzoni che ho sono sempre le stesse eppure a volte mi sembra che ne manchino, non so cosa voglio ma so che c’è, eppure non riesco a vederlo.
Prima o poi dovrò anche cambiare questo sfondo lugubre, già nel mio primo post mi ero promesso di farlo, e magari anche il nome, mi piacerebbe un “Risalendo”, sì, sarebbe bello.

martedì 20 maggio 2008

Meatball Machine

Cazzo che film! Meatball Machine è una miscela esplosiva che mischia: Tetsuo (1988), Alien, Cronenberg, cyberpunk e sangue come se piovesse.
In principio fu un cortometraggio del 1999 di Yamamoto Jun’ichi che grazie ad alcune collaborazioni si è trasformato in un delirio visivo lungo un’ora e mezza.
Il mondo contemplato dal regista è abitato oltre che dagli uomini anche da esseri simili a parassiti che si appropriano dei corpi umani e li usano come “navi” per distruggere tutto e tutti, persino i loro simili. Il protagonista del film è un timido ragazzo di nome Yoji che lavora in una piccola fabbrica, qui durante la pausa pranzo spia sempre una ragazza che abita lì vicino, per poi "sfogarsi" a casa da solo.
Un giorno, dopo che all’uscita di un cinema porno viene pestato da un transessuale, piomba dal cielo uno di quei parassiti citati prima, l’insetto tentacolare non attacca il ragazzo in quanto quest’ultimo è immobile per terra, così Yoji decide di portarselo a casa per studiarselo bene. Sfiga vuole che qualche giorno dopo salva la tipa che spia al lavoro da uno stupro, e se la porta a casa. Mentre se la sta per limonare la bestiola che fino a quel momento era sembrata inoffensiva buca una parete e si impadronisce del corpo di Sachiko. Dopo una breve colluttazione i due finiscono in strada dove appare una specie di cacciatore di mostri che mette in fuga il Neo-borg (questo è il nome) e porta via con se Yoji ferito. Il tizio, che ha una figlia scampata per miracolo all’attacco di un parassita, sembra saperne molto sulla faccenda e spiega che questi esseri quando si impossessano di un corpo umano rimuovono tutta la memoria contenuta in esso. L’uomo però si rivela un mad–doctor che alleva parassiti come fossero pianticelle di gerani, e così siamo verso metà film che Yoji viene aggredito e trasformato in un Neo-borg, ma non completamente perché poco prima della trasformazione finale riesce a staccare il parassita dal proprio corpo, in questo modo mantiene il controllo (parziale, farà fuori una bambina) di se stesso e si mette alla ricerca di Sachiko ormai posseduta dall’entità aliena.

Salta immediatamente all’occhio la rapidità del montaggio quasi frenetico, le scene di lotta sono convulse, accompagnate da inquadrature sbilenche al martellante ritmo metal-punk, i costumi tentacolari dei “posseduti” sembrano usciti da un videogioco tipo Doom e rispecchiano in pieno la cultura dell’eccesso tipicamente orientale; apprezzabile la tecnica usata dal regista nell’anticipare momenti topici con scene di quiete apparente, come per esempio l’ “help me” di Sachiko poco prima che le due lenti di ferro le trapanino gli occhi. Oltre agli elementi esploitativi non va dimenticata la storia d’amore su cui si basa il film, stroncata sul nascere dalla minaccia aliena e disperatamente sofferta nello scontro finale in cui Sachiko chiede a Yoji di ucciderla, pur essendo inserito in contesto così grottesco questo legame risulta credibile e non lascia indifferente neanche lo spettatore più insensibile.

