venerdì 30 novembre 2007

L'Uno per l'Altra - Il massacro (prima parte)


“Driiiiinnn driiinnn...”

“Scusatemi un secondo.” Uno si allontanò dai colleghi con cui stava parlando e rispose al cellulare.
“Pronto?”
“Ciao my love!”
“Cioccolatino, ti ho detto mille volte di non chiamarmi mentre lavoro, ho molto da fare…”
“Lo so, ma questa è un’occasione speciale..." Pausa, poi Altra riprese : "Ci sono due ombre. Qui. A casa. Ora.”
Silenzio.
“Arrivo subito.”
“Non troppo in fretta però, voglio divertirmi almeno un pochino.”
Ma Uno aveva già riagganciato.

Le due ombre non sentirono Uno entrare in casa, erano troppo prese dalla foga.
Quando piombò in camera da letto vestito di una tuta in lattice nera bucata sugli occhi, con due fori all’altezza del naso e della bocca, e altri due in corrispondenza dei capezzoli, capirono di essere finiti nei guai. Quando tirò fuori due pistole i guai erano molto grossi.
Altra, sdraiata a letto, cominciò a ridere a crepapelle: “Ahahahahahaha tesoro mi fai morire con quel costume, sembri uno stronzo gigante!”
Ma lui non sentiva le parole della moglie. Era eccitato.
“Voi due! Schiena al muro, o vi sparo in culo!”
“Vi spara in culo, vi spara in culo gna gna.“ Fece eco Altra.
Le due ombre, nude e spaventate, eseguirono l’ordine: “T-ti prego…non farci del male, non abbiamo fatto nulla...”
Sul viso di Uno comparve un ghigno: “Hai sentito mon amour? Loro non hanno fatto nulla!”
Con un balzo si fiondò davanti alle due ombre, e puntando le pistole alle loro tempie sussurrò: “Allora piccoli pezzettini di merda che non siete altro, vi siete appena scopati mia moglie! Questo lo chiami non fare nulla?”
“Oddio caro guarda li in basso!…Quello se la sta facendo sotto!” Altra saltava sul letto come una scimmia.
Una chiazza di urina si formò ai piedi dei due uomini.
Il ghigno di Uno era scomparso. Ora c’era solo ribrezzo. “Sei come un bambino, te la fai sotto .Bene bene.”
“Uccidili! Uccidili ! Uccidili!” Altra era in preda alle convulsioni.
“No dolcezza. Visto che sono dei bambinoni ho in mente un bel giochetto per loro…”

giovedì 29 novembre 2007

Simbiosi


La situazione è molto seria.
Esattamente due anni fa, quando ancora il computer era per me una scatola di plastica, passavo le serate leggendo, guardando la tv o ascoltando la radio. L’arrivo del pc ha monopolizzato la mia vita casalinga.
Mi capita spesso che rincasando, dopo essere entrato, e aver svolto alcune semplici azioni come togliermi la giacca o lavarmi le mani, mi reco in camera e con stupore noto che il computer è già avviato. Non l’ho dimenticato acceso quando sono uscito, semplicemente ho pigiato il tasto rientrando, e siccome è diventata un’azione così naturale, come appunto togliermi la giacca o lavarmi le mani, l’ho subito dimenticata.
Una convivenza così stretta con il pc può portare indubbiamente dei benefici; internet è una finestra sul mondo che permette di interagire con persone lontane geograficamente con cui poter scambiare opinioni e punti di vista. L’interazione, che ho provato, e sto piacevolmente provando tutt’ora, su alcuni forum e/o blog vari, con altri utenti, ha accresciuto la mia cultura, che presentava, e presenta, enormi lacune. Lo scambio di idee, e il rapportarsi con persone su un livello diverso dal nostro, sono alla base della crescita e della formazione di una persona. La rete dunque ci offre un’occasione immensa, mai prima d’ora l’uomo ha avuto tale possibilità.
Ma c’è un rovescio della medaglia che mi spaventa molto.
Sto provando sulla mia pelle che internet provoca dipendenza, ogni giorno frequento gli stessi siti eppure non mi annoio mai. La situazione è quasi comica poco prima di andare a dormire, mi prefisso sempre ancora pochi minuti di navigazione, giusto il tempo di dare una sbirciatina a quella cosa là o a quella cosa lì, ma inevitabilmente i minuti diventano ore.
Ahimè, la dipendenza ha una naturale e terribile conseguenza: l’alienazione. Può sembrare eccessivo ma è così. In questi giorni mia madre è stata operata ad una gamba, per cui è immobile nel letto e dipende totalmente da me e mio padre. Lei è sempre stata una donna attiva, che ama conversare anche delle cose più futili. Cosa mi costerebbe staccarmi da questo schermo e fare due chiacchiere con lei per farle un po' di compagnia? Assolutamente nulla, eppure non lo faccio.
Trovo che la rete apra orizzonti infiniti per l’uomo, ma rischia di appiattire i rapporti umani con i nostri cari che consideriamo troppo ovvi e scontati.
Così come Cronenberg aveva fatto in Videodrome con la pistola di James Woods, mi capita di pensare che il computer stia entrando a far parte di me. Che la tastiera stia diventando una protesi naturale delle mie mani.
Come dicevo, la situazione è molto seria.

