Ci sono persone che pensano, altre che riflettono.
Ri-flettono, si piegano.
Ri-flettono, vivono di riflesso.
Dipendono da altri, esistono come altri, riverberano la luce, seguono, in-seguono, e non ne sono consapevoli.
Spesso queste persone si riempiono la bocca di parole che non conoscono, ascoltano canzoni che non sanno, guardano film e leggono libri che non capiscono. Ridono perché lo fa qualcun altro, usano le stesse parole, gli uguali suoni, le medesime idee. Ma a loro non importa, se la luce fa così loro la ri-flettono, si piegano ad essa. Addirittura arrivano a tifare per una squadra di calcio senza sapere da quanti giocatori è composta, una squadra.
Dicono che lo fanno per amore.
Non Pensano, però, che così facendo inaridiscono due vite all’unisono, logorandosi. Diventando l’ombra di un altro perdono la loro consistenza, trasformando se stessi in una cop(p)ia sbiadita.
E la loro luce? Si affievolisce pian piano, inglobata da quell’ombra che la incatena a lei soffocandola.
Ho letto pochi giorni fa alcuni stralci di Avere o essere? (Mondadori, 1977) di Erich Fromm, scrive il sociologo tedesco: “L’atto di amare contiene il valore di portare alla vita, significa aumentare la vitalità dell’altro. È dunque un processo di autorinnovamento, di autoincrementamento”.
Ri-flettono, si piegano.
Ri-flettono, vivono di riflesso.
Dipendono da altri, esistono come altri, riverberano la luce, seguono, in-seguono, e non ne sono consapevoli.
Spesso queste persone si riempiono la bocca di parole che non conoscono, ascoltano canzoni che non sanno, guardano film e leggono libri che non capiscono. Ridono perché lo fa qualcun altro, usano le stesse parole, gli uguali suoni, le medesime idee. Ma a loro non importa, se la luce fa così loro la ri-flettono, si piegano ad essa. Addirittura arrivano a tifare per una squadra di calcio senza sapere da quanti giocatori è composta, una squadra.
Dicono che lo fanno per amore.
Non Pensano, però, che così facendo inaridiscono due vite all’unisono, logorandosi. Diventando l’ombra di un altro perdono la loro consistenza, trasformando se stessi in una cop(p)ia sbiadita.
E la loro luce? Si affievolisce pian piano, inglobata da quell’ombra che la incatena a lei soffocandola.
Ho letto pochi giorni fa alcuni stralci di Avere o essere? (Mondadori, 1977) di Erich Fromm, scrive il sociologo tedesco: “L’atto di amare contiene il valore di portare alla vita, significa aumentare la vitalità dell’altro. È dunque un processo di autorinnovamento, di autoincrementamento”.
Mi viene da ridere, penso alle parole delle ombre. Corrono più da un cellulare all’altro che di bocca in orecchio, sono allitterazioni. Movimenti sabbiosi di sillabe, vocali e consonanti che girano in loop. In un vicolo cieco, nel buio, nell’ombra, nel niente. Le parole sono importanti, loro non lo sanno.
Penso alle ombre e ho paura.
Di me, di loro, di noi.
Di me, di loro, di noi.