Alcuni momenti sono notevoli, il già citato trapanamento di occhi, la trasformazione completa di Yoji in cui però il ragazzo non perde totalmente la memoria e in una scena memorabile ricorda la sua triste vita, o le riprese all’interno della “cabina di comando” del virus, ecco forse questa è stata una scelta troppo azzardata, vedere quel mostriciattolo esultare o ridere delle sue malefatte rasenta davvero la comicità involontaria, un conto è un piccolo Toxie Avenger che lotta contro un suo alter-ego neonato all’interno di una placenta in film della Troma, e un altro conto è un parassita che si sganascia dal ridere in un contesto semiserio. Un’altra pecca è il combattimento finale, troppo lungo (dura trenta minuti). Il dialogo conclusivo tra due bestiacce spiega un po’ di punti oscuri, nonché il senso del titolo.
Per chi vuole sperimentare.

lunedì 19 maggio 2008

Terror Firmer

Il riassunto della filosofia (?) di Kaufman, un concentrato di sesso, splatter, demenzialità e cattivo gusto. Se qualcuno si volesse avvicinare al mondo della Troma questo è il film giusto.

In pratica si assiste alle riprese di un film su Toxic Avenger in cui il regista cieco è interpretato dallo stesso Kaufman alle prese con una troupe di squinternati, e dove nel set si possono rivedere alcuni personaggi simbolo di questa casa produttrice come il sergente Kabukiman, il vendicatore tossico e la mucca pazza. Gli attori sono all’incirca gli stessi di Citizen Toxie: The Toxic Avenger IV (1999) esclusa la protagonista Jennifer e Casey l’ermafrodita.

La prima ora è pesante, la demenzialità di Kaufman vorrebbe far ridere mentre invece annoia e basta, la trama è assente e si vede solo un susseguirsi di scenette idiote all’interno del set, inframezzate dai delitti di una misteriosa assassina dal volto nascosto. L’altra metà del film è indubbiamente migliore, più ritmo nella vicenda con un colpo di scena (quasi) inaspettato, e soprattutto si toccano dei temi pesanti come la pedofilia e l’incesto, ovviamente sempre con lo stile della Troma.

In quanto a schifezze il menù è davvero ricco, si va da della cocaina infilata su per il culo con un imbuto, a un cetriolo utilizzato come dildo, passando per un pene allungato a mò di elastico, senza dimenticare la vicenda di Casey, molestato dal padre (il grande Ron Jeremy) che gli tagliò il pisello in quanto voleva una femmina da trombare. Poi non mancano mutilamenti,decapitazioni, morti violente e fiumi di vomito, ma essendo all’ordine del giorno nei Troma movie non li cito neanche.

Terror Firmer è tratto dal libro di Kaufman All i need to know about filmmaking i learned fromthe Toxic Avenger, capito che volpone? Certo che Kaufman è un bel paraculo, cioè fa film volutamente brutti e poi li infarcisce con frasi del tipo “questo è un film low-budget” e simili, quasi per giustificarsi dalle critiche. Bah… comunque quest’uomo è davvero un pazzo furioso, e non credo sia un caso che abbia voluto apparire come un cieco in questo film, è auto-ironia, come potrebbe esistere un regista cieco? A giudicare dai film della Troma potrebbe esistere eccome…
Da vedere perché: non si risparmiano nudi integrali, anche maschili se c’è qualche donzella che legge, alcune scene come quella sul divano tra Toxie e Jennifer o il ciccione nudo che corre per New York fanno (sor)ridere, alcuni SFX non sono malaccio, alla fine si vedono i creatori di South Park che leggono un giornalino sugli ermafroditi, e poi c’è Ron Jeremy sfigurato!
Da NON vedere perché: è un film by Troma, e tutto ciò che ne consegue.

domenica 18 maggio 2008

Ed Gein - Il macellaio di Plainfield

Avete presente Leatherface, il simpaticone di Non aprite quella porta (1974) con l’hobby di scuoiare persone e di usare la pelle come un costume? Il caro Norman Bates di Psyco (1960)? Ed il dottor Hannibal Lecter de Il silenzio degli innocenti (1991)? Beh penso di sì, quello che probabilmente non sapete è che tutti e tre sono personaggi che prendono spunto da un uomo realmente esistito: Edward Gein.

Il caso di Gein sconvolse letteralmente l’america, all’interno della sua casa furono rinvenute teste mozzate, calotte craniche trasformate in ciotole, utensili e soprammobili costruiti con ossa umane, un “costume” fatto di pelle con una vagina e delle mammelle cucite insieme.
Tutta questa follia si sviluppò a causa di un padre insensibile ed alcolizzato, e di una madre religiosa fino al fanatismo, il rapporto tra Ed e quest'ultima è sempre stato molto forte, a differenza del fratello maggiore più indipendente e autoritario rispetto a Gein.

