La morte di Cristian
Nemescu avvenuta nel 2006 ha spinto gli addetti ai lavori ad
affermare che in quell’incidente stradale il cinema europeo aveva
perso uno dei virgulti più promettenti appartenente ad una
nuova corrente artistica al tempo ancor più interessante, e il
riconoscimento postumo per California Dreamin’ (2007) in
quel di Cannes non ha fatto altro che confermare i pareri positivi
sul giovane rumeno scomparso a ventisette anni. Ma il percorso che lo
portò alla realizzazione del primo e ultimo lungometraggio è
stato scandito da una manciata di corti che trovano punto d’arrivo
in Marilena de la P7 (2006), opera di passaggio dai cimenti
giovanili verso il gran debutto che copula amorevolmente con i tòpoi
del cinema rumeno contemporaneo, e perciò anche qui la
traiettoria di movimento affonda nel realismo, in una ricerca che
accomuna tutti gli autori della Romania i quali riprendono ciò
che i loro occhi vedono o hanno visto, e raccontano quello che la
Storia ha lasciato, dei vuoti incolmabili e dei dolori trasmigrati
alla generazione odierna; orbene, a prima vista Nemescu non fa altro
che imbracciare la sua cinepresa e seguire un ragazzino di nome
Andrei che passa le giornate a bighellonare con gli amici mentre
intorno a lui il quartiere degradato offre il peggio che ha da dare:
grigiore, cemento, zii ubriaconi, papponi, puttane. Lo spaccato
sociale è perciò così delineato e se fosse
rimasto in primo piano invece di scivolare ben presto sullo sfondo
come in effetti accadrà, il mediometraggio sotto esame non si sarebbe ricordato ad imperitura memoria, invece Nemescu è
bravissimo a svincolarsi dalle ganasce dell’”impegno politico”
per guarnire il film con temi di una vastità tale da
sconfinare nell’universale.
Perché
si parla di amore in Marilena de la P7, con un
tatto e al contempo con un’incisività che generano
un’immediata empatia con Andrei e le sue mire sentimentali. Il
conflitto è forte: in un posto dove non c’è spazio
per il cuore (né sul marciapiede né in casa [i
genitori]) fiorisce un romanticismo infantile che si scontra con la
realtà seguendo direttive adolescenziali, quindi utopistiche,
smanioso di voler conoscere il corpo-Donna innamorandosene da
lontano, da sopra un tetto, in un’isola di innocenza destinata a
scivolare giù, nella strada (il primo sogno). Nemescu supera
le paludi di un’ostinata drammaticità (cosa che a mio avviso
è da imputare al connazionale Mungiu) adoperando la panacea di
tutti i possibili mali: l’ironia intelligente, nello specifico
tagliente, che delinea l’incontro impossibile tra un bambino e una
prostituta e, di riflesso, lo sgretolarsi del Primo Amore di fronte
all’ineluttabilità del sangue, versato a sua volta per cause
affettive. La succitata ironia trova sfogo in intuizioni semplici,
anche artigianali se vogliamo, eppure d’una brillantezza appagante
dove il regista sciorina talento, inventiva, voglia di sorprendere
con improvvisi split screen (l’alternanza dello schermo frazionato
prima con le meretrici che fanno sesso e dopo coi ragazzetti che si
masturbano nei loro letti è geniale) e soprattutto con
l’intraprendenza di chi non si accontenta di svolgere il compitino
e sovrappone i registri, tinge la periferia rumena con pennellate
surreali (Marilena e il potere di mandare in cortocircuito gli
impianti elettrici e quelli… cardiaci), apre finestre oniriche di
deliziosa ingenuità (l’invasione “aliena” ancora più
geniale), e poi con avidità risucchia tutta la leggerezza fino
a quel momento rappresentata inscenando la fine dell’estraneità
di Andrei dal mondo degli adulti, una maturazione fulminea, luttuosa:
la prima cicatrice che non se ne andrà facilmente e che farà
male per molto tempo ancora.
Si trova in streaming?
RispondiEliminaC'è su youtube ma la qualità è bassina.
RispondiEliminaAh bene, neanche pensato di guardare... grazie.
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