Il filosofo


"Che freddo..."
"Fuori, o dentro?"

mercoledì 28 novembre 2007

La stanza numero 63

La stanza numero 63 è un albo costruito sui classici cliché dylandoghiani: Dylan, Bloch, la Morte, la fidanzata di Dylan e l’assassino di turno. Per uno sceneggiatore quasi esordiente, scrivere una storia del genere potrebbe rivelarsi un pericoloso boomerang, fortunatamente Di Gregorio, a parer mio, riesce a non cadere nella banalità creando un racconto sì leggerino, ma molto intelligente.

Negli ultimi anni le spiegazioni finali sono diventate un vero e proprio tallone d’Achille della serie, persino Sclavi, creatore di storie follemente geniali come Morgana o Storia di nessuno e perché no, anche Ucronia, nella sua ultima prova, Ascensore per l'nferno, ha ridotto il tutto ad un semplice incubo, peggio ha fatto Ruju con spiegazioni fanta-scientifiche come l’osteomorfosi (Tutti gli amori di Sally, Nightmare tour), non dimenticando le prolisse conclusioni negli albi della prima Barbato.
Il finale de La stanza numero 63 è azzardato ma ci sta. Di Gregorio prende scherzosamente in giro i paradigmi Dylaniani (ma non solo) quando a parlare sono i burattini riferendosi a Jane, il Jack lo squartatore che insegue Decker, o la morte che ha paura dei fantasmi.
I bambini nel finale potrebbero rappresentare i vari sceneggiatori della testata un po' stufi del solito "gioco".

I lettori di Dylan non amano molto i disegni di Cossu; io, non avendo le competenze tecniche, mi limito a dare un giudizio di “naso”, che è negativo. Non mi piace come disegna i personaggi, troppo statici e poco espressivi (infatti i manichini nel negozio d’abbigliamento sono uguali a Decker), in più la morte assomiglia ad E.T., ok l’interpretazione personale, però ci mancava solo che le s’illuminasse l’indice.
Copertina mediocre. Perché quello sfondo azzurro? Poteva essere impostata meglio, anche il Dylan di spalle non mi garba.

martedì 27 novembre 2007

Se di amarla ti vien la voglia...

Inarrivabile.
Ciò che lui riesce a dire in poche parole a me ci vorrebbero righe e righe.
Mi vergogno persino di postare questa canzone in mezzo alle robe che scrivo io, che in confronto sono davvero misere (sono misere in confronto a qualunque cosa, ma con Faber sfiorano davvero la nullità, anzi probabilmente la raggiungono). Mi verrebbe voglia di cancellarle tutte...

