Non ci
basterà una vita intera per poter asserire che del florido
sottobosco non-live action abbiamo visto perlomeno abbastanza,
è plausibile che sia sufficiente pescare a caso nella sezione
dedicata ai corti animati di qualche Festival o più semplicemente
navigare nei siti web di gente dedita a tale arte che scovare piccole
pepite sconosciute mirabili per l’ingegno realizzativo unito al
settore argomentativo diventa un gioco da ragazzi, ovviamente stanare
uno short, chessò, armeno, non tampona l’ingestibile proliferare
mondiale della contemporaneità, tuttavia meglio non intristirsi
troppo e assimilare quel poco che si riesce ad acciuffare, dunque: il
poco in questione di oggi è Benjamin’s Flowers (2012), mini
ritratto d’alienazione con passaporto svedese firmato da Malin
Erixon, disegnatrice nonché artista a tutto tondo che nel 2000 ha
fondato la Ganzanderes, una società che si occupa di grafica – e
non solo – in svariati settori, un click qui e potrete notare il
fermento riguardante la regista nata a Stoccolma. Per un’eguale
tendenza a fare tema di studio l’umana solitudine il corto si può
accostare ad un suo simile precedutogli di qualche anno: Skhizein
(2008), è però un’impressione piuttosto superficiale che non
attecchisce perché Clapin, al pari di tutti gli altri suoi lavori,
instilla gocce di nostalgia, di fragile dolcezza, che invece non sono
riscontrabili qua, almeno non nel nucleo portante.
La Erixon
preferisce infilarsi nel disturbo del protagonista appaiando la
propria veduta a quella della sua mente sbilenca, è un procedimento
ludico di cui godiamo un estro e una carica inventiva che si mettono
a servizio della psicosi in una metamorfosi mentale dove non viene
risparmiato un certo turbamento sessuale, nient’altro che le
fantasie erotiche del buon Benjamin, ma il fatto che esse vengano
filtrate da un vestito entomologico rende la faccenda meno affabile
del previsto: persiste, sottilmente, flebilmente, ma persiste, una
membrana di attraente anormalità, un’estesa weirditudine che
restituisce un paesaggio casalingo fortemente paranoico, e non mi sto
riferendo alle incursioni insettifire, talmente squinternate da non
necessitare approfondimenti, quanto alla così definibile realtà
che, seppur girando al minimo con i pensieri sconclusionati di
Benjamin, non lesina una sottile ansia, una calma insana regolata da
effetti sonori che strisciano nel subconscio (la pioggia battente, il
ronzio della mosca, il battito regolare prodotto, se notate, dal cane
che picchia la coda sul divano), la presenza di una tale atmosfera è
propedeutica alla definitiva fusione dei due mondi che si mischiano
con assoluta, sballata, naturalezza, tanto che alla fine ogni cosa
diviene un prodotto celebrale (l’animale domestico, il ginnasta
televisivo) che lascia il povero omino solo ma probabilmente felice
con i tanti sogni sotto vuoto.