Il
film-progetto Europe, She Loves (2016) firmato dallo svizzero
Jan Gassmann si premura di incorniciare nell’attualità (sì, di
qualche anno fa rispetto ad oggi ma, come dire, certe situazioni non
cambiano mai) quattro coppie che vivono in altrettante città europee
(erano cinque ma quella croata non è stata inclusa nel montaggio
finale). Nell’ordine abbiamo Tallinn, Dublino, Siviglia e
Salonicco, ecco quindi la curiosa scelta del regista di non prendere
in considerazione le grandi capitali del Vecchio Continente ma di
razzolare nelle periferie d’Europa, ai bordi, in zone di confine,
in tanti altrove di palazzi e cemento. Dal titolo poi possiamo
estrapolare già un possibile senso dell’opera, quel pronome
personale che sembra, e che sicuramente è, intelligibile come uno
slancio sentimentale attivo dell’Europa verso i suoi abitanti,
presenta comunque una virgola che, al contempo, separa le due
istanze. È vero che da una parte abbiamo una precisa coordinata
geografica, ma è parimenti vero che dopo il segno di interpunzione
c’è un non precisato soggetto femminile che ama. Ebbene, se
c’è una cosa, tra le tante, che accomuna i fidanzati ripresi da
Gassmann è la distanza tra le donne e gli uomini, in sostanza, i
maschietti, non ne escono troppo bene: sono indolenti, un po’
pigri, disoccupati o impegnati in lavoretti senza prospettive, sono
buoni amanti, teneri, anche amorevoli, ma le donne fremono, vedono,
come sempre, al di là dell’uscio dove abitano, sognano,
progettano, immaginano altre vite che si sfracellano contro la realtà
quotidiana. Il risultato è quindi uno e molteplice: litigi e
discussioni, riappacificazioni, coiti riparatori e forse routinari,
male parole, rimproveri, nevrotici rimbalzi tra l’odiare e l’amare
e viceversa.
Eppure
quello di Gassmann non è un Casa Vianello
in salsa docudrama e non è nemmeno uno studio sull’amore 2 o 3.0,
o almeno non solo. L’esistenza di queste coppie va rapportata,
anzi, va letteralmente incastrata nel contesto socio-politico che
abitano, che respirano, che sentono, magari soltanto dal notiziario,
distrattamente, mentre mettono a letto figli avuti con altri partner.
È qui che Gassmann ci conduce, nel disegno globale che guasta
quello particolare, perché è tristemente così, la crisi di coppia
è conseguenza diretta della crisi generale. Non c’è lavoro. Non
ci sono soldi. Non c’è possibilità di pianificazione. L’orizzonte
sconfinato della vita è circoscritto nel piccolo recinto del domani,
non oltre. In un quadro così, annerito efficacemente dal regista con
segnali scoraggianti che entrano ed escono dal film come fantasmi (le
parole del Papa sull’emergenza migranti; il timore dell’opinione
pubblica sull’avanzamento dell’estrema destra), i ragazzi (coppie
reali reclutate da Gassmann stesso il quale si è insediato per
qualche settimana nelle loro case e nella loro intimità)
sfumacchiano nelle camere da letto disordinate, gli animi ribollono
sotto una calma apparente, trovano scuse (il fidanzato spagnolo), si
alienano (quello irlandese), vivono alla giornata, all’ora, al
minuto. È un film deprimente Europe, She Loves,
sul serio, anche se quasi di un lustro fa e calato in un mondo che
viaggia a mille, è capace di non perdere la propria cifra
contemporanea, ed è anche un film che fa incazzare perché non ci
meritavamo di pagare così a caro prezzo il benessere goduto dai
nostri genitori, ed è, infine e soprattutto, una cartina tornasole
rovesciata per ciò che non dobbiamo essere, ci siamo passati, ci
stiamo passando e ci passeremo tutti, ma credo che possiamo e potremo
farcela, e lo racconteremo ai nostri figli, e ci saranno tante altre
e dopo quella virgola,
e una indubbiamente dirà così: Europe, She Loves?
Sì, me lo ricordo abbastanza bene, è stato uno sconosciuto film
generazionale della mia travagliata epoca.
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