La stanza numero 63 è un albo costruito sui classici cliché dylandoghiani: Dylan, Bloch, la Morte, la fidanzata di Dylan e l’assassino di turno. Per uno sceneggiatore quasi esordiente, scrivere una storia del genere potrebbe rivelarsi un pericoloso boomerang, fortunatamente Di Gregorio, a parer mio, riesce a non cadere nella banalità creando un racconto sì leggerino, ma molto intelligente.
Negli ultimi anni le spiegazioni finali sono diventate un vero e proprio tallone d’Achille della serie, persino Sclavi, creatore di storie follemente geniali come Morgana o Storia di nessuno e perché no, anche Ucronia, nella sua ultima prova, Ascensore per l'nferno, ha ridotto il tutto ad un semplice incubo, peggio ha fatto Ruju con spiegazioni fanta-scientifiche come l’osteomorfosi (Tutti gli amori di Sally, Nightmare tour), non dimenticando le prolisse conclusioni negli albi della prima Barbato.
Il finale de La stanza numero 63 è azzardato ma ci sta. Di Gregorio prende scherzosamente in giro i paradigmi Dylaniani (ma non solo) quando a parlare sono i burattini riferendosi a Jane, il Jack lo squartatore che insegue Decker, o la morte che ha paura dei fantasmi.
I bambini nel finale potrebbero rappresentare i vari sceneggiatori della testata un po' stufi del solito "gioco".
I lettori di Dylan non amano molto i disegni di Cossu; io, non avendo le competenze tecniche, mi limito a dare un giudizio di “naso”, che è negativo. Non mi piace come disegna i personaggi, troppo statici e poco espressivi (infatti i manichini nel negozio d’abbigliamento sono uguali a Decker), in più la morte assomiglia ad E.T., ok l’interpretazione personale, però ci mancava solo che le s’illuminasse l’indice.
Copertina mediocre. Perché quello sfondo azzurro? Poteva essere impostata meglio, anche il Dylan di spalle non mi garba.
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