venerdì 26 aprile 2019

Kikyû kurabu, sonogo

Kikyû kurabu, sonogo (2006) rientra in quella categoria di film sononiani che potrebbe essere equiparata ad una marmellata dolciastra, non è che siano opere esageratamente buoniste o smaccatamente banalotte (oddio, un po’ sì, e in ambedue i casi), è che sapendo chi è la mente dietro il progetto ci si indigna parecchio al pensiero che il regista di Cold Fish (2010) abbia partorito oggetti futili come Be Sure to Share (2009), The Land of Hope (2012) e Love & Peace (2015) ma è un discorso che il sottoscritto ha fatto più volte e che, in fondo, non fregherà nulla al resto del mondo, e non per niente il suddetto mondo continuerà beatamente ad ignorare l’esistenza di Balloon Club, Afterwards (o Balloon Club Revisited), un titolo che pare sia uscito in Giappone il 23 dicembre 2006 (una data che non stupisce) e che non ha mai evaso i confini nazionali se non sottoforma di DVD acquistabile sull’Amazon nipponico. Insomma, dati del genere mettono già in chiaro la pochezza su cui ci si appresta a ragionare, Sono al suo peggio è un Sono che non si può guardare così impegnato ad imbastire una routine para-drammatica che si sforza invano nel rendere interessante l’esistenza di un gruppo di giovani appassionati di mongolfiere. Se di primo acchito la faccenda potrebbe apparire perlomeno curiosa, tutta la storia si riduce alla metafora per nulla suggerita del perseguire i propri sogni per poter volare in alto. È il caso di dirlo: ciò che si sgonfia, oltre al bar-cupola messo in piedi dalla comitiva, è il film stesso, da subito.

Un barlume approfondibile sarebbe quello dei cellulari che tengono in comunicazione tra loro i membri del club, nel prologo tale elemento è messo in evidenza poiché l’incidente di Murakami rimbalza da un telefonino all’altro dei suoi amici, ed anche successivamente una delle ragazze sottolineerà di come l’unico modo per mantenere un contatto sia esclusivamente attraverso l’aggeggio che tutti abbiamo in tasca, ma a Sono non preme granché riflettere sul possibile deterioramento delle relazioni umane causato dai cellulari, il mood di Kikyû kurabu, sonogo è post-adolescenzialmente orientato a raccontare una storia dove al succitato mantra di dare adito alle proprie velleità che trova nello strambo Murakami la figura di riferimento, si uniscono sottotrame sentimentali davvero leggerine che nemmeno il flusso narrativo suddiviso continuamente tra passato e presente è capace di risollevare; al carico negativo si aggiunge poi una mediocre qualità estetica dettata da un digitale che oggi, a più di dieci anni di distanza, sembra già appartenere al Precambriano (e pensare che appena un anno dopo Sono realizzerà Exte [2007] un’opera che ha la patente della professionalità mainstream, bah, follie di Sion). Forse si potrebbe allentare la morsa della critica su un lungo finale che ricostruisce per brandelli la storia tra Murakami e Mitsuko (sempre e per sempre questo nome…), l’operazione è un filo deviante dai canoni del film (che in sostanza finisce prima, ovvero quando tempo dopo lo scioglimento della congrega i tizi vedono una mongolfiera sopra i grattacieli della città) e perciò appena appena più interessante, ma, come spesso ripeto in situazioni così, chi ce lo fa fare con tutto il cinema che c’è da visionare di utilizzare minuti preziosi per quisquiglie di tal fatta?

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