L'ombra di Dio


Un ragazzo è morto di overdose sulle scale di una chiesa.
L’ha trovato il prete al mattino, ancora con il laccio emostatico legato al braccio.
Qualche giorno dopo, conclusa l’ora di catechismo, nel cortile antistante l’entrata, un bambino si avvicina al parroco e chiede: ”Don posso farti una domanda?”
“Certamente, dimmi pure.”
“La mamma mi ha detto che qui è morto un ragazzo l’altro giorno.”
“Purtroppo sì, era una pecora smarrita del Signore.”
Il bambino osserva i suoi compagni che giocano, poi si rivolge al prete: ”Ma Gesù ci guarda sempre da lassù?”
“Il Signore veglia su di noi, sempre.”
“E ci vuole bene?”
“Noi siamo i suoi figli, ogni padre vuole bene ai propri figli.”
“E voleva bene anche al ragazzo che è morto?”
“Sì, voleva bene anche a lui.”
“E perché ha lasciato che morisse?”
“Beh…perché…perché non pregava! Se tu preghi ogni notte il Signore, egli ti proteggerà.”
“Allora Gesù non vuole bene a tutti in modo uguale!”
“Ma sì! Te l’ ho detto siamo tutti suoi figli.”
“Ma quel ragazzo è morto. Se era suo figlio poteva salvarlo; il mio papà farebbe di tutto per salvarmi.”
Il prete esita un attimo.
“Perché non vai a giocare con i tuoi compagni? Guarda ti stanno chiamando…”
Il bambino corre verso i suo amichetti, il sacerdote rimane immobile sul portone della chiesa, sopra di lui il sole brilla alto nel cielo, i suoi raggi proiettano nel cortile l’ombra della croce piantata sul tetto. I bambini giocano a rincorrersi calpestandola.

lunedì 26 novembre 2007

Society - The Horror

Society uscì nel 1989. In quell'anno comparvero nelle sale cinematografiche film come: Venerdì 13 parte 8, Nightmare 5 - Il mito, La casa 7, Halloween 5; insomma andavano di moda i film costruiti su stereotipi fissi: c’è l’assassino, c’è lo sfigato che muore subito, c’è la zoccolona, c’è la final girl, eccetera.
Society si distacca completamente da questo filone, anzi direi che non si tratta nemmeno di un vero e proprio horror, ma di un’opera ibrida, una summa di generi diversi ben amalgamati tra loro, il risultato che ne esce è molto godibile.
Billy è un ragazzo benestante con problemi mentali, è convinto che la sua famiglia pratichi orgie incestuose e strani riti con dei ricchi della città. In realtà Billy non è pazzo, la “società” sta tramando un complotto alle sue spalle, quando lo scoprirà saranno fatti suoi.
Il sottotesto di Society è una critica, neanche tanto velata agli uomini di potere, che nel film sono rappresentati da una misteriosa “società” che si diverte a succhiare (!) i cosiddetti “poveri”. Li succhiano nel vero senso della parola, essi si trasformano in viscidi esseri cronenbergriani dotati di ventose. A farne le spese sarà l’ex fidanzato della sorella di Billy che stava indagando sulla faccenda.
La scena migliore è quando si vede il padre di Billy che al posto del culo ha la faccia. Grande metafora.

In definitiva: un film atipico molto particolare, che ha le sue scene più forti, anche se non si vede una goccia di sangue, tutte concentrate nell’ultima mezz’ora. Ma anche la parte precedente è ben realizzata, si rimane sempre col dubbio se la pazzia risieda in Billy o nel mondo che lo circonda.

Three

Il primo episodio è Memories del coreano Kim Jee-woon.
Una donna si risveglia senza memoria in una strada. Un uomo ha dimenticato per quale motivo è stato lasciato dalla moglie. Le loro vite si incroceranno. Come ciò accada mi è rimasto piuttosto oscuro, già perché i dialoghi sono ridotti all’osso, i flashback che si susseguono invece di chiarire confondono ancora di più la vicenda e gli attori non mi sono parsi in gran forma.
In definitiva piuttosto mediocre.

