mercoledì 10 aprile 2019

Sogni di Mevlidò

Antoine Volodine
2019
66thand2nd; 411 p.
  
Erano lì, uno di fronte all’altra. Difficile dire se tra loro vibrasse qualche forma di sessualità a rinfocolare antiche connivenze, o se invece, a vibrare tra loro, fosse unicamente la solitudine, un’infinita, irrimediabile solitudine.

Finalmente, dopo due uscite che mi permetto di definire “minori” sebbene sempre meritevoli di interesse per via della loro natura inusuale e anarchica, mi riferisco a Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima (2017) e a Gli animali che amiamo (2017), 66thand2nd decide di dare seguito al formidabile Terminus radioso (2016) con un romanzo bello corposo, oscuro, intriso di cenere e guano, insomma quanto di meglio ci si poteva aspettare da Antoine Volodine, un meglio che, indubitabilmente, si realizza pagina dopo pagina, e dire che, almeno per tre quarti dell’opera Sogni di Mevlidò sosta di soppiatto in una zona che sa essere al 100% volodiniana e che al contempo sa anche essere qualcos’altro, si noti, ad esempio, che fino all’ultima parte del testo la parola “post-esotico” viene citata una volta sola, certo, c’è un forte substrato che rimanda all’universo in disfacimento ideato dallo scrittore, ma nel seguire le peripezie del poliziotto Mevlidò si penetra in altri gustosi scenari, meno devastazione e quindi minor focus verso l’eventualità di un dopo, e maggior attenzione ad una realtà (immaginate due enormi virgolette che affiancano tale parola) bislacca ed oltre ogni concetto di possibile ma suppergiù inquadrata in una linea narrativa intellegibile che fornisce coordinate abbastanza assimilabili, diciamo che le prime tre sezioni, “notti di Mevlidò”, “una giornata di Mevlidò” e “menzogne di Mevlidò” servono a Volodine per strutturare il suo impianto descrittivo, configurare le debolezze del protagonista, illustrare l’ambiente in cui vive e catalogare i personaggi con cui interagisce, c’è un che di classico che si accompagna, ovviamente, ad uno stile quanto mai personale, zeppo di tic (’sta volta gli elenchi puntati imperano) e formule ritmiche che, lo asserisco senza troppe circonlocuzioni, mi mandano in visibilio.

Ah: tenendo conto dell’assenza sopraccitata riguardante la corrente letteraria di riferimento, sempre nella triplice parte iniziale mancano i soliti cortocircuiti tra reale e non e le annesse meta-riflessioni sul testo scritto dall’interno, e quindi dall'esterno (da Volodine o chiunque egli sia), che danno vita a quel pregevole esercizio di rimpalli disorientanti che ben conosciamo. Fino a qui tutto chiaro. A pag. 170 l’autore francese apre però il sipario ad una sorta di entr’acte dalla duplice natura, è la genesi di un terremoto: i due capitoli, antitetici fin dal titolo, sono entrambi due straordinari viaggi danteschi che vanno in direzioni opposte, uno all’origine l’altro all’epilogo, ma speculari, sovrapponibili, collimanti in un destino dove non mancheranno mai tonnellate di rimpianti, sogni impraticabili e tanta, tanta solitudine. A mio avviso Volodine si afferma come uno degli scrittori più “cinematografici” della contemporaneità, le sue parole che modellano visioni di incredibile impatto assottigliano la distanza tra leggere e vedere, prova ne sono d’esempio sia il viaggio verso la nascita a bordo del furgone con i tre membri dell’organizzazione che lo scortano, sia quello verso la morte che, dopo il duello all’arma bianca con il miserabile Glück, ci regala la passerella delle anime vicine a Mevlidò nell’anfiteatro formato da rifiuti. Le sicurezze fino a quel momento registrate vacillano: chi è davvero Mevlidò? Quale è la vera vita che ha vissuto? E quella che dovrà vivere? O che non vivrà mai?

Dopodiché Sogni di Mevlidò esplode. Letteralmente: esplode. L’ultima coppia di capitoli (le due visioni di Mevlidò) rovescia tutto ciò che avevamo potuto umilmente constatare. C’è un collasso totale di ogni protocollo, lo spazio ed il tempo del testo saltano in aria, le dimensioni si amalgamano, la terza persona narrante lascia posto alla prima, la sensazione è quella di affondare lentamente in una palude di fuliggine dove di sicuro né Mevlidò (o chiunque egli sia) né noi (o chiunque noi stessi siamo) riuscirà/riusciremo ad uscirne indenni. Il post-esotismo, ora, si manifesta nella sua carica ludica e beffarda, ecco che si ragiona dentro l’opera, si svelano i meccanismi, l’impalcatura pur venendo messa a nudo rimane parte integrante del romanzo (quando si compie uno studio critico sui lavori di Mingrelian, ovvero Volodine, si anticipano gli eventi che di lì a poco si realizzeranno). Il punto, scontato, per carità, è che AV non inventa niente in fatto di meta-letteratura, e, evadendo dal contesto cartaceo, possiamo affermare genericamente che anche in altri campi gli artisti hanno spesso ragionato sul proprio manufatto attraverso... il manufatto stesso. No, il fatto è che Volodine risulta capace di operare così bene su di sé, sulle sue parole, sulla sua testualità, da fornire nuova linfa al presentarsi di ogni nuovo scritto, e lo fa utilizzando medesimi canoni e accorgimenti dove sì, qua e là ci possono essere differenze, ma la sostanza, il nocciolo marcio e radioattivo (giusto per ricordare Terminus radioso), non cambia: rovina, desolazione, sterminio, sopravvivenza. Non cambiare mai per cambiare sempre. La grandezza di Volodine è anche questa, e poi al di là del disastro (i ragni, ci avevano detto di non parlare con loro), tra le righe di Sogni di Mevlidò fa capolino un inaspettato sentimento verso i molteplici fantasmi muliebri presenti sulla scena sintetizzati dalla sfuggente figura di Verena Becker, e nel finale, intimo e ridotto, i due, dopo tanto, riescono in qualche modo a incontrarsi e nel silenzio della camera ascoltano gli slogan dei manifestanti rivoluzionari provenire da fuori, ed anche il sottoscritto, giunto alla quarta di copertina, ha continuato a sentire dei motti sovversivi arrivare da chissà dove:
  • VIVA VOLODINE, LA RESISTENZA ED IL POST-ESOTISMO
  • LEGGETE VOLODINE, MORTE AL CAPITALISMO
  • SOGNATE VOLODINE, SOGNATE LA RESISTENZA
  • SOGNATE SINO ALLA FINE, SOGNATE!

2 commenti:

  1. la ringrazio per l'intelligenza della recensione. da traduttore di volodine per 5 lunghi ho raramente letto cose così ben dette e ben pensate. grazie

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  2. Se lei ha tradotto i libri che ho a casa, allora sono io, e tutti quelli che leggono Volodine, a dover ringraziare sentitamente.

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