Sono sempre un po’ restio a guardare film che raccontano la vita di una persona in quanto ho idea che l’attendibilità lasci spazio a costrizioni imposte dagli schemi narrativi di una pellicola, ossia da ciò che uno spettatore si aspetta, inoltre solo Ed Gein poteva sapere esattamente come erano andate le cose, ed anche dopo le sue testimonianze la verità dei fatti è restata nella sua mente malata.
In ogni caso ho apprezzato molto la scelta di Chuck Parello di non premere l’acceleratore sulle scene splatter, in cui avrebbe potuto tranquillamente sguazzare data la quantità di materiale a disposizione, ma di occuparsi principalmente dell’abisso in cui il protagonista sprofonda, e lo fa con uno stile asciutto, essenziale, senza fronzoli. Interessante la struttura del film che alterna il presente a flashback del passato di Gein in cui viene messo in evidenza il rapporto che lega Ed e sua madre Augusta, giungendo alle battute finali in cui il serial-killer vede la madre al suo fianco consigliandogli le mosse per commettere un omicidio.
Memorabile la scena dove Ed Gein, vestito della pelle umana di una donna, danza sotto la luna piena, probabilmente questa pulsione di assumere sembianze femminili era dovuta alla necessità di ritrovarsi nella madre, una sorta di transessualità estrema.

Un discreto film in definitiva, abbastanza povero dal punto di vista visivo, ma solido nei contenuti. Di base se si vuol conoscere la storia di Edward Gein.

giovedì 15 maggio 2008

Il canto dei grilli


Un uomo sta correndo.
Il mare d’erba davanti a lui sembra non terminare mai, inciampa, ruzzola, si rialza, continua a correre.
Ha una pistola in mano, vorrebbe gettarla via ma non sa se è la cosa giusta da fare.
Inizia a sentirsi stanco, decide di fermarsi, gli viene da piangere ma non ha più lacrime.
Si sdraia sul prato, con il cuore che batte a mille, e guarda le stelle.
I grilli cantano una canzone speciale quella notte, lui ascolta con il petto che si gonfia e si sgonfia, loro cantano di un uomo e degli errori che ha commesso, di come non si possa tornare indietro certe volte, e della salvezza che in certi casi può essere raggiunta tramite lo strumento della dannazione.
Lui sa che c’è un colpo nella pistola.

Tre uomini e tre cani sono sulle sue tracce.
Loro hanno le torce, possono vedere nel buio.
Loro sentono gli odori grazie ai cani rabbiosi.
Loro hanno la divisa.
Ma non riescono a sentire il canto dei grilli quella notte, non sanno che l’uomo che stanno cercando ha ancora un colpo, se si fermassero un attimo ad ascoltare il continuo frinire allora capirebbero. Sono guidati dai cani e dalla loro frenesia, schiumano di rabbia, digrignano i denti, imprecano accecati dal desiderio.

Lui ascolta il canto.
Ha deciso cosa fare.
Si alza in piedi appoggiando la fredda canna alla sua tempia, il grilletto è più pesante di prima.
Un lampo ed un tuono.

Solo a quel punto i grilli smettono di frinire, hanno cantato per tutti quella notte, ora sono stanchi.

mercoledì 14 maggio 2008

Story of Ricky - Riki-Oh

Grande film questo che va preso per quello che è, ossia una trasposizione, fedele a quanto dicono, di un fumetto, niente di più, niente di meno. Su molti siti ho letto la parola trash affiancata a questo lavoro, niente di più sbagliato a mio avviso perché rimango dell’idea che per “trash” si debba intendere l’imitazione fallita di modelli alti, in Riki-Oh il regista ha volutamente creato personaggi eccessivi, quasi grotteschi, che compiono azioni soprannaturali oltre i limiti della fisicità, tutto ciò è voluto, e dunque vale un po’ il discorso della Troma che crea film volutamente così e che quindi perdono di ogni valore trashistico.

