Duro, durissimo film di Kim Ki-duk del 2001 che può essere riassunto nella locandina che vedete qui sopra: un grido di dolore struggente.
Meno poetico rispetto alle sue opere recenti, ma più “cattivo”, il regista sudcoreano dipinge l’affresco di una piccola cittadina coreana, Pyongtaek, in cui si è insidiata una base militare americana.
Storie che s’incastrano in questa landa desolata:
Chang-Guk lavora insieme al compagno di sua madre in una “macelleria” per cani, egli è figlio di un soldato americano di colore, e la madre, ex-prostituta, scrive ogni giorno al padre naturale in America. Ma le lettere ritornano sempre indietro con la dicitura, appunto, “indirizzo sconosciuto”.
Jihum è un giovane timido che non sa l’inglese e per questo picchiato da due coetanei. Suo padre, reduce di guerra, aspetta da anni un riconoscimento per aver ucciso in guerra tre comunisti.
Eunok è una giovane ragazza che da bambina ha perso un occhio a causa di uno stupido gioco col fratello fannullone. La sua bellezza attira le attenzioni di un militare americano che le fa la corte e le promette di guarirle l’occhio in cambio del suo amore. Le cose però non sono così idilliache, il soldato si rivela un tossico schizzato che le alza le mani (ma forse non c’entra solo la droga), ed intanto Enouk ama il giovane Jihum.
Come spesso accade con chi sa usare il linguaggio cinematografico, la violenza che fa più male è quella che non si vede. La pozzanghera sulla quale vengono uccisi i cani a bastonate fa rabbrividire al pari della crudeltà con cui il “macellaio” tratta il suo aiutante Chang-Guk, ma lo stesso Chang-Guk, così refrattario alla vista di un cane ammazzato, picchia ripetutamente la madre. L’odio, la violenza e il sangue, sono i fili conduttori della vicenda. Ma Kim Ki-duk non sembra stigmatizzarli proponendo una qualsivoglia morale. Assolutamente no. Si avverte di come gli eventi accadono perché così deve essere, senza artifici filmici. Si respira la vita in Address Unknown.
Un film corale, in cui all’inizio si è disorientati dalla mole di personaggi che calcano la scena, ma col passare dei minuti i ruoli divengono sempre più chiari grazie anche agli attori che sono eccellenti e caratterizzano divinamente il proprio personaggio. Fantastico il triangolo amoroso tra Eunok, Jihum e l’americano. La ragazza arriverà ad asportarsi l’occhio, dopo che le era stato curato, perché l’amore obbligato del soldato è un prezzo da pagare troppo alto per lei.
Vendette e antichi rancori. Il macellaio morirà come un cane ucciso da Chang-Guk, il quale a sua volta, uscito fuori strada con la moto andrà ad imbucarsi in una pozza di fango che con il freddo gelerà, e di lui non rimarranno che le rigide gambe fuori dal terreno. La madre, dopo averlo trovato, inizierà a mangiarlo come un parto all’inverso, e caduta in uno stato catatonico non aprirà al postino che finalmente aveva portato la lettera dall’america.
Ma mentre accade tutto questo c’è un’altra storia, quella di Jihum, e poi di suo padre, di una vecchia pistola, di una donna che preferisce suo marito morto per avere una pensione, di un soldato che non ne può più di guerra che non esiste e si fa di LSD.
C’è la Corea del Sud e il suo grido di dolore.
Unico neo, forse, una leggera confusione nella parte finale in cui si è rimbalzati da una scena all’altra con i vari personaggi alle prese con i propri problemi. Ma amen, me ne sbatto altamente, avercene di film così.
Desaparecidos in Italia, è passato soltanto su Fuori orario, il cui rippaggio è rinvenibile sul muletto.
Un meraviglioso pugno nello stomaco.
Meno poetico rispetto alle sue opere recenti, ma più “cattivo”, il regista sudcoreano dipinge l’affresco di una piccola cittadina coreana, Pyongtaek, in cui si è insidiata una base militare americana.
Storie che s’incastrano in questa landa desolata:
Chang-Guk lavora insieme al compagno di sua madre in una “macelleria” per cani, egli è figlio di un soldato americano di colore, e la madre, ex-prostituta, scrive ogni giorno al padre naturale in America. Ma le lettere ritornano sempre indietro con la dicitura, appunto, “indirizzo sconosciuto”.
Jihum è un giovane timido che non sa l’inglese e per questo picchiato da due coetanei. Suo padre, reduce di guerra, aspetta da anni un riconoscimento per aver ucciso in guerra tre comunisti.
Eunok è una giovane ragazza che da bambina ha perso un occhio a causa di uno stupido gioco col fratello fannullone. La sua bellezza attira le attenzioni di un militare americano che le fa la corte e le promette di guarirle l’occhio in cambio del suo amore. Le cose però non sono così idilliache, il soldato si rivela un tossico schizzato che le alza le mani (ma forse non c’entra solo la droga), ed intanto Enouk ama il giovane Jihum.
Come spesso accade con chi sa usare il linguaggio cinematografico, la violenza che fa più male è quella che non si vede. La pozzanghera sulla quale vengono uccisi i cani a bastonate fa rabbrividire al pari della crudeltà con cui il “macellaio” tratta il suo aiutante Chang-Guk, ma lo stesso Chang-Guk, così refrattario alla vista di un cane ammazzato, picchia ripetutamente la madre. L’odio, la violenza e il sangue, sono i fili conduttori della vicenda. Ma Kim Ki-duk non sembra stigmatizzarli proponendo una qualsivoglia morale. Assolutamente no. Si avverte di come gli eventi accadono perché così deve essere, senza artifici filmici. Si respira la vita in Address Unknown.
Un film corale, in cui all’inizio si è disorientati dalla mole di personaggi che calcano la scena, ma col passare dei minuti i ruoli divengono sempre più chiari grazie anche agli attori che sono eccellenti e caratterizzano divinamente il proprio personaggio. Fantastico il triangolo amoroso tra Eunok, Jihum e l’americano. La ragazza arriverà ad asportarsi l’occhio, dopo che le era stato curato, perché l’amore obbligato del soldato è un prezzo da pagare troppo alto per lei.
Vendette e antichi rancori. Il macellaio morirà come un cane ucciso da Chang-Guk, il quale a sua volta, uscito fuori strada con la moto andrà ad imbucarsi in una pozza di fango che con il freddo gelerà, e di lui non rimarranno che le rigide gambe fuori dal terreno. La madre, dopo averlo trovato, inizierà a mangiarlo come un parto all’inverso, e caduta in uno stato catatonico non aprirà al postino che finalmente aveva portato la lettera dall’america.
Ma mentre accade tutto questo c’è un’altra storia, quella di Jihum, e poi di suo padre, di una vecchia pistola, di una donna che preferisce suo marito morto per avere una pensione, di un soldato che non ne può più di guerra che non esiste e si fa di LSD.
C’è la Corea del Sud e il suo grido di dolore.
Unico neo, forse, una leggera confusione nella parte finale in cui si è rimbalzati da una scena all’altra con i vari personaggi alle prese con i propri problemi. Ma amen, me ne sbatto altamente, avercene di film così.
Desaparecidos in Italia, è passato soltanto su Fuori orario, il cui rippaggio è rinvenibile sul muletto.
Un meraviglioso pugno nello stomaco.
L'ho vissuto in pieno,dolore su dolore.Complimenti per il tuo blog Eraserhead,ti ho scoperto da poco e ne sono molto lieto.
RispondiEliminaCiao e grazie a te per il commento che mi ha fatto ricordare un film bellissimo.
RispondiEliminaDolore su dolore, sì.