La danese Vibeke Bryld,
qui al suo terzo cortometraggio dopo una lunga gavetta televisiva,
tiene a raccontarci la storia di una donna nata nella Corea del Nord
(con un nome ben poco locale: Harmonia…) che, dopo essersi divisa
dalla madre e dalla sorellina fuggite in Sudcorea per faide
famigliari interne e dopo essersi costruita una vita propria, inizia
lentamente a comprendere di quanto il paradiso (definito con la
parola Han) che la circonda non sia in realtà tale e che a causa
della sua posizione privilegiata (è la moglie di un militare) le era
stato impossibile venire a conoscenza delle povertà intorno a
Pyongyang. Questo è dunque l’assunto di Pebbles at Your Door
(2015) dal quale non si scappa, il lavoro della Bryld, di cui non
sono riuscito a trovare conferme sull’effettiva veridicità della
storia narrata ma è presumibile che ci sia molta aderenza alla
realtà dei fatti (“non posso mostrarvi il mio volto…”), si
costruisce sul parlato della donna che attraverso il proprio ricordo
struttura un arco temporale di trenta-quarant’anni. Tuttavia, vuoi
per la costrizione del contenitore “corto”, vuoi per un velo di
ovvietà adagiato sulla vicenda (ok il dramma concepibile, il
distacco, la mano occludente della dittatura, ma di altro che
abbiamo? Nulla che non sia facilmente pronosticabile), per l’opera
sotto esame presentata alla Berlinale si galleggia a stento nel mare
del ricordabile.
Più interessante è la
realizzazione grafica che potrà guadagnarsi una meritevole
attenzione. Con un procedimento che assomiglia lontanamente a quello
adottato da Panh ne L’immagine mancante (2013), la regista
incapsula dosi di nostalgia/malinconia attraverso un patchwork di
immagini d’archivio, fotografie, cartoline e sagome bidimensionali,
il tutto ammantato da una specie di caos soffuso dove le cose non
vengono mai volutamente messe in primo piano. L’album ingiallito
che scorre davanti a noi possiede, almeno un pizzico, il retrogusto
agrodolce del passato che nello specifico si accompagna ad un lento
risveglio coscienziale da parte della donna. Peccato che, molto
banalmente, il racconto non regga il confronto con il suo
apprezzabile contenitore estetico e l’orizzonte dell’irrilevanza
è l’isola in cui approdano a braccetto.
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