Attenzione però a non sottovalutare troppo Riki-Oh riducendolo ad un filmetto di arti marziali splatterose, nel sottotesto c’è una velata critica alla droga. Non per caso la fidanzata di Ricky muore per mano di una banda di tossici, e il detenuto che mostra al protagonista delle foglie di oppio viene scotennato vivo, scatenando la furia di Ricky che brucerà il raccolto all’interno della prigione, facendo incazzare l’ odioso capoccia della prigione.
La struttura del film assomiglia ad un picchiaduro, più si va avanti e più i nemici che Ricky deve affrontare sono tosti, arrivando all’ultimo che addirittura si trasforma in un essere mostruoso ma che farà la fine della carne macinata.
Il film è ambientato interamente in una prigione in cui il direttore si approfitta con i suoi lacchè dei detenuti più deboli, l’arrivo dell’eroe senza macchia e senza paura riporterà la libertà. Ricky è davvero un puro di cuore, pronto a difendere i suoi compagni vittime di angherie di ogni genere (asportazione di occhi per esempio) ma anche a struggersi il cuore ripensando alla sua fidanzata, o a donare il suo flauto ad un ragazzo a cui avevano tagliato la lingua, lo stesso che poi verrà scotennato.

Le scene di lotta sono brevi, e ben presto si arriva allo splatter più estremo, anche se, a mio parere, senza mai essere di cattivo gusto se lo si considera sempre nell’ottica del fumetto. Dal punto di vista della violenza Riki-Oh è di una potenza disarmante, ogni combattimento è memorabile per una qualche scena gore, casereccia dal punto di vista degli SFX, ma di sicuro effetto. Sfido io a guardare un tizio che cade con l’occhio sopra un chiodo, o Ricky che prima si lega da olo i tendini del braccio e poi viene preso a schiaffi con la bocca piena di lamette da barba, in maniera impassibile.
Pur essendo un prodotto low-budget si riesce ugualmente a cogliere la potenza visiva che solo in oriente hanno. Sono rimasto piacevolmente stupito, in quanto mi aspettavo una mezza cagata, da alcune scene come la colata di cemento all’interno della cella, il tritacarne finale, o il muro distrutto da Ricky alla fine.

Oltre al protagonista troviamo, il direttore della prigione, un panzone circondato da cassette porno con un occhio finto ed un uncino al posto della mano, i suoi quattro scagnozzi esperti in arti marziali che daranno del filo da torcere a Ricky, il capo di tutta la baracca con figlio cicciotto e viziato a seguito, che entra in scena a metà film, il quale rende uno stupido il direttore che fino a quel momento era sembrato un despota, infine i detenuti vittime dei sotterfugi. Tutti questi personaggi, pur non eccellendo in prove attoriali magistrali, o in dialoghi shakespeariani, sono caratterizzati in modo tale che l’eroe venga amato (forza Ricky!) e il nemico venga odiato (fanculo Warden!).
Credo che in Italia non sia mai stato distribuito, esiste una versione doppiata in spagnolo e una con i sottotitoli in inglese (quella che ho visto io), entrambe facilmente rintracciabili a dorso di mulo.

