Due anni dopo Breakfast on Pluto (2007), Neil Jordan cambia completamente registro mettendo in piedi un thriller cupo e drammatico, di cui però non scrive né il soggetto e né la sceneggiatura, con Jodie Foster protagonista nei panni di una conduttrice radiofonica, Erica Bain, che a pochi giorni dal matrimonio viene violentata da un gruppo di delinquenti insieme al suo fidanzato che ci rimette le penne. Distrutta dall’evento, una specie di ospite (il buio?) si insinua dentro di lei spingendola ad ammazzare un paio di balordi di New York, mentre il detective Sean Mercer (Terrence Howard) indaga su questi misteriosi omicidi.
L’inizio è un po’ derivativo. La coppietta perfetta che viene malmenata è uno dei topoi di qualunque rape & revenge che si rispetti. Fortunatamente il senso del film non risiede soltanto nella voglia di vendetta di Erica, ma è una riflessione di ampio respiro che tocca temi di notevole importanza come ad esempio il cambiamento che un evento tragico può portare in una persona, ma anche la legittimità di uccidere un essere umano pur indossando una divisa, e la questione della sicurezza nella strade, tema molto attuale nel nostro paese.
Insomma, non è soltanto un film di azione con pallottole e distintivi, in quanto viene dedicata una particolare attenzione all’introspezione della protagonista che, come più volte viene sottolineato, dopo il fattaccio ha avvertito un cambiamento che l’ha estraniata da se stessa, al punto che nel porsi come paladina della giustizia non prova nessun rimorso nell’uccidere alcune carogne tipo un rapinatore e un magnaccio.
Viene da storcere un po’ il naso sul fatto che la Foster si trovi sempre in situazioni di pericolo. Cioè esce col fidanzato e viene picchiata da dei teppisti, è sulla metropolitana ed assiste a una rapina, passeggia per strada e un tizio con un auto inizia ad importunarla. Ammazza che sfiga oh! Questi passaggi sono forzati e si sente, al pari di altre quisquiglie come il ritrovamento della ragazza che vendette l’anello (chi ha visto sa), o di come il detective alla fine trovi l’abitazione dello stupratore (idem come prima). Sono piccolezze, ma sommate pesano sul giudizio complessivo.
A controbilanciare ci sono ottimi momenti come il dialogo tra Erica ed il detective in cui il poliziotto parla apertamente del killer a cui stanno dando la caccia senza sapere che la persona che stanno cercando ce l’ha di fronte. Valida anche la scena in cui Jodie Foster deve riconoscere l’assassino del suo ragazzo.
Jodie Foster, dunque. Non la conosco granché come attrice, ma come vendicatrice non l’ho vista molto bene. Pur avendo i tratti del viso mascolini, non è riuscita a far emergere quella rabbia naturale dopo una tragedia del genere, e anche la sua lucida follia risulta parecchio calcolata. Terrene Howard fa lo “sporco” lavoro della spalla, e ci riesce devo dire. Certo è che questi poliziotti americani nei film sembrano tutti uguali.
È un buon film in fin dei conti, non eccellente perché da questo filone è stato attinto parecchio, ma pur avendo momenti che sanno di già visto, una solida filosofia di fondo tiene in piedi la baracca.
L’inizio è un po’ derivativo. La coppietta perfetta che viene malmenata è uno dei topoi di qualunque rape & revenge che si rispetti. Fortunatamente il senso del film non risiede soltanto nella voglia di vendetta di Erica, ma è una riflessione di ampio respiro che tocca temi di notevole importanza come ad esempio il cambiamento che un evento tragico può portare in una persona, ma anche la legittimità di uccidere un essere umano pur indossando una divisa, e la questione della sicurezza nella strade, tema molto attuale nel nostro paese.
Insomma, non è soltanto un film di azione con pallottole e distintivi, in quanto viene dedicata una particolare attenzione all’introspezione della protagonista che, come più volte viene sottolineato, dopo il fattaccio ha avvertito un cambiamento che l’ha estraniata da se stessa, al punto che nel porsi come paladina della giustizia non prova nessun rimorso nell’uccidere alcune carogne tipo un rapinatore e un magnaccio.
Viene da storcere un po’ il naso sul fatto che la Foster si trovi sempre in situazioni di pericolo. Cioè esce col fidanzato e viene picchiata da dei teppisti, è sulla metropolitana ed assiste a una rapina, passeggia per strada e un tizio con un auto inizia ad importunarla. Ammazza che sfiga oh! Questi passaggi sono forzati e si sente, al pari di altre quisquiglie come il ritrovamento della ragazza che vendette l’anello (chi ha visto sa), o di come il detective alla fine trovi l’abitazione dello stupratore (idem come prima). Sono piccolezze, ma sommate pesano sul giudizio complessivo.
A controbilanciare ci sono ottimi momenti come il dialogo tra Erica ed il detective in cui il poliziotto parla apertamente del killer a cui stanno dando la caccia senza sapere che la persona che stanno cercando ce l’ha di fronte. Valida anche la scena in cui Jodie Foster deve riconoscere l’assassino del suo ragazzo.
Jodie Foster, dunque. Non la conosco granché come attrice, ma come vendicatrice non l’ho vista molto bene. Pur avendo i tratti del viso mascolini, non è riuscita a far emergere quella rabbia naturale dopo una tragedia del genere, e anche la sua lucida follia risulta parecchio calcolata. Terrene Howard fa lo “sporco” lavoro della spalla, e ci riesce devo dire. Certo è che questi poliziotti americani nei film sembrano tutti uguali.
È un buon film in fin dei conti, non eccellente perché da questo filone è stato attinto parecchio, ma pur avendo momenti che sanno di già visto, una solida filosofia di fondo tiene in piedi la baracca.
Nessun commento:
Posta un commento