Valencia. Ménage
à trois fra
tre aspiranti artisti. Giovinezza e sessualità.
Il
titolo americano è molto (ma molto) più allusivo
ed esplicito di quello originale (Castillos de cartón,
2009), quasi infastidisce per il modo spudorato con cui tenta di
accaparrarsi l’attenzione (il termine “threesome” riporta
automaticamente in territori hard)
fornendo, in aggiunta, un’ulteriore strizzatina d’occhio con il
numero anteposto alla parola che assomiglia di più ad un
linguaggio da sms (e quindi atto a fornire un taglio “giovanile”,
sortendo però un effetto deleterio, pressoché di
ridicolo); sulla scelta del titolo d’esportazione il regista
madrileno Salvador García Ruiz non avrà particolari
colpe, di certo, almeno per il sottoscritto, l’impatto non è
stato dei migliori visto che si poteva intuire ancor prima di pigiare
play che un film del genere fosse talmente esile da obbligare il
marketing a puntare tutto sulle parentesi erotiche (e le immagini
scelte da piazzare sulla locandina sono eloquenti). In effetti il
sesso ha un compito base nella storia ed è attraverso di esso che
García Ruiz modella le personalità dei tre virgulti
sotto esame, l’intenzione è quella di fare un film di
formazione avvalendosi di un apparato lussurioso capace di segnare la
crescita personale di Marcos, Jaime e Jose (senza accento, è
la femmina), e se allarghiamo la visuale oltre la sfera sessuale si
nota che il regista (non sceneggiatore) delinea un percorso di
maturazione (ad alto tasso di prevedibilità, ma è il
male minore) che culmina con lo sfaldamento del triangolo.
Sì,
questi sono i piani concettuali e, se vogliamo, neanche poi malaccio
sebbene in odore di Bertolucci, altro discorso è però
la concretizzazione di tali mire ed è qua che cominciano i
dolori, fin dall’inizio: la celerità con cui i tre finiscono
a letto già durante il prologo non persuade affatto nel
credere-a-quello-che-si-vede, una certa rigidità (corroborata
da una patinata messa in scena non distante da qualunque prodotto
televisivo, e infatti García Ruiz è attivo pressoché esclusivamente nella tv) pianta le tende e qui si stabilizza fino alla fine;
l’intimità, la passione, il sentimento sono elementi
monodimensionali, di una sottigliezza cronica, a cui manca come
l’aria del vero e proprio pathos, e, purtroppo vista la loro
centralità, ne risentono pesantemente le scene senza veli,
surrogati softcore di pallida freddezza su cui viene ricamato un
sottoevento che davvero sembra pescare dalla cinematografia porno:
uno dei due ragazzi è impotente, mentre la ragazza non riesce
a raggiungere l’orgasmo. Che coincidenza il loro incontro, allora.
La prevedibilità citata prima non si attesta soltanto in ciò
che accade fra le lenzuola poiché è proprio dal
superamento del deficit erettivo che Marcos trova realizzazione anche
nel campo artistico, la rivalsa è però preavvertibile
fin dal primo coito (Jaime che copula, Marcos che guarda) e
l’impressione che gli sviluppi non sarebbero stati sorprendenti
trova conferma con il blando prosieguo della vicenda.
Il
consiglio è quello di non cedere ai bisbigli concupiscenti
della confezione, non è che non ci siano, è che sono
viti arrugginite di un’impalcatura friabile, ci vuole poco che la
costruzioni crolli giù come il più classico dei
castelli di carta.
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