martedì 13 maggio 2008

Reazione a catena

L’inizio è fulminante. Una signora anziana su una sedia a rotelle si muove nella sua stanza buia, i violini quasi allegri in sottofondo stridono con l’atmosfera tetra della casa. Ad un tratto la musica cessa e dal buio sbuca un cappio che cinge il collo della vecchia uccidendola. È il primo omicidio di una lunga serie, una reazione a catena appunto.
Mario Bava è stato uno dei miglior registi del cosiddetto cinema di genere che abbiamo mai avuto in Italia, era amato dal pubblico ma quasi ignorato dalla critica di allora. Oggi il suo cinema è stato (fortunatamente) rivalutato, e a distanza di anni regala ancora certi brividi mica da ridere, la vecchia de I tre volti della paura (1963) me la sogno ancora di notte! Reazione a catena è uno dei suoi migliori film, tanto che venne scopiazzato da alcuni registi nordamericani, su tutti Sean Cunningham con il suo arcinoto Venerdì 13 (1980). Il film si svolge nei pressi di un lago in una zona chiamata “la baia”, la serie di brutali omicidi nasce da alcuni sotterfugi e biechi ricatti di natura economica che riguardano il luogo in cui il film è ambientato. La trama ha una impostazione da “giallo”, con l’aggiunta però di alcune scene altamente splatterose che per gli appassionati del genere saranno come la ciliegina sulla torta. Le scene forti sono innumerevoli e soprattutto ben girate, si va da repentine decapitazioni, a polipi che si muovono sopra cadaveri annegati (disgustoso), senza dimenticare la coppia trafitta da una spada mentre sta facendo l’amore nel letto, ed il finale completamente fuori di testa.
Il film venne distribuito nelle sale con il curioso nome di Ecologia del delitto, ad indicare una specie di ordine naturale negli omicidi, il carnefice diventa la vittima, cosicché l’equilibrio che domina l’ecosistema non si spezzi. Nessuno vince e nessuno perde.
La fotografia, curata da Bava stesso, è splendida perché dosa egregiamente la luce ed il buio creando uno stato di tensione notevole nello spettatore. Se si può trovare un difetto, a mio avviso, lo si può ricercare nell’entrata in scena e la veloce dipartita di troppi personaggi un po’ troppo simili tra loro, creando così un po’ di confusione del tipo: “Ma quello non era già morto?”. Anche i dialoghi non sono proprio brillanti, ma in fondo chissenefrega, c’è abbastanza per soddisfare un amante del “gore”, e allo stesso tempo uno del “giallo”, insomma che si vuole di più dalla vita? “Un Lucano” direte voi, “eh no” dico io! Un bel J&B che nei film di genere 70-80 era più presenzialista di Paolini alla tv, infatti anche qui viene messo in bella mostra.

Reazione a catena lo consiglio soprattutto a quelli che esaltano il cinema horror americano, senza sapere che neanche troppo tempo fa noi italiani eravamo cazzuti di brutto in materia.

lunedì 12 maggio 2008

Il saggio

"Che cosa è l'amore?"
"L'amore è quando il tuo umore dipende da un'altra persona."

venerdì 9 maggio 2008

Divertenti giochi americani

In America è uscito a Marzo, qui da noi arriverà solo in estate.
Vedendo il trailer e leggendo qualche opinione in giro sembrerebbe spiaccicato all’originale.
Ci sono due fattori che mi fanno ben sperare, Haneke alla regia, e la mia adorata Naomi come protagonista.
Aspetto…

giovedì 8 maggio 2008

Boxing Helena

Prima, e finora ultima, prova dietro la macchina da presa per Jennyfer Lynch, figlia del gande David, e autrice del libro Il diario segreto di Laura Palmer (1990). Proprio da Twin Peaks (1990) arriva Sherilyn Fenn che interpreta Helena. Questo film è considerato uno dei più brutti degli ultimi anni, Madonna non accettò il ruolo della Fenn e Kim Basinger dovette addirittura pagare una penale di 8 milioni di dollari per non girarlo perché si accorse che vi erano troppe scene di violenza e di sesso. A dir la verità c’è poco sia di una che dell’altra. Boxing Helena fu presentato alla 50° mostra di Venezia dove Jennifer Lynch ottenne il premio "Razzie" come peggior regista esordiente.

Il protagonista è Nick (Julian Sands), un affermato chirurgo, che ha avuto un rapporto difficile con la madre, la quale, dicendolo in maniera elegante, era una donna dai facili costumi. Pur essendo fidanzato, Nick, è innamorato di Helena, che in quanto a troiaggine se la gioca con la defunta mamma. Tra il chirurgo e la bella moretta c’è stato qualcosa in passato, ma come ha sottolineato lei: “Non mi hai mai fatto venire”, le cose non sono andate per il verso giusto. Ma Nick non demorde, quando Helena viene investita da un auto, la porta a casa segandole gli arti, così si scopre che lei era una scrittrice di libri, e poi… ah no! Quello è un altro film...

