sabato 17 marzo 2018

Pebbles at Your Door

La danese Vibeke Bryld, qui al suo terzo cortometraggio dopo una lunga gavetta televisiva, tiene a raccontarci la storia di una donna nata nella Corea del Nord (con un nome ben poco locale: Harmonia…) che, dopo essersi divisa dalla madre e dalla sorellina fuggite in Sudcorea per faide famigliari interne e dopo essersi costruita una vita propria, inizia lentamente a comprendere di quanto il paradiso (definito con la parola Han) che la circonda non sia in realtà tale e che a causa della sua posizione privilegiata (è la moglie di un militare) le era stato impossibile venire a conoscenza delle povertà intorno a Pyongyang. Questo è dunque l’assunto di Pebbles at Your Door (2015) dal quale non si scappa, il lavoro della Bryld, di cui non sono riuscito a trovare conferme sull’effettiva veridicità della storia narrata ma è presumibile che ci sia molta aderenza alla realtà dei fatti (“non posso mostrarvi il mio volto…”), si costruisce sul parlato della donna che attraverso il proprio ricordo struttura un arco temporale di trenta-quarant’anni. Tuttavia, vuoi per la costrizione del contenitore “corto”, vuoi per un velo di ovvietà adagiato sulla vicenda (ok il dramma concepibile, il distacco, la mano occludente della dittatura, ma di altro che abbiamo? Nulla che non sia facilmente pronosticabile), per l’opera sotto esame presentata alla Berlinale si galleggia a stento nel mare del ricordabile.

Più interessante è la realizzazione grafica che potrà guadagnarsi una meritevole attenzione. Con un procedimento che assomiglia lontanamente a quello adottato da Panh ne L’immagine mancante (2013), la regista incapsula dosi di nostalgia/malinconia attraverso un patchwork di immagini d’archivio, fotografie, cartoline e sagome bidimensionali, il tutto ammantato da una specie di caos soffuso dove le cose non vengono mai volutamente messe in primo piano. L’album ingiallito che scorre davanti a noi possiede, almeno un pizzico, il retrogusto agrodolce del passato che nello specifico si accompagna ad un lento risveglio coscienziale da parte della donna. Peccato che, molto banalmente, il racconto non regga il confronto con il suo apprezzabile contenitore estetico e l’orizzonte dell’irrilevanza è l’isola in cui approdano a braccetto.

Sull’argomento potreste vedere anche The Coast Guard (2002) e Deface (2007).

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