domenica 3 aprile 2016

Interior. Block of Flats Hallway

Si finirà con l’essere monotoni nell’asserire che la cinematografia rumena di oggi esprime in ogni suo esemplare un disagio sociale che ha radici ben piantate nella storia del paese. Così, anche da una manifestazione minore come può essere questo Interior. Scara de bloc (2007), è possibile carpire quanto e perché le cose non vanno all’interno della nazione, e di come in fondo ciò che viene raccontato qui possa essere traslato in molti altri pianerottoli del mondo. Quello di Ciprian Alexandrescu è un lavoro di stampo teatrale, una black comedy condominiale che sotto lo strato di leggerezza non disdegna delle frecciatine adibite a punzecchiare la coscienza spettatoriale: innanzitutto c’è di che insospettirsi sul fatto che un giorno qualunque un cadavere possa comparire sul ballatoio del proprio palazzo (morto, o presunto tale, fuori campo per tutta la durata del corto), in seconda battuta emerge il cinismo con cui gli abitanti dello stabile (almeno due o tre di loro già visti all’opera in altri film rumeni) si rapportano con la funerea scoperta; in realtà non sono cinici né indifferenti alla morte, bensì non ne vengono toccati (e lo si intende dalle parole del piccolo videoamatore che ammette candidamente di non avere nessuna paura di una salma), è una routine, una “normalità”, tanto che una volta smentita la supposta identità del corpo esanime i condomini si ritirano negli appartamenti raccomandandosi di non usare a sbafo il parcheggio privato.

L’inezia costitutiva del film non permette chissà quali rimandi allegorici, in fondo si tratta soltanto di un gruppetto di persone protagoniste di un breve siparietto che di certo non si ricorderà troppo a lungo, però Alexandrescu nel suo piccolo è riuscito a rimanere nella scia del cinema rumeno che proprio in quell’anno dirompeva definitivamente sugli schermi più prestigiosi con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, e lo ha fatto rivelandosi per quello che è: decorosa piè di pagina di un movimento che continua a sfornare prodotti in grado di aggraziarsi le giurie più prestigiose, Il caso Kerenes (2013) è l’ultimo in ordine cronologico degli esempi da ricordare.

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