L’ossessione-paura di Nick per le donne è causata dal rapporto controverso con la madre che rivede in Helena, basta non c’è altro. Davvero davvero poco.
Ci sono poi alcune situazioni ridicole. Il bagno nella vasca del giardino stile La dolce vita (1960) della Fenn, la scena di sesso tra Nick e una tipa con in sottofondo Sadeness degli Enigma, o le musiche di Puccini che con questo filmetto non hanno nulla a che fare. L’oscar della comicità involontaria, però, se lo aggiudica il monologo della Fenn, roba da far impallidire Paola Senatore nel suo discorsone iniziale di Non stop, sempre buio in sala (1985), ecco uno stralcio: "Una donna è qualcosa di morbido, di caldo, quando la senti, quando è nuda, quando la tocchi, quando la scopri (qui c'è una r di troppo) […] Toccala, usa la lingua, il respiro. Quando starà per venire si aggrapperà a te, ma tu non lasciarla venire, falla aspettare, scherza, gioca con lei, eccitala, lei forse vorrà toccarsi, è così sensibile adesso…"
Neanche nel peggiore dei pornazzi di Arduino Sacco si sentono delle frasi del genere.
Pessimo il finale, che riduce tutto ad un banalissimo sogno.
Da evitare.

mercoledì 7 maggio 2008

Gli uccelli

Probabilmente, insieme a Psyco (1960), il film horror più influente nella storia del cinema.
Mai come in questo film Hitchcock affronta una delle tematiche a lui più care: l’ingabbiamento. Già presente in Nodo alla gola (1948), La donna che visse due volte (1958) e La finestra sul cortile (1954). E in molte altre suo opere che non ho visto, per ora.
Il personaggio principale è Melanie Daniels (Tippi Hedren), a suo riguardo, in una intervista, Hitch ha detto: “All’inizio del film c’è Mitch (Rod Taylor) nel negozio dove si vendono gli uccelli. Egli riacciuffa il canarino che era scappato, lo rimette nella gabbia e , ridendo, dice a Melanie: Ritorna nella tua gabbia dorata, Melanine Daniels!. […] Così, più tardi, durante l’attacco dei gabbiani sulla città, quando Melanie si rifugia nella cabina telefonica a vetri, la mia intenzione è di dimostrare che è come un uccello in gabbia.”
Queste frasi sono, a mio avviso, emblematiche per comprendere il film. L’invito a Melanie di tornare in una gabbia dorata è un suggerimento che il regista dà allo spettatore per chiarificare il personaggio di ragazza viziata e ricca. Nella sublime scena della cabina telefonica, la macchina da presa indugia sulle unghie smaltate della Hedren (foto) che sembrano quasi quelle di un pennuto. Nella sequenza finale, Melanie, attaccata dagli uccelli, agita le braccia come le ali di un volatile.
Ma il regista non si ferma qua.
Un’altra interpretazione interessante va analizzata sotto l’ottica della madre, Jessica Tandy. Essa, così apprensiva e possessiva, rappresenta la mamma che non vuole lasciare andare via il proprio figlio dal nido. Basta osservare il suo atteggiamento nei confronti di Melanie al loro primo incontro, per capire quanto sia gelosa di Mitch.
Ma Gli uccelli è anche la natura che si ribella all’uomo, essi non vogliono soffrire più, si organizzano e deturpano i cittadini di ogni classe e ceto: la ricca Melanie viene sfregiata, ma anche il contadino e la maestra sono ghermiti e muoiono. Hitchcock vuole costruire una sorta di apocalisse nei confronti dell’uomo e del suo sadismo, spesso non solo istintivo, ma addirittura programmato, e le battute di caccia ne sono un esmpio.

Nel progetto originale dell’opera gli uccelli avrebbero dovuto apparire sul Golden Gate di San Francisco come monito e minaccia. Il finale, tra l’altro, è particolare perché non presenta il classico the end, dando la sensazione di un orrore senza fine.
Grandiosi gli effetti speciali che gli valsero una nomination all’oscar, in alcune scene sono stati utilizzati uccelli ammaestrati, non così bene però, dato che più volte la troupe fu ferita. Anche la Hedren (madre di Melanie Griffith a cui diede questo nome grazie al ruolo interpretato), ebbe una crisi nervosa durante le riprese, il che contribuì a rendere la sua performance ancora più disperata.
È una pietra miliare della storia del cinema. È un capolavoro? Sì, lo è. Ma non applicherò la mia etichetta “capolavori” perché è soggettiva, i film che se ne pregiano sono opere che mi hanno emozionato, coinvolto. Con Gli uccelli non è successo, resta in ogni caso un cult da vedere assolutamente.

