Presentato al Festival di
Venezia ’07, Continental, un film sans fusil (2007) è un
debutto firmato dal canadese Stéphane Lafleur che si instrada nella
folta categoria del film corale, e direi che per stile, tematiche e
tendenza ad instillare asprezze nella normale esistenza delle persone
siamo nei territori di Todd Solondz, infatti anche per Lafleur la
vita che il cinema può raccontarci è quella di miseri cristi alle
prese con magagne atterrenti, abbiamo una moglie improvvisamente
abbandonata, un assicuratore lontano dalla famiglia che pare abbia
delle divergenze con la consorte, un rigattiere che non ha il denaro
per pagarsi un’operazione ai denti e una receptionist paranoica, in
più questo manipolo di personaggi deve fronteggiare quella dura
pietra che corrisponde al nucleo dell’opera: la solitudine. Curioso
il fatto che il filone della coralità nella settima arte abbia
spessissimo affrontato la condizione dell’uomo emarginato in un
contesto sociale comunque abbastanza abbiente, il sentirsi isole, ed
esserlo nel concreto, pur vivendo in una realtà sempre più
iperconnessa è un paradosso del contemporaneo che dovrebbe essere
studiato approfonditamente dalla sociologia, ammesso che non lo sia
già. Il fatto che tutti i personaggi del film siano soli non è
altro che la conseguenza dell’incipit dove l’uomo (vero che è il
marito, ma vero anche che è sineddoche, il suo abbandono lascia
orfani le altre pedine della scacchiera), senza che venga spiegato il motivo,
si inoltra nel buio impenetrabile di un bosco.
Lafleur da questo momento
in poi inizia a tessere la sua tela tramica che, come da tradizione,
permette ai vari esseri umani sulla scena di incontrarsi, di
sfiorarsi, di illudersi per un attimo che quel malessere si possa in
qualche modo lenire, ma, come nuovamente da tradizione, è difficile
che ci possa essere un ribaltamento esistenziale, la rivincita non è
un termine contemplato nel vocabolario dei soggetti sotto esame e
Lafleur segue attento questi precetti disegnando un quadro
complessivo dotato di una credibilità e di una logicità
apprezzabili (si storce il naso solo una volta, quando il rigattiere
riceve troppo facilmente dei soldi per il presunto avvistamento del
fuggitivo). Camminando sul crinale che divide la commedia dal dramma,
il regista non disdegna sguardi verso il panorama del grottesco,
forse non riesce ad essere davvero “cattivo” al pari di altri
colleghi (il già citato Solondz o in Europa Seidl e Östlund
per menzionare i primi balzati alla mente), ma un paio di situazioni
strappano dei sorrisi amari, risultato diretto di un’umanità che
affannandosi a cercare un rimedio alla propria condizione non fa
altro che inciampare nel ridicolo agli occhi dello spettatore, il
quale riceve da Lafleur un trattamento rispettoso, senza
accenti né intensificazioni di sorta (d’altronde lo ricorda il
titolo: non vi è azione in Continental) l’effluvio della
malinconia si diffonde sottile.
Chi cerca
dell’originalità non potrà trovarla nell’opera prima di
Lafleur, che, fra l’altro, si rivelerà regista di un certo
spessore portando i suoi due lungometraggi susseguenti
rispettivamente a Berlino e a Cannes, eppure non scanserei la
possibilità di sfogliare ancora una volta, e poco importa se sia
l’ennesima quando il risultato è godibile, il grande libro delle
afflizioni minime della nostra razza.
Nessun commento:
Posta un commento