lunedì 24 febbraio 2020

Europe, She Loves

Il film-progetto Europe, She Loves (2016) firmato dallo svizzero Jan Gassmann si premura di incorniciare nell’attualità (sì, di qualche anno fa rispetto ad oggi ma, come dire, certe situazioni non cambiano mai) quattro coppie che vivono in altrettante città europee (erano cinque ma quella croata non è stata inclusa nel montaggio finale). Nell’ordine abbiamo Tallinn, Dublino, Siviglia e Salonicco, ecco quindi la curiosa scelta del regista di non prendere in considerazione le grandi capitali del Vecchio Continente ma di razzolare nelle periferie d’Europa, ai bordi, in zone di confine, in tanti altrove di palazzi e cemento. Dal titolo poi possiamo estrapolare già un possibile senso dell’opera, quel pronome personale che sembra, e che sicuramente è, intelligibile come uno slancio sentimentale attivo dell’Europa verso i suoi abitanti, presenta comunque una virgola che, al contempo, separa le due istanze. È vero che da una parte abbiamo una precisa coordinata geografica, ma è parimenti vero che dopo il segno di interpunzione c’è un non precisato soggetto femminile che ama. Ebbene, se c’è una cosa, tra le tante, che accomuna i fidanzati ripresi da Gassmann è la distanza tra le donne e gli uomini, in sostanza, i maschietti, non ne escono troppo bene: sono indolenti, un po’ pigri, disoccupati o impegnati in lavoretti senza prospettive, sono buoni amanti, teneri, anche amorevoli, ma le donne fremono, vedono, come sempre, al di là dell’uscio dove abitano, sognano, progettano, immaginano altre vite che si sfracellano contro la realtà quotidiana. Il risultato è quindi uno e molteplice: litigi e discussioni, riappacificazioni, coiti riparatori e forse routinari, male parole, rimproveri, nevrotici rimbalzi tra l’odiare e l’amare e viceversa.

Eppure quello di Gassmann non è un Casa Vianello in salsa docudrama e non è nemmeno uno studio sull’amore 2 o 3.0, o almeno non solo. L’esistenza di queste coppie va rapportata, anzi, va letteralmente incastrata nel contesto socio-politico che abitano, che respirano, che sentono, magari soltanto dal notiziario, distrattamente, mentre mettono a letto figli avuti con altri partner. È qui che Gassmann ci conduce, nel disegno globale che guasta quello particolare, perché è tristemente così, la crisi di coppia è conseguenza diretta della crisi generale. Non c’è lavoro. Non ci sono soldi. Non c’è possibilità di pianificazione. L’orizzonte sconfinato della vita è circoscritto nel piccolo recinto del domani, non oltre. In un quadro così, annerito efficacemente dal regista con segnali scoraggianti che entrano ed escono dal film come fantasmi (le parole del Papa sull’emergenza migranti; il timore dell’opinione pubblica sull’avanzamento dell’estrema destra), i ragazzi (coppie reali reclutate da Gassmann stesso il quale si è insediato per qualche settimana nelle loro case e nella loro intimità) sfumacchiano nelle camere da letto disordinate, gli animi ribollono sotto una calma apparente, trovano scuse (il fidanzato spagnolo), si alienano (quello irlandese), vivono alla giornata, all’ora, al minuto. È un film deprimente Europe, She Loves, sul serio, anche se quasi di un lustro fa e calato in un mondo che viaggia a mille, è capace di non perdere la propria cifra contemporanea, ed è anche un film che fa incazzare perché non ci meritavamo di pagare così a caro prezzo il benessere goduto dai nostri genitori, ed è, infine e soprattutto, una cartina tornasole rovesciata per ciò che non dobbiamo essere, ci siamo passati, ci stiamo passando e ci passeremo tutti, ma credo che possiamo e potremo farcela, e lo racconteremo ai nostri figli, e ci saranno tante altre e dopo quella virgola, e una indubbiamente dirà così: Europe, She Loves? Sì, me lo ricordo abbastanza bene, è stato uno sconosciuto film generazionale della mia travagliata epoca.

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