Antoine Volodine
2019
66thand2nd; 411 p.
2019
66thand2nd; 411 p.
Erano lì,
uno di fronte all’altra. Difficile dire se tra loro vibrasse qualche
forma di sessualità a rinfocolare antiche connivenze, o se invece, a
vibrare tra loro, fosse unicamente la solitudine, un’infinita,
irrimediabile solitudine.
Finalmente,
dopo due uscite che mi permetto di definire “minori” sebbene
sempre meritevoli di interesse per via della loro natura inusuale e
anarchica, mi riferisco a Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima (2017) e a
Gli animali che amiamo
(2017), 66thand2nd
decide di dare seguito al formidabile Terminus radioso
(2016) con un romanzo bello corposo, oscuro, intriso di cenere e
guano, insomma quanto di meglio ci si poteva aspettare da Antoine
Volodine, un meglio che, indubitabilmente, si realizza pagina dopo
pagina, e dire che, almeno per tre quarti dell’opera Sogni
di Mevlidò
sosta di soppiatto in una zona che sa essere al 100% volodiniana e
che al contempo sa anche essere qualcos’altro, si noti, ad esempio,
che fino all’ultima parte del testo la parola “post-esotico”
viene citata una volta sola, certo, c’è un forte substrato che
rimanda all’universo in disfacimento ideato dallo scrittore, ma nel
seguire le peripezie del poliziotto Mevlidò si penetra in altri
gustosi scenari, meno devastazione e quindi minor focus verso
l’eventualità di un dopo,
e maggior attenzione ad una realtà (immaginate due enormi virgolette
che affiancano tale parola) bislacca ed oltre ogni concetto di
possibile ma suppergiù inquadrata in una linea narrativa
intellegibile che fornisce coordinate abbastanza assimilabili,
diciamo che le prime tre sezioni, “notti di Mevlidò”, “una
giornata di Mevlidò” e “menzogne di Mevlidò” servono a
Volodine per strutturare il suo impianto descrittivo, configurare le
debolezze del protagonista, illustrare l’ambiente in cui vive e
catalogare i personaggi con cui interagisce, c’è un che di classico
che si accompagna, ovviamente, ad uno stile quanto mai personale,
zeppo di tic (’sta volta gli elenchi puntati imperano) e formule
ritmiche che, lo asserisco senza troppe circonlocuzioni, mi mandano
in visibilio.
Ah:
tenendo conto dell’assenza sopraccitata riguardante la corrente
letteraria di riferimento, sempre nella triplice parte iniziale
mancano i soliti cortocircuiti tra reale e non e le annesse
meta-riflessioni sul testo scritto dall’interno, e quindi
dall'esterno (da Volodine o chiunque egli sia), che danno vita a quel
pregevole esercizio di rimpalli disorientanti che ben conosciamo.
Fino a qui tutto chiaro. A pag. 170 l’autore francese apre però il
sipario ad una sorta di entr’acte
dalla duplice natura, è la genesi di un terremoto: i due capitoli,
antitetici fin dal titolo, sono entrambi due straordinari viaggi
danteschi che vanno in direzioni opposte, uno all’origine l’altro
all’epilogo, ma speculari, sovrapponibili, collimanti in un destino
dove non mancheranno mai tonnellate di rimpianti, sogni impraticabili
e tanta, tanta solitudine. A mio avviso Volodine si afferma come uno
degli scrittori più “cinematografici” della contemporaneità, le
sue parole che modellano visioni di incredibile impatto assottigliano
la distanza tra leggere e vedere, prova ne sono d’esempio sia il
viaggio verso la nascita a bordo del furgone con i tre membri
dell’organizzazione che lo scortano, sia quello verso la morte che,
dopo il duello all’arma bianca con il miserabile Glück,
ci regala la passerella delle anime vicine a Mevlidò nell’anfiteatro
formato da rifiuti. Le sicurezze fino a quel momento registrate
vacillano: chi è davvero Mevlidò? Quale è la vera
vita
che ha vissuto? E quella che dovrà vivere? O che non vivrà mai?
Dopodiché Sogni di Mevlidò esplode. Letteralmente: esplode.
L’ultima coppia di capitoli (le due visioni di Mevlidò) rovescia
tutto ciò che avevamo potuto umilmente constatare. C’è un collasso
totale di ogni protocollo, lo spazio ed il tempo del testo saltano in
aria, le dimensioni si amalgamano, la terza persona narrante lascia
posto alla prima, la sensazione è quella di affondare lentamente in
una palude di fuliggine dove di sicuro né Mevlidò (o chiunque egli
sia) né noi (o chiunque noi stessi siamo) riuscirà/riusciremo ad
uscirne indenni. Il post-esotismo, ora, si manifesta nella sua carica
ludica e beffarda, ecco che si ragiona dentro l’opera, si svelano i
meccanismi, l’impalcatura pur venendo messa a nudo rimane parte
integrante del romanzo (quando si compie uno studio critico sui
lavori di Mingrelian, ovvero Volodine, si anticipano gli eventi che
di lì a poco si realizzeranno). Il punto, scontato, per carità, è
che AV non inventa niente in fatto di meta-letteratura, e, evadendo
dal contesto cartaceo, possiamo affermare genericamente che anche in
altri campi gli artisti hanno spesso ragionato sul proprio manufatto
attraverso... il manufatto stesso. No, il fatto è che Volodine
risulta capace di operare così bene su di sé, sulle sue parole,
sulla sua testualità, da fornire nuova linfa al presentarsi di ogni
nuovo scritto, e lo fa utilizzando medesimi canoni e accorgimenti
dove sì, qua e là ci possono essere differenze, ma la sostanza, il
nocciolo marcio e radioattivo (giusto per ricordare Terminus radioso), non cambia: rovina, desolazione, sterminio,
sopravvivenza. Non cambiare mai per cambiare sempre. La grandezza di
Volodine è anche questa, e poi al di là del disastro (i ragni, ci
avevano detto di non parlare con loro), tra le righe di
Sogni di Mevlidò fa
capolino un inaspettato sentimento verso i molteplici fantasmi
muliebri presenti sulla scena sintetizzati dalla sfuggente figura di
Verena Becker, e nel finale, intimo e ridotto, i due, dopo
tanto, riescono in qualche modo a incontrarsi e nel silenzio della
camera ascoltano gli slogan dei manifestanti rivoluzionari provenire
da fuori, ed anche il sottoscritto, giunto alla quarta di copertina,
ha continuato a sentire dei motti sovversivi arrivare da chissà
dove:
- VIVA VOLODINE, LA RESISTENZA ED IL POST-ESOTISMO
- LEGGETE VOLODINE, MORTE AL CAPITALISMO
- SOGNATE VOLODINE, SOGNATE LA RESISTENZA
- SOGNATE SINO ALLA FINE, SOGNATE!
la ringrazio per l'intelligenza della recensione. da traduttore di volodine per 5 lunghi ho raramente letto cose così ben dette e ben pensate. grazie
RispondiEliminaSe lei ha tradotto i libri che ho a casa, allora sono io, e tutti quelli che leggono Volodine, a dover ringraziare sentitamente.
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