Paul Tunge, norvegese con
un lungo curriculum come assistente alla regia (lo è stato anche per
Joachim Trier in Oslo, August 31st [2011], e
infatti Kano
[2011] potrebbe avere un tono assimilabile a quello del collega, si
fa per dire, più conosciuto), ci racconta i tempi supplementari di
una coppia in procinto di disgregarsi. Quello che interessa a Tunge
non è tanto la sfera sentimentale in sé ma ciò che la intacca (in
particolare i fattori sociali) e allora, partendo da un presupposto
fondamentale per lo snodarsi della narrazione, ovvero il rifiuto nei
confronti di Daniel da parte della scuola d’arte, osserviamo il
protagonista girare a vuoto in una città marittima indolente e
incapace di dare una svolta alla propria vita e a quella di Yvonn,
tirando a campare con lavoretti alla giornata, vivendo non-vivendo in
un locale vuoto e diroccato. Tutto ciò Tunge lo riversa sullo
schermo con un fare para-autoriale che punta a sottrarre (pochi
dialoghi, molta luce naturale) e ad astrarre (la condizione del duo
che è quasi “a parte”, separata dal mondo) rifinendo qua e là
il girato con brevi sequenze in stop motion dove dei disegni si
creano come da soli sul set.
In suddetti termini Kano
potrebbe anche avere qualche spunto di interesse, infatti la tematica
della rottura, seppur inflazionata, sarebbe mitigata da
un’accettabile cura formale, il punto è che il regista con
l’avvicinarsi della fine indirizza il film verso un’area lontana
da quella amorosa, Tunge vorrebbe mostrare la deriva mentale di
Daniel che smarritosi nella sua esistenza priva di senso inizia ad
assumere atteggiamenti voyeuristici sempre più gravi. Non so se
nell’idea del regista vi fosse l’intenzione di suggerire qualche
aggancio meta con il ragazzo dipendente dallo spy-video (e a
proposito: l’amplesso con la sconosciuta è di una forzatura
evidente), ma anche se fosse una tale riflessione sul vedere, su
quella pulsione scopica, sulla necessità di guardare per
sentirsi vivi, non innerva adeguatamente la discesa nella follia di
Daniel, la quale, per di più, si propone un po’ incolore, un po’
boh, nonché sbilanciata nella costruzione dato che vediamo questa
mania soltanto in un breve episodio iniziale per poi ricomparire
prendendosi il palcoscenico a qualche passo dalla conclusione. Per
tutta una serie di motivi Kano è un film che definirei
sbrigativamente dimenticabile, al netto di un’estetica appetibile
quanto resta è di un’inconsistenza preoccupante.