Il secondo episodio è The Wheel di Nonze Nimibutr.
La morte dello stregone in un piccolo villaggio thailandese anima dei burattini che faranno un bel po’ di casini.
Episodio anonimo: non fa paura, non c’è sangue né violenza, e neanche sesso. Non che se manchino questi elementi un film faccia schifo, però cavolo, qui in Italia questi tre corti sono stati distribuiti come Three... Extremes (anche se in realtà questo titolo sarebbe quello della seconda serie che da noi è stata chiamata Three... Extremes 2, un macello totale), ma non c’è nulla di estremo in questo episodio.

L’ultimo episodio è Going Home di Peter Ho-Sun Chan.
Un poliziotto si trasferisce in una palazzina semi abbandonata col suo figlioletto. Un giorno il bambino scompare nel nulla; il padre è convinto che si trovi in casa di un suo vicino, così vi si intrufola di nascosto, ma viene scoperto. Il vicino è un dottore pazzo (o forse no) che da tre anni accudisce la moglie morta lavandola con oli speciali in attesa che risorga.
Questo è indubbiamente l’episodio migliore, è l’estremizzazione (per riallacciarmi col titolo) dell’amore oltre la morte: bravi gli attori, soprattutto il poliziotto, e bravo il regista che costruisce in 40 minuti una vera e propria perla.

domenica 25 novembre 2007

Renaissance

Ha smesso di piovere.

Roberto Succo

Roberto Succo è stato un feroce serial killer nato nel 1962 a Mestre e morto suicida nel carcere di Vicenza nel1988. Il film racconta la sua vita, partendo dall’omicidio dei suoi genitori, passando per la tormentata relazione con una ragazza francese, e concludendo con il suo suicidio in prigione.
Ho trovato il film decisamente piatto e insipido, tralasciando alcuni episodi grotteschi come una tizia che si lancia giù da un auto in corsa senza farsi un graffio, o il fatto che Succo riesce per ben due volte a fuggire, con la polizia alle calcagna, dopo che è andato fuori strada (se i fatti sono andati realmente così nulla da dire), il difetto più grande, per me, sta nel fatto che la psicopatia del killer non è resa per niente bene. Per carità, che non ci sia tutto di testa si capisce, ma quando penso ad un matto mi viene in mente Jack Nicholson o la lucida follia del dottor Hannibal Lecter, questo Roberto Succo è un attore (peraltro, a mio modesto parere, scarsetto) ed essendo tale finge. E si nota troppo che finge di essere pazzo, ora non voglio dire che Anthony Hopkins o Jack Nicholson siano dei folli che si aggirano per Hollywood, ma questo Succo è davvero poco credibile come serial killer, a peggiorare la situazione c’è un doppiaggio della sua voce che è davvero ridicola. Aggiungo che la ragazzina con cui esce è un cesso.

sabato 24 novembre 2007

Apnea


Trattieni il fiato.

Ricordati di quando spiavi i tuoi genitori fare l’amore, guardavi dal buco della serratura e intanto ti masturbavi, poco prima di venire ti fermavi un attimo e poi continuavi fino a quando non sentivi l’orgasmo di tuo padre, allora venivi anche te, che una volta hai rischiato anche di farti beccare perché nella foga hai scontrato la porta della camera. Al mattino il tuo sperma stava ancora sul muro, tu dicevi che era l’umidità. Hai sempre illuso i tuoi genitori, provavi ad essere un bravo ragazzo ma non ci riuscivi, cosa facevi con la figlia della colf? Cosa facevi nei bagni della scuola media con i tuoi compagni? Cosa facevi con il tuo insegnate di lettere alle superiori?
Ricordati di quando sei entrato in facoltà per la prima volta e l’ hai vista, non ti piacevano molto le donne, le consideravi troppo isteriche e fragili, ma lei la vedevi diversa. Ti stavi innamorando per la prima volta nella tua vita e avevi paura. Ricordati anche del suo ragazzo, ti stava sul cazzo a prescindere, qualunque cosa facesse o dicesse, che poi quella volta che lo hai buttato giù dal ponte un po’ ti è dispiaciuto. Così pensavi che lei sarebbe stata tua, ed invece si allontanò per sempre da te.
Ricordati il primo giorno di lavoro, non era male fare il bidello in un asilo, i bambini ti mettevano allegria con la loro innocenza, li invidiavi perché erano felici. Anche tu volevi esserlo, e ci riuscisti, proprio grazie a loro. Cosa facevi nel magazzino delle scope con loro? Dicevi che era un gioco. Ti credevano.
Ricordati che correvi su per le scale, dietro di te un uomo. Tu sapevi perché ti stava inseguendo. Ricordati una porta, lassù in cima, ed il tetto. Davanti a te avevi l’uomo, dietro il baratro.
Non sapevi di chi fosse il padre, che poi non era molto importante, ogni bambino era uguale per te.
Ricordati che hai guardato di sotto.
Ricordati il vuoto, l’aria che ti sbatteva in faccia, il cielo sopra i tuoi piedi.