lunedì 5 maggio 2008

La condanna di Casper

L’albo del mese scorso, Da una lontana galassia, non l’ho neanche commentato qui, ero troppo sconsolato, a fine lettura ho guardato se sulla copertina c’era scritto “Dylan Dog” o qualcos’altro. Però non ho desistito (solo Demon blob fece vacillare la mia fede) e un mese dopo mi sono recato dal mio giornalaio di fiducia per comprare La condanna di Casper.
Il titolo non è un granchè, c’è da aspettarsi il peggio. La copertina invece è meravigliosa, con pochi elementi ma molto molto evocativa.
Novantaquattro pagine dopo sono soddisfatto.

Questa opera di Michele Masiero probabilmente non passerà alla storia, ma è una lettura onesta e piacevole. Il soggetto non è niente di nuovo, si pensi ad Armageddon o a Il senza nome, il pregio è una sceneggiatura brillante, infarcita di ironia in ogni dialogo, molto lontana rispetto a quella de I ricordi sepolti (la prima oscenità che mi è venuta in mente) in cui si riscontravano situazioni da telenovela argentina. Masiero mi ha stupito per la semplicità con cui utilizza i personaggi che sono fedeli ai “dogmi” dylaniani, in particolare Groucho è finalmente il Groucho che ho sempre voluto (c’era riuscito anche Medda con Il feroce Takkur), un personaggio grottesco, quasi “fuori” dalla storia, che riesce a sdrammatizzare anche nei momenti peggiori. Bloch e la Trelk sono comprimari validissimi che non stonano affatto nell’armonia della vicenda. Infine Dylan, un gran bel Dylan, ironico, impacciato, deciso, e anche eroe nel finale. Ecco forse il finale poteva essere studiato un pò meglio: per quale motivo devono portare Camper al castello? La combriccola di medium non poteva fare la seduta da un’altra parte? In ogni caso è un piccolo dettaglio che poco mi interessa, anche perché quando vedo degli zombi mi si apre il cuore.

Infine, un po’ ridicolo il modo in cui Casper si libera di Curley indemoniato, una ginocchiata nella pancia e via, però capisco che in qualche modo il ragazzo doveva arrivarci nel castello!
Casertano disegna il mio Groucho preferito in assoluto, sembra una caricatura con quelle sopracciglia, ed è fenomenale quando utilizza le vignette grandi (pag. 19-40-81-98).
Occhi puntati sul prossimo albo, Saluti da Moonlight. Incrocio le dita.

sabato 3 maggio 2008

Maniac Nurses

Siccome ultimamente questo blog stava diventando troppo dotto (Eraserhead, Magdalene, INLAND EMPIRE), e quindi a me poco consono, lo riporto sulla retta via con questo filmetto lassativo (nel senso che fa cagare) distribuito dalla Troma, il quale racconta le gesta di un gruppetto di ragazze che vivono in una clinica dove si abbandonano ai piaceri della carne, svagandosi con giochini sadici e perversi...

Seeee magari fosse così! Per tutta la durata del film non si vede assolutamente niente. Le suddette infermiere si aggirano per la campagna in autoreggenti armate di pistoloni giocattolo, mentre un’odiosa voce fuori campo continua a tessere le perverse qualità delle giovinette, che in realtà sullo schermo non si vedono affatto.
Le due “kapò” della banda sono Ilsa e Greta, i loro nomi sono un omaggio al sexploitation di film come Ilsa, la belva del deserto (1976) o Greta la donna bestia (1976), esse un tempo erano amanti, ma con l’arrivo di Sabrina le cose sono cambiate. Ilsa è attratta da Sabrina, tanto da uccidere in suo onore. Alla fine Sabrina scoprirà che Ilsa è sua madre e farà fuori tutti.

