Quando gli dei vogliono aiutare i mortali mettono i
sogni nelle loro teste, e quando invece vogliono punirli fanno in
modo che i sogni divengano realtà.
Atipico documentario
spagnolo diretto da Mercedes Álvarez, regista da tenere
sott’occhio, che effettua un’analisi sulla crisi globale tramite
un approccio multidisciplinare che mescola economia, filosofia e
sociologia, tutte materie ricondotte nel contenitore cinema per il
quale la Álvarez riserva un soddisfacente tatto visivo.
Mercado de futuros (2011) non contempla didascalie e quindi è
più che mai compito nostro rintracciare il senso d’insieme:
si parte con lo smantellamento di una vecchia casa dove una ditta
specializzata recupera le varie cianfrusaglie disseminate
nell’abitazione e le stipa all’interno di alcuni camioncini,
subito dopo la mdp si intrufola in una specie di fiera
dell’immobiliare altolocato carpendo le conversazioni degli addetti
ai lavori o di quest’ultimi che parlano con i possibili clienti; le
offerte sono rivolte ad una imprenditoria di livello, si parla di
Dubai come il Paradiso su cui adesso vale la pena investire o di
sconfinate spiagge limitrofe pronte per essere urbanizzate; è
evidente che la vicinanza tra lo smembramento della casa precedente e
l’immediata penetrazione in un business con cifre da capogiro
provochi una contrapposizione che verrà anche riproposta in
seguito e che diventerà il cuore dell’opera: vedremo delle
bambole appartenenti a quell’appartamento ammucchiate per terra e
vendute all’asta, mentre successivamente, durante una conferenza,
verrà esaltata la figura della Barbie come modello di
profitto; e ancora: se nella city, in un ufficio simile ad un
girone infernale, agenti di borsa e broker (sono sinonimi?) si
affannano a vendere e/o comprare azioni, titoli o chissà quali
altre diavolerie, al contempo in un rione periferico un rigattiere
classe 1918 espone la sua merce senza però riuscire a
concludere nessun affare.
Il motivo portante del
film è questa discrepanza tra un pensiero votato al
raggiungimento del massimo profitto (gli stralci dei congressi sono
degli indottrinamenti in questa direzione) tanto che i risultati si
riscontrano nelle proposte lussuose di un turismo a cinque stelle
(palafitta nell’oceano con pavimento in vetro, quattrocento dollari
a notte), e una condotta esistenziale che si accontenta delle
briciole, della compravendita con pochi zeri, dell’autosostentamento
(un contadino e il suo piccolo polmone verde nel cuore della città).
Poi ci sono anche dei rigagnoli che si allontanano dall’antitesi
illustrata per concentrarsi in elucubrazioni sul tempo e sulla
memoria che donano sì un tocco naif all’opera ma che
forniscono anche una somministrazione di informazioni così
ampia da lambire la vaghezza, a queste si aggiunge un profuso
soffermarsi su ogni scena portando il minutaggio a sfiorare le due
ore, non bisogna spaventarsi però, Futures Market
raggiunge l’accordo fra disamina del sistema e studio artistico. Lo
spirito d’iniziativa è lodevole.
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