Ricordati tutto questo.

Respira, per l'ultima volta.

venerdì 23 novembre 2007

L'uno per l'Altra - Invidia


“…Mmmm...”
“...”
“...Anf...Anf…”
“…Non so...mmmm...non so neanche il tuo…nome...anffff...”
“Non ha...non ha importanza...ahhhh”
“Sei stupenda aaaahhhhhhh sssìììì”

!BANG!

Il tempo si fermò per un istante.

Altra sgattaiolò nuda da sotto le coperte levandosi di dosso il tizio morto.
Uno impugnava ancora la pistola.
“Ma sei cretino?”
“Ma cara lo sai che non sbaglio mai io, ho una mira infallibile!”
“Allora sei doppiamente cretino, non hai visto che lenzuola ci sono?”
“Oh cazzo…”
“Sono le mie preferite deficiente. In lavanderia non posso certo portarle, guarda quanto sangue c’è! Ma dico non potevi aspettare che andasse in bagno o chessò in cucina?? Sei proprio un’idiota.”
“Tesoro era solo un’ombra…”
“Ma ammazzati, con 'sta storia delle ombre hai rotto, stavo anche per venire. Vado a farmi una doccia che è meglio…”
Uno aspettò che Altra chiudesse la porta del bagno, poi si avvicinò al letto e scostò le coperte.
Osservò l’uomo nudo con il cranio bucato da cui zampillava del sangue.
Con enorme stupore vide che era ancora in erezione.
Allora Uno prese un paio di forbici dal cassetto.
Non poteva concepire una cosa del genere.
No, non poteva proprio.
Con un taglio netto recise alla radice il pene dell’uomo.
Un morto non doveva essere migliore di lui.

Silenzio...

giovedì 22 novembre 2007

Vorrei...


Vorrei riuscire a leggere un libro che non rientri nell’ambito universitario.
Vorrei essere già laureato.
Vorrei essere già laureato, ma non in ciò che sto studiando.
Vorrei essere più alto.
Vorrei capire cosa sto studiando.
Vorrei avere una moto.
Vorrei delle all-star che ho visto in centro.
Vorrei farmi una mia amica.
Vorrei una macchina tutta mia.
Vorrei che il mio gatto non s’addormentasse sempre sulla sedia della scrivania, che poi mi scoccia svegliarlo.
Vorrei un garage, non ne posso più di mettere la macchina in seconda fila la sera.
Vorrei regalare delle scarpe ad un barbone che vedo tutte le mattine.
Vorrei saper scrivere.
Vorrei farmi un’altra mia amica.
Vorrei saper cantare.
Vorrei vedere più film di quanti riesco a vedere.
Vorrei capire per quale motivo gli orari dei vari posts sono sballati di alcune ore.
Vorrei tornare indietro di un anno.
Vorrei saper disegnare.
Vorrei che la smettesse di piovere.
Vorrei che mio padre non fossi così apprensivo.
Vorrei sapere cosa farò a capodanno
Vorrei cancellare l’anno scorso.
Vorrei capire come cazzarola si mettono i video su questo blog.
Vorrei saper discutere di politica.
Vorrei essere ricco.
Vorrei sapere se c'è qualcuno che legge le cazzate che scrivo.
Vorrei sapere se c'è qualcuno e basta.
Vorrei abitare da un’altra parte.
Vorrei ascoltare la voce di Tracy Chapman per sempre.
Vorrei essere Dylan Dog.
Vorrei sapere alcune cose del passato.
Vorrei vedermi tra 10 anni.
Vorrei tornare a giocare a pallone.
Vorrei urlare in silenzio.
Vorrei non essermi voltato quella notte.
Vorrei trovarmi un lavoro.
Vorrei sapere.
Vorrei non aver raccontato delle palle anni fa.
Vorrei farmi la commessa del dì per dì sotto casa.
Vorrei rivederla ancora. Nonostante tutto.