La trama è una merda e per di più noiosa, alcune situazioni sono talmente paradossali che non posso non citarle; in una si vede Sabrina che legge il suo fumetto d’azione preferito e intanto la voce fuori campo spara un sacco di stronzate sul suo conto, poi compaiono sullo schermo dei nomi di alcuni totalitaristi come Stalin, Hitler e Mao, dopodiché appaiono quelli di alcuni serial killer tipo Ed Gein e altri che ho già rimosso. ???
In un’altra scena, alla fine di un raid effettuato dalle “nurses”, la fastidiosa voce fuori campo fa la conta delle vittime uccise da ogni ragazza. ???
Meritevole anche un frate che viene raccattato per strada mentre si autoflagella con una frusta, per poi essere utilizzato come cavalluccio a scopo ricreativo dalle infermiere.

Orribile, forse il peggiore film che abbia mai visto fino ad ora. D’altronde cosa mi potevo aspettare se la prima schermata che appare è una dedica a Ilona Staller…

giovedì 1 maggio 2008

Tradimenti

“Cosa faccio capo?”

Jhonny fissava le stampe orientali appese alle pareti, ogni tanto si grattava il pizzetto, lo faceva sempre mentre pensava.
“Allora capo, che faccio?”
“Jhonny...vuoi dei soldi? Posso dartene quanti ne vuoi, ma ti prego non mi uccidere...” La flebile voce del panzone lo riportò alla realtà.
“Talon, dì un po’ al nostro amico chi sono io...”
“Capo io farei parlare la 9 mm.”
“No!! Jhonny, ok ho sbagliato, ma dammi un’altra possibilità ti supplico, non te ne pentirai. Ti ricordi quando siamo entrati nel club di Rodriguez e abbiamo riempito di buchi tutti quei fottuti colombiani? O quella volta che siamo andati a Miami con quelle tre russe, che scopata ci siamo fatti eh Jhonny? Ti ricordi? Eravamo amici…”
“Capo lo faccio stare zitto?”
L’attenzione di Jhonny era rapita da un quadro raffigurante un samurai che impugna la sua katana.
“Lo sai panzone da cosa deriva la parola samurai? No sono sicuro che non lo sai, beh te lo dico io. Deriva dal verbo “saburau” che significa servire, essere fedeli. Ti dice niente questo?”
Il chiattone, messo a quattro zampe nudo come un verme, si affannava a rispondere: “ Mi avevano promesso un sacco di soldi, te l’avrei detto ad affare concluso, io non ti nascondo niente!”
“Ma davvero? E questi?” Dalla tasca di Jhonny spuntarono due biglietti solo andata per le Mauritius. “Qualcosa mi dice che uno di questi due biglietti è per te, ma l’altro?”
È per te amico mio, è per te!” Ansimava come un cagnolino.
“Talon raccontagli una bella storiella.”
“Credi che il capo sia un coglione? Chi pensi che ci abbia detto dove abiti? Chi pensi che ci abbia fatto trovare le chiavi sotto lo zerbino? Chi pensi che ci abbia detto che ti avremmo trovato in casa a quest’ora?”
Il viso del panzone si fece scuro, riuscì a dire soltanto una parola: ”Lei…”
Jhonny schiocchò le dita: ”Bingo! E devo dire che è stata davvero precisa, siamo entrati mentre te la stavi sbattendo, che puttanella eh?” Si sedette sulla poltrona davanti al tavolino di cristallo su cui il ciccione era messo a carponi e rise di gusto: “Secondo me questo tavolino non regge, secondo te Talon?”
“Mi sa di no capo!”E scoppiò in una risata fragorosa.

Se qualcuno avesse visto la scena da fuori avrebbe pensato di trovarsi sul set di un film porno.
Un grassone nudo sopra un tavolino e altri due uomini, uno davanti e uno dietro, solo che quest’ultimo puntava la sua 9mm dritta nel culo del ciccione.

“Talon fagli sentire che non stiamo scherzando.”

La punta della beretta penetrò nell’imboccatura dell’ano.

“Hai detto bene prima, eravamo amici, ora non lo siamo più.”
Jhonny si alzò dalla poltrona e s’infilò i suoi Police neri avvolgenti.

“Spara Talon.”
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