lunedì 26 marzo 2018

Per amor vostro

Per amor vostro (2015) è un upgrade di Giro di lune tra terra e mare (1997) potato di quelle ricostruzioni pseudo-storiche che appesantivano non poco la narrazione. Gaudino si concentra dunque sugli aspetti nel e del “presente” accedendovi grazie a quella chiave muliebre che risponde al nome di Anna, qui il movimento del regista si fa discesa, una perforazione dotata di un impianto sociale/di denuncia in cui orbitano tutta una sequenza di elementi che comunque, alla resa dei conti, divengono semplici note a piè di pagina del ritratto martirico disegnato (nel vero senso del termine) e adagiato sulle capacità recitative di Valeria Golino. Anna è il centro di una circonferenza che abbraccia quelli che sembrano essere dei punti fermi nel cinema di questo regista, e quindi ecco nuovamente legami consanguinei recisi e rinsaldati, la delinquenza e la malavita sottoforma di strozzinaggio al quale si collega il macrotema della disoccupazione, e soprattutto la galassia-Napoli, un teatro a cielo aperto portato in scena con una vitalità discretamente palpabile.

Pur non essendo più una tipologia di cinema capace di illuminare gli occhi del sottoscritto, a Per amor vostro va riconosciuta la capacità di dribblare le trappole della retorica nello sguardo che getta su Napoli (altrimenti ci saremmo trovati un altro sbiadito epigono di garroniana memoria), e ciò accade perché il film ha un carattere piuttosto delineato che sposa la causa del surreale arrivando a generare un certo stupore nello spettatore. Il quadro globale che si crea con il soggetto principale Anna e la connessa esplorazione della sua vita è terremotato da scosse oniriche che il consueto cinema del giovedì solitamente non contempla. Gaudino dissemina lungo il percorso visivo un ordito a tratti incomprensibile ma che stimola disparate suggestioni e che fa toccare all’opera territori che in fase di pre-visione, per quanto mi riguarda, non erano pronosticabili, stralci di inquietudini (i funerei passeggeri del bus) e di pura visionarietà (l’incubo sulla spiaggia del finale ricorda moltissimo le stoccate di Zulawski).

Presentato a Venezia ’15, nonché secondo lungo di finzione nell’arco di quasi un ventennio, il film se collocato nel contesto narrativo italiano d’oggidì appare decisamente più vivo della maggior parte dei prodotti che infestano il grande schermo, allargando lo sguardo oltre il nostro recinto ci sono però visioni annesse a veri e propri studi sul cinema che appagano maggiormente, non credo si tratti di esterofilia perché comunque alla veracità fuori dalle righe dell’autore partenopeo si guarda con rispetto, piuttosto è la constatazione che in Italia è più difficile raggiungere degli standard qualitativi sopra la media, cosa che invece accade in altre nazioni, si veda il Portogallo o la Francia.

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