Il pessimista

"Speriamo che domani smetta di piovere."
"Speriamo che ci sia un domani."

La montagna sacra

La montagna sacra è un film dannatamente weird, con uno stile surrealista che è una gioia per gli occhi. Un po’ meno per la mente.
Non è facile capire questo film che può sembrare, in particolare i primi 40 minuti, una sequenza di immagini oniriche slegate tra loro. La potenza visiva è la sua qualità migliore, Jodorowsky conduce lo spettatore verso un cambiamento, simbolicamente rappresentato dalla scalata alla montagna.

Il film può essere suddiviso in tre parti: nella prima parte vediamo un ladro, che ha le sembianze di Gesù Cristo, compiere una “scristianizzazione” di se stesso, spogliato delle sue credenze religiose si reca nella torre di un alchimista; quest' ultimo tenterà di condurre il ladro ed altri 9 uomini alla verità assoluta scalando la montagna sacra. Questa parte centrale è la più interessante, perché il regista si sofferma sui 9 uomini, che non sono altro che l’ allegoria della società di quel tempo. Infine, nell’ultima parte, il gruppo, tenterà la scalata alla montagna, ma la verità che cercano sta dentro di loro e non sulla vetta del monte. Il finale, che non racconto, spiazza non poco lo spettatore.

Ho semplificato al massimo la trama, anzi ho dato più che altro una mia interpretazione personale, perché tutto non è così lineare come ho descritto, per buona parte del film siamo investiti da immagini completamente prive di dialoghi oltraggiose, violente e blasfeme.
Anche se non possiedo la cultura necessaria per capire un film del genere posso dire che mi sia piaciuto, però avverto i cosiddetti mainstreamers di starne alla larga, non reggerebbero neanche la prima mezz’ora.

mercoledì 21 novembre 2007

Le sorelle


DRIIIN DRIIIIN

“Pronto chi parla?”
“Chiara sono io…”
“Anna! Sorellina! Come stai?”
“Male...”
“Male? Santo cielo mi devo preoccupare? Cosa è successo?”
“Questa notte mi ha picchiata...”
“Picchiata? Ma di chi stai parlando? Anna se è uno scherzo ti giuro che...”
“Luca. Mi ha preso a pugni in pancia, poi ha cominciato coi calci nella schiena fino all’alba."
“CHE COSA? Hai chiamato la polizia? Sei andata all’ospedale? Dio Santo bisogna fare qualcosa…"
“No no no…Era solo un po’ stanco, ha passato una giornataccia al lavoro, mi ha promesso che non lo farà più. Luca è mio marito. Mi ama. Tra poco saremo genitori di un meraviglioso bambino. Sarà bellissimo.”
“No Anna non posso permetterlo, io vado subito dalla polizia.”
“Chiara ti prego non farlo, sono o non sono la tua sorellina?”
“Io… io, non è la cosa giusta, ma non posso andare contro la tua volontà. Promettimi che se accade di nuovo lo denunci immediatamente.”
“Promesso…”

tre giorni dopo

DRIIIN DRIIIN

“Pronto?”
“Chiara...”
“Anna sei tu? Hai una voce strana… tutto bene?”
“L’ha fatto di nuovo...”
“Luca? È un bastardo Anna, adesso vengo a prenderti e andiamo dalla polizia.”
“Ha cominciato a spegnermi le sigarette sul seno, poi mi ha chiusa fuori, sul balcone...”
“Mio Dio…ti ha chiusa fuori per quanto?”
“Tutta la notte… non sento più il bambino Chiara, è tutta la mattina che non scalcia, ho paura…”
“Anna ascoltami: ora andiamo a denunciarlo e poi ti trasferisci da me.”
“No Chiara, è stato tutto un equivoco, ieri Luca ha visto una donna che mi somigliava passeggiare con un uomo, in pratica credeva che io l’avessi tradito, è stato un malinteso.”
“Quell’uomo è pazzo. E tu stai impazzendo con lui.”
“E' mio marito. Mi ama. Ha pianto tutta la mattina, in ginocchio. Non lo farà più, ne sono sicura.
“Anna!!
TUTU-TUTU-TUTU


