È assodato che la
fantascienza umanizzata di Tarkovskij
ha lasciato segni nella cinematografia sovietica, tanto che, ancora
oggi, dalla Russia e zone limitrofe ci giungono segnali di una
vitalità filmica che guarda con occhi dolci a Solaris
(1972) e ad altre opere equipollenti, da queste parti gli esempi in
merito non mancano: 4
(2004), Target
(2011), Vanishing Waves
(2012), ma anche i film di Lopušanskij e, forse, pure l’ultimo
di German, Hard to Be a God
(2013), che qui non c’è, e che è un mostro colossale, il più
grande film russo da non so quanti anni ad oggi. Pellicole divergenti
quelle appena citate dove ci vuole non poca sfrontatezza nel
raggrupparle in un unico insieme, parimenti è penso condivisibile
segnalare un comune approccio alla materia fantascientifica che evade
i canoni dell’etichetta e che esprime per mezzo di segnali
stilistici e tematici un senso di appartenenza nei confronti dello
Stato geograficamente più grande del pianeta. Tratteggiato in modo
sommario e opinabile il contesto, dico che all’elenco si può
aggiungere un’altra voce: 977
(2006), un debutto firmato da Nikolay Khomeriki (regista moscovita
nato nel ’75 che vanta una presenza attoriale in Rita’s Last Fairy Tale, 2012) e
presentato a Cannes ’06, che è un titolo non esattamente facile,
(rumore dello schiocco tra il pollice ed il medio), istantaneo, il
che, in sostanza, è pane per le nostre menti che perlomeno
registrano una certezza, ovvero che Khomeriki nel girare un film
contemporaneo omaggia una sci-fi vintage, superata, giurassica, non
per niente l’azione si svolge in una struttura sanitaria dotata di
macchinari ridicoli e antiquati.
In
realtà la constatazione di un’atmosfera passata più che fornire
sicurezze getta ancor più nell’interrogativo, in 977
le coordinate spazio-temporali sono molto instabili e nulla ci vieta
di pensare che l’Istituto sia una specie di dimensione a parte, un
luogo che non esiste e che quindi non ha tempo definito (alla fine un
enigmatico Leos Carax che per tutta la proiezione appare e scompare
dagli anfratti impolverati del palazzo si allontana portandosi via un
grosso orologio). Lo stesso giovane dottore che inizialmente appare
come una figura razionale, nel prosieguo della vicenda viene attratto
dal vortice surreale che lo attornia, e nel dialogo con il capo che
anticipa la conclusione si potrebbe squadernare una piccola grande
verità, e cioè che 977
è uno di quei film-cervello che terremotano la visione, e pur non
arrivando ad elevati picchi di magnitudo, alcuni dati comunque sia
crollano (“Rita non è mai esistita”) e tutto fa sì che si
rimescoli in un gorgo di supposizioni. Non è un’opera a cui
bisogna chiedere una comprensione Nine Seven Seven,
la ricerca di una decifrazione netta ne sminuirebbe le qualità che
al contrario sono site proprio nel suo alone misterico e sfuggente,
però possiamo apprezzare l’evidenza degli assunti argomentativi
che spaziano in aree squisitamente umane (ecco!) quali sono i
sentimenti, perché 977,
camuffandosi dietro una maschera retro-science
fiction, non fa che
raccontarci dell’arcano che unisce le persone, di quel nesso
invisibile sprigionato dal nostro muscolo cardiaco, e quindi sì,
Khomeriki, in un qualche modo, finisce per parlarci d’amore.