Per amor vostro
(2015) è un upgrade di Giro di lune tra terra e mare (1997)
potato di quelle ricostruzioni pseudo-storiche che appesantivano non
poco la narrazione. Gaudino si concentra dunque sugli aspetti nel e
del “presente” accedendovi grazie a quella chiave muliebre che
risponde al nome di Anna, qui il movimento del regista si fa discesa,
una perforazione dotata di un impianto sociale/di denuncia in
cui orbitano tutta una sequenza di elementi che comunque, alla resa
dei conti, divengono semplici note a piè di pagina del ritratto
martirico disegnato (nel vero senso del termine) e adagiato
sulle capacità recitative di Valeria Golino. Anna è il centro di
una circonferenza che abbraccia quelli che sembrano essere dei punti
fermi nel cinema di questo regista, e quindi ecco nuovamente legami
consanguinei recisi e rinsaldati, la delinquenza e la malavita
sottoforma di strozzinaggio al quale si collega il macrotema della
disoccupazione, e soprattutto la galassia-Napoli, un teatro a cielo
aperto portato in scena con una vitalità discretamente
palpabile.
Pur non essendo più una
tipologia di cinema capace di illuminare gli occhi del sottoscritto,
a Per amor vostro va riconosciuta la capacità di dribblare le
trappole della retorica nello sguardo che getta su Napoli (altrimenti
ci saremmo trovati un altro sbiadito epigono di garroniana memoria),
e ciò accade perché il film ha un carattere piuttosto delineato che
sposa la causa del surreale arrivando a generare un certo stupore
nello spettatore. Il quadro globale che si crea con il soggetto
principale Anna e la connessa esplorazione della sua vita è
terremotato da scosse oniriche che il consueto cinema del giovedì
solitamente non contempla. Gaudino dissemina lungo il percorso visivo
un ordito a tratti incomprensibile ma che stimola disparate
suggestioni e che fa toccare all’opera territori che in fase di
pre-visione, per quanto mi riguarda, non erano pronosticabili,
stralci di inquietudini (i funerei passeggeri del bus) e di pura
visionarietà (l’incubo sulla spiaggia del finale ricorda
moltissimo le stoccate di Zulawski).
Presentato a Venezia ’15,
nonché secondo lungo di finzione nell’arco di quasi un ventennio,
il film se collocato nel contesto narrativo italiano
d’oggidì appare decisamente più vivo della maggior parte dei
prodotti che infestano il grande schermo, allargando lo sguardo oltre
il nostro recinto ci sono però visioni annesse a veri e propri studi
sul cinema che appagano maggiormente, non credo si tratti di
esterofilia perché comunque alla veracità fuori dalle righe dell’autore partenopeo si guarda con rispetto, piuttosto è la constatazione che in
Italia è più difficile raggiungere degli standard qualitativi sopra
la media, cosa che invece accade in altre nazioni, si veda il
Portogallo o la Francia.
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