lunedì 4 aprile 2016

3some

Valencia. Ménage à trois fra tre aspiranti artisti. Giovinezza e sessualità.

Il titolo americano è molto (ma molto) più allusivo ed esplicito di quello originale (Castillos de cartón, 2009), quasi infastidisce per il modo spudorato con cui tenta di accaparrarsi l’attenzione (il termine “threesome” riporta automaticamente in territori hard) fornendo, in aggiunta, un’ulteriore strizzatina d’occhio con il numero anteposto alla parola che assomiglia di più ad un linguaggio da sms (e quindi atto a fornire un taglio “giovanile”, sortendo però un effetto deleterio, pressoché di ridicolo); sulla scelta del titolo d’esportazione il regista madrileno Salvador García Ruiz non avrà particolari colpe, di certo, almeno per il sottoscritto, l’impatto non è stato dei migliori visto che si poteva intuire ancor prima di pigiare play che un film del genere fosse talmente esile da obbligare il marketing a puntare tutto sulle parentesi erotiche (e le immagini scelte da piazzare sulla locandina sono eloquenti). In effetti il sesso ha un compito base nella storia ed è attraverso di esso che García Ruiz modella le personalità dei tre virgulti sotto esame, l’intenzione è quella di fare un film di formazione avvalendosi di un apparato lussurioso capace di segnare la crescita personale di Marcos, Jaime e Jose (senza accento, è la femmina), e se allarghiamo la visuale oltre la sfera sessuale si nota che il regista (non sceneggiatore) delinea un percorso di maturazione (ad alto tasso di prevedibilità, ma è il male minore) che culmina con lo sfaldamento del triangolo.

Sì, questi sono i piani concettuali e, se vogliamo, neanche poi malaccio sebbene in odore di Bertolucci, altro discorso è però la concretizzazione di tali mire ed è qua che cominciano i dolori, fin dall’inizio: la celerità con cui i tre finiscono a letto già durante il prologo non persuade affatto nel credere-a-quello-che-si-vede, una certa rigidità (corroborata da una patinata messa in scena non distante da qualunque prodotto televisivo, e infatti García Ruiz è attivo pressoché esclusivamente nella tv) pianta le tende e qui si stabilizza fino alla fine; l’intimità, la passione, il sentimento sono elementi monodimensionali, di una sottigliezza cronica, a cui manca come l’aria del vero e proprio pathos, e, purtroppo vista la loro centralità, ne risentono pesantemente le scene senza veli, surrogati softcore di pallida freddezza su cui viene ricamato un sottoevento che davvero sembra pescare dalla cinematografia porno: uno dei due ragazzi è impotente, mentre la ragazza non riesce a raggiungere l’orgasmo. Che coincidenza il loro incontro, allora. La prevedibilità citata prima non si attesta soltanto in ciò che accade fra le lenzuola poiché è proprio dal superamento del deficit erettivo che Marcos trova realizzazione anche nel campo artistico, la rivalsa è però preavvertibile fin dal primo coito (Jaime che copula, Marcos che guarda) e l’impressione che gli sviluppi non sarebbero stati sorprendenti trova conferma con il blando prosieguo della vicenda.

Il consiglio è quello di non cedere ai bisbigli concupiscenti della confezione, non è che non ci siano, è che sono viti arrugginite di un’impalcatura friabile, ci vuole poco che la costruzioni crolli giù come il più classico dei castelli di carta.

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