Nell’ormai
famoso sestetto del 2015 Shinjuku Swan
risultava essere, in una gara a chi faceva davvero peggio, il film
più brutto del lotto in quanto al suo interno iniziava a maturare
un’evidente spersonalizzazione registica, a tratti non vi era più
alcuna peculiarità che potesse legittimare la paternità di Sono. Al
tempo sottolineavo di come la constatazione ultima e rattristante
fosse che per buona parte della proiezione non sembrava nemmeno di
avere più a che fare con un’opera firmata dal giapponese. È automatico che da premesse del genere non poteva proprio uscire un
prodotto dignitoso, anzi se col primo capitolo quel processo di
disidentificazione iniziava a svilupparsi e a prevalere sul girato,
con Shinjuku suwan II
(2017) si arriva allo stadio conclusivo: non c’è la benché minima
traccia del Sono che fu (nella versione rinvenuta dal sottoscritto è
mancante anche la tipica scritta d’apertura “A Sono Sion film”,
e forse non è una coincidenza...), ergo: il film è letteralmente
invedibile. A causa dell’estenuante lunghezza (sfioriamo
ingiustificatamente le due ore e un quarto) che ha annientato il
desiderio di mettermi alla ricerca di qualunque informazione extra,
mi limito a supporre che la seconda trasposizione del manga ideato da
Ken Wakui sia stata pensata essenzialmente per soddisfare l’interesse
dei fan nipponici piuttosto che quello degli occidentali. Ma al di là
del target di mercato, se proviamo ad analizzare la struttura
narrativa di Shinjuku Swan II subito
ci si rende conto della pochezza del tutto: ancora e per l’ennesima
volta siamo qui a riportare la disputa criminale tra bande di
pseudo-delinquenti caricaturate in un eccesso che, spiace dirlo Sion,
non funziona proprio, anzi: irrita, ma nel profondo, tipo che sono
insopportabili sia i buoni che i cattivi, ammesso che vogliate
trovarvi una differenza dato che sembrano tutti dei grandi
imbecilli.
Lo
snodarsi degli eventi non ha appeal, è farraginoso, noioso e
schematico, la pletora di inutili personaggini che compaiono sullo schermo fa sempre riferimento ad un boss superiore in una piramide di
potere fumettosa e ridicola. Non ho vergogna ad ammettere che
parecchi passaggi mi sono sfuggiti, un po’ perché al momento della
visione (primi di dicembre del 2017) gli unici sottotitoli inglesi
disponibili erano di pessima fattura, e un po’ tanto perché la
dozzinalità dell’intreccio risulta essere
distraente oltremisura, se poi rispetto al predecessore vengono anche
diminuite le baruffe tra le gang limitandosi ad inscenare qualche
scazzottata per nulla memorabile (appena appena salvabile quella in
cui cadono i cartelloni pubblicitari), il risultato è lo
srotolamento di intrighi soporiferi su come riuscire a reclutare più
ragazze della cricca opposta unito alle varie ed eventuali che
gravitano nell’ambiente malavitoso. Inutile ribadire che non vi è
nessun approfondimento né un tentativo di dare spessore (comunque,
almeno in teoria, si racconta di prostituzione qui), è solo carta
velina adagiata sul modello iper-abusato (anche da Sono stesso) degli
yakuza-movie, un insulto per chi ha a cuore le sorti di quella cosa
magnifica che si chiama cinema. Ad ogni modo sono piuttosto sicuro di
aver definitivamente compreso Sono, quando verso il 2011 aveva fatto
irruzione in Europa (il Festival di Torino gli dedicò anche
un’esaustiva retrospettiva) ci eravamo meravigliati di quanto
vitali fossero i suoi lavori, questo perché, semplicemente, avevamo
visto i migliori, poi spulciando la filmografia sono venuti a galla
esemplari a dir poco biasimevoli (due titoli a caso: Kikyû kurabu, sonogo [2006] e Be Sure to Share [2009]), e ora che
è diventato produttivamente inarrestabile emerge con forza la tendenza di assoggettarsi ad una commercialità che non può che
essere lontana dai miei desiderata,
tuttavia non ritengo che Sono abbia completamente prosciugato la vena
artistica, The Whispering Star (2015)
e Antiporno (2016)
suggeriscono il contrario, bisogna piuttosto accettare la prolifica
politica intrapresa ed essere consci del fatto che fra tante brutture
qualcosa di dignitoso a volte spunta.
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