Non brillerà certo per
un elevato valore cinematografico Nowhere Line: Voices from Manus
Island (2015), ma comunque, e non è cosa inutile, questo corto
ha il merito di farsi cronaca moderna portando alla ribalta, per
quanto gli è possibile fare, un dramma che pur consumandosi a
migliaia di chilometri dall’Europa ci fa pervenire l’eco
pericolosa di un monito, soprattutto per la realtà italiana, dove un
caso locale, visti i presupposti pressoché identici, è
plausibilmente traslabile nei molti centri di accoglienza per
immigrati sparsi nel Paese, perché sì, il lavoro di Lukas Schrank,
inglese di nascita ma trasferitosi in Australia da tempo, si occupa
di quella tragedia telegiornalisticamente defininita fenomeno
dell’immigrazione, e lo fa raccogliendo la testimonianza telefonica
di due uomini, Behrouz e Omar, fuggiti dalle loro nazioni di origine
(uno è un giornalista iraniano, l’altro mi pare non venga detto)
per chiedere asilo in Australia, ma la ferrea politica dello stato
oceanico che tende a dislocare i rifugiati clandestini al di fuori
del proprio territorio si rivela tutt’altro che accogliente
spedendo i due in un centro sull’isola di Manus, Papua Nuova
Guinea, in cui le tensioni con la popolazione autoctona finiscono nel
sangue.
È un argomento delicato
questo che avrebbe bisogno di un impegno e di uno sforzo politico
reale e non di una bassa demagogia orientata a strappare qualche voto
e a fomentare del cieco razzismo, allo stesso tempo è facile parlare
da dietro una tastiera per cui, tornando al film, è sicuro che
Schrank sa mantenere una posizione equidistante da un qualunque
giudizio/commiserazione sia verso i carnefici che verso le vittime, e
affidandosi alle conversazioni registrate (sarebbe interessante
capire come sia riuscito a stringere contatti con i “detenuti”)
non fa altro che annotare e trasmettere la storicità di fatti
sommersi (perlomeno in questa parte del globo). Senza faziosità
siamo davanti ad un altro sbriciolamento di quelli che dovrebbero
essere i cosiddetti diritti umani. La scelta di un’animazione tra
il tri e il bidimensionale rappresenta un segno di distinzione che
svia i possibili pantani del live action, non siamo in
territori esattamente seminali perché ormai, infatti, molti prodotti
animati presentano un’ibridazione fra tecniche moderne ed altre più
classiche, ad ogni modo ciò non compromette una visione che sul
finale si scolpisce nella frase seguente:
“Io non voglio pregare
perché non ho religione, ma le preghiere di chi crede comunque non
funzionano. Questo genere di cose sull’isola di Manus non
funzionano.”