Grande atmosfera in
questo titolo dell’estroso Bertrand Mandico (Living Still Life,
2012) impegnato a fornirci una biografia allucinata del celebre
regista Walerian Borowczyk, del
quale, e spero di non essere accusato di lesa maestà, non ho un
ricordo particolarmente positivo, almeno per quanto riuscii a vedere
(I racconti immorali di Borowczyk
[1974] e La bestia
[1975]), impressioni confermate da quanto scrissi al tempo dove
al di là di un mio approccio ingenuo alla materia cinema mi pare
emerga chiaramente il fatto che certe provocazioni e certe
dinamitazioni col passare degli anni e con i cambiamenti sociali e
artistici hanno ridotto di molto la loro portata eversiva. Ad ogni
modo non sarà il mancato amore verso l’autore di origini polacche
a deprezzarmi il lavoro di Mandico, anzi come accennato nella prima
riga vanno fatti i complimenti al francese per il quadro che ha
saputo mettere in piedi, un vero e proprio crogiuolo di suggestioni
filmiche in cui ci si riesce a vedere quello che più aggrada, io ad
esempio ci ho visto in lontananza la mano di Maddin e una cifra weird
à la
Švankmajer (questo Boro inscatolato non assomiglia al tenero
Little Otik
[2000]?), il tutto senza però scivolare in una sterile derivazione perché Boro in the Box
(2011) si carica di una originalità che prescinde dalle
possibili ispirazioni, e di ciò a Mandico è doveroso rendere onore.
Costituito
da un abbecedario che quasi ironicamente istituisce uno schizzato
compendio della vita di Borowczyk, il film tenta, credo riuscendoci,
di rappresentare, ovviamente in modo non letterale, l’origine delle
ossessioni erotiche di Boro. C’è della sporcizia (la madre che
copula con un cavallo, antipasto de La bestia),
della velata perversione (la giovane mamma “gioca” a morire, il
padre una bestia tutt’uno con la natura: il concepimento è allora
uno stupro), ma anche della solitudine esacerbata da quel recinto ad
personam che separa il
protagonista dall’alterità. Non credo sia un caso che l’unico
punto di sfogo rintracciabile nella gabbia/scatola sia un foro
circolare perfetto per accogliere il mirino della cinepresa, tanto
che la compenetrazione tra i due corpi (anche la mdp è giustamente
corpo per
Mandico, la vediamo organica, pelosa… mostruosa?) dà vita ad unico
essere: che è il Regista, che è Borowczyk. Di tutto il resto che
risulta incomprensibile non importa poi molto, quando è un cinema
così singolare a richiedere la nostra attenzione è da sconsiderati
voltargli le spalle.
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