sei giorni dopo


DRIIIN DRIINN

“Sei tu Anna?”
“…”
“Rispondi per favore…”
“…”
“Non farmi stare in pensiero…”
“…”
“Vengo lì. Aspettami.”

poco dopo

DLIN-DLON DLIN-DLON
Screeeeeek

“Anna! Santo cielo fatti abbracciare! “
“Non così forte, ci fai male!
“Oh sorellina… dov’è il bastardo?”
“Non c’è! Ma vieni in cucina, ho fatto lo spezzatino!”
“Dov’è Luca?”
“Senti che profumo, non sono brava come lo era la nonna però me la cavo, dài siediti e assaggia!”
“Non ho fame, senti vuoi dirmi dov’è tuo marito?”
“Se non ti siedi e non ne assaggi un po’ mi offendo.”
“Va bene… contenta?”
“Sì!”
“Allora Anna?”
“Allora cosa?”
“Dove cazzo è Luca.”
“Lo stai mangiando.”

martedì 20 novembre 2007

Zeder

Leggo sul web, con stupore e ammirazione, che Pupi Avati ha contribuito alla sceneggiatura di Salò (1975). Questo è un esempio che dimostra la poliedricità di un grande regista, forse un po’ sottovalutato, del cinema italiano.
Assolutamente da ricordare è il suo La casa dalle finestre che ridono (1976), un gioiello nostrano che ho apprezzato più di Profondo rosso (1975): forse per l’atmosfera, più scarna e asciutta ma di grande effetto.
Zeder è qualche gradino sotto al precedente e unico, fino a pochi giorni fa horror di Avati; un po’ per la trama, un po’ per il pathos che manca e un po’ per lo sciagurato doppiaggio del protagonista che ha una voce pari a quella del cyborg in Terminator 2 (1991). Bellissima la co-protagonista, assomiglia ad una porno-star canadese.
In breve: Stefano, uno scrittore alle prime armi, riceve dalla sua ragazza Alessandra una macchina da scrivere usata. Per caso si accorge che sulla bobina di scrittura sono rimaste impresse delle strane frasi scritte dall’ultimo possessore della macchina, un ex prete. Indagando su questo testo scoprirà che uno scienziato di nome Paolo Zeder riusciva a far resuscitare i morti grazie al misterioso terreno k.

Merita una visione perché è l’esempio di come con delle idee semplici e a basso costo si possono ottenere buoni risultati, e poi ci sono certe esclamazioni tipo “Porco cane” o “Dio bono” che sono assolutamente impagabili!

Felicità

L'ho vista, poco fa. Sul viso di una giovane donna.
Era seduta sull'autobus di fronte a me, teneva in braccio il suo bimbo che vestito d'oro pareva una stellina.
E lo abbracciava, baciava, accarezzava. Lo stringeva a se perché era suo e di nessun altro. Ed era felice.
Allora ho guardato il resto dell'autobus, stipato di anime erranti perse nei loro pensieri neri come i cappotti che indossavano, me compreso.
La madre e suo figlio erano incuranti di questo, sembravano avvolti da un'aura magica. Loro due non erano lì, su quell'autobus.
Mentre si avvicinava la mia fermata una signora anziana mi ha chiesto se scendevo alla prossima. Le ho risposto di sì.
Ma prima ho fatto un bel sorriso.

Ichi the killer

Sono un fan dell'exploitation.
Adoro la cultura orientale.
Le due cose (in alcuni casi) vanno di pari passo.
Il regista di Ichi the Killer è quel Takashi Miike che forse conoscerete per l'episodio Imprint nella prima stagione di Masters of Horror. Non sto a dirvi che quell'episodio, insieme a quello di Argento, è il migliore della serie, forse il migliore in assoluto.
Quindi se avete visto Imprint, forse avrete idea di cosa vi aspetta se vi apprestate a vedere questo Ichi the Killer.

Scordatevi la lentezza di Audition (1999), aumentate in maniera esponenziale le scene splatterose di Imprint, immaginatevi un ritmo forsennato alla Oldboy (2003) e avrete il film in questione.
Eccessivo come solo in oriente sanno essere.
Il film racconta le gesta di Ichi, un killer psicotico strumentalizzato da alcuni individui a scopo di lucro (uno dei tre credo che sia il regista di Tetsuo, 1989, ma non ne sono sicuro). Quando Ichi ucciderà un boss della Yakuza saranno cazzi amari.

Il bel faccino del tizio che vedete qui sopra non è Ichi, ma un mafioso, amico del boss ucciso con cui si divertiva in giochetti sado-maso.
Il vero protagonista del film è lui, ossessionato dal dolore, brama di incontare Ichi convinto che possa dargli quel piacere, sotto forma di sofferenza, che solo il boss era riuscito a dargli.
Scena cult: vedete quei piercing che luccicano agli angoli delle labbra? Bene. Quando se li toglie la sua bocca si allarga a dismisura. Pensate cosa può accadere se un tipo gli tira un pugno in faccia e lui apre la bocca...
Totalmente folle.

L'Uno per l'Altra

Uno rientrava sempre tardi dal lavoro.
Altra lo aspettava sempre a letto, mai da sola.
Anche quella sera Uno arrivò per le nove e mezza, posò la ventiquattro ore sulla sedia nell'ingresso e tese l'orecchio in direzione della camera da letto.
Sì. Molto bene. Non aveva dubbi, qualche ombra si stava facendo sua moglie. Si sedette in cucina e cominciò a cenare. Ringraziò il cielo di avere una moglie così premurosa che gli lasciava la cena in caldo, poi si accese una sigaretta e cominciò ad aspettare.
L'ombra non si fece attendere molto, arrivò in cucina con i jeans ancora sbottonati e i capelli arruffati, alla vista di Uno si inchiodò sulla porta:
"M-Mi scusi, non sapevo, m-ma lei chi è?"
"Non ti preoccupare caro ragazzo, sono il marito della donna con cui hai appena fatto sesso."
"Oddio mi perdoni, è stata sua moglie ad insistere di salire qua, giuro che io non sono il tipo, sono un bravo ragazzo, sa lavoro duramente...mio Dio che figura...sono mortificato..."
"Non c'è problema mio giovane amico." Sorriso a trentadue denti.
"Allora io toglierei il disturbo se permette..."
"Ma certo caro, e torna quando vuoi." Uno sputò il fumo della sigaretta fuori e aggiunse: "Se mai ci riuscirai..."
"Come scusi?"
Un coltello schizzò dalle mani di Uno e andò a conficcarsi tra le soppracciglia del ragazzo.
Altra arrivò in quel momento avvolta da una vestaglia sbirluccicante:
"Sei uno stronzo, questo mi piaceva!"
"A me no. Ha scaricato subito la colpa su di te, odio questo tipo di persone, non sanno prendersi le proprie responsabilità."
"Sì vabbè almeno a lui si rizzava..."
"Ancora con questa storia? Lo sai che ho i miei problemi..."
Altra, che fino a quel momento era stata in piedi sulla porta, fece un balzo per superare il morto per terra, non avrebbe mai voluto sporcare di sangue le sue pantofole peluchose, si sedette di fronte al marito e si accese una sigaretta:
"Allora caro come è andato il lavoro?"
"Bene amore mio. Bene."

Perché?


Epistemologicamente parlando questo blog nasce perché non ho un cazzo da fare.
Non so cosa, quando, e se ci scriverò.
Non mi piace questo sfondo lugubre e neanche il titolo che ho dato.
Spero si possano cambiare entrambi.
In ogni caso benvenuti.