lunedì 31 dicembre 2007

Un racconto per Capodanno


23:59:59 del 31 dicembre 2007

Manca un solo secondo all’anno nuovo, milioni di persone aspettano di festeggiare, li vediamo con i cappellini in testa e le trombette in bocca, trattengono il fiato. Le immagini scorrono come in un piano sequenza senza audio.

Quanto dura un secondo?

E se fosse l’ultimo?

Questa volta i tappi potrebbero rimanere nelle bottiglie. Nel cielo si aprirebbe un buco nero che risucchierebbe tutto, implodendo su stesso lascierebbe della nostra misera Terra soltanto che un pugno di polvere. E girando in cerchio queste polveri riformerebbero un’altra Terra, e di nuovo un 31 dicembre 2007, e poi un altro e un altro ancora.

Il secondo è passato, il cielo è graffiato da fiori colorati e scintillanti.

00:00:00 dell’1 gennaio 2008

domenica 30 dicembre 2007

La promessa dell'assassino

Leggendo la filmografia di David Cronenberg si può capire quanto il regista canadese abbia cambiato stile nell’affrontare tematiche che presentano parecchi punti in comune. A mio modestissimo parere, al centro dei lavori di Cronenberg c’è semplicemente l’uomo.

Se nei suoi primi lavori lo studio dell’uomo era visto più in chiave fantascientifica (Videodrome, La mosca, Il pasto nudo) con l’arrivo del nuovo millennio ha virato verso un’interpretazione più reale, ma sempre densa di significati (Spider, A history of Violence, La promessa dell’assassino). Personalmente preferisco questo Cronenberg a quello del cosiddetto "body horror".
Finita questa breve introduzione scrivo qualcosa su questo (grande) film.
I segreti di un diario scritto da una ragazzina russa immigrata a Londra in cerca di speranza sono al centro di tutta la storia. Dopo che la ragazzina muore durante la gravidanza, l’infermiera Anna (Naomi Watts) si prenderà a cuore la faccenda e tenterà di salvare la povera bambina orfana.
Parallelamente s’intrecciano i segreti della mafia russa, e di un’organizzazione chiamata Vory V Zakone, a cui capo si trova Semyon, un cordiale (solo apparentemente) ristoratore, che ha un figlio scavezzacolli Kirill (Vincent Cassel), quest’ultimo è aiutato dall’autista Nikolai (Viggo Mortensen). Le strade di Anna e Nikolai si incroceranno quando l’infermiera troverà nel diario un bigliettino del ristorante di Seymon.

Allora, premetto che avendo visto il film una volta sola non potrò essere preciso nelle considerazioni, molte cose mi saranno sfuggite, in ogni caso ho trovato tre temi fondamentali in questo film.
Il primo, che è il più palese, è la dicotomia più classica: bene/male. Il regista canadese prosegue il discorso iniziato con A history of Violence, in entrambi i film due mondi agli antipodi vengono a collimare. Ne La promessa dell l’assassino la vita “normale” di Anna si schianta con la malavita russa, così come in A history of Violence, il protagonista è diviso in due parti, bene e male appunto.
Il secondo punto sono i legami famigliari. Già nel complesso Spider Cronenberg aveva affronato la questione. In questo film nessuno dei protagonisti ha un rapporto solido con i propri cari. Seymon ha una pessima considerazione di suo figlio Kirill, non per niente prenderà sotto la sua ala protettiva Nikolai, lo stesso Kirill prova soggezione verso il padre-padrone, e nonostante abbia un’aria da ribelle alla fine esegue sempre gli ordini del padre (basta vedere il finale). Anche la dolce Anna, che ha perso un bambino, e ha rotto col suo ragazzo, è tornata a vivere con la madre, anche lei senza compagno, e lo zio ubriacone russo con cui ha un rapporto di astio.
L’unico personaggio che sembra estraneo a tutto ciò è il glaciale Nikolai, anche se forse alla fine c’è uno spiraglio di luce per lui e per Anna, o forse no, chissà….
Infine, ma questa è una mia personalissima interpretazione, ho trovato che la scelta di far recitare molti dialoghi in russo non è stata solo un’esigenza di sceneggiatura, ma più che altro un messaggio del regista sulla difficoltà di comunicare, tema che si ricollega al secondo punto, infatti, se si nota, tre dei quattro uomini che vengono uccisi durante il film, vengono ammazzati tramite un taglio alla gola.
Davvero bravi gli attori, in particolare Cassel che in generale non mi sta molto simpatico (solo perché si tromba la Bellucci), credo che questa sia la sua prova migliore, anche meglio che ne L’odio (1995).
Ottimo Mortensen che per me si trova molto più a suo agio qui che tra spade, elfi e orchi. Diventerà un cult la scena in cui lotta nudo in un bagno turco contro due energumeni russi, questa scena è molto violenta, e non potrà che piacere agli amanti dello splatter.
Poi vabbè, Naomi Watts è una delle mie attrici preferite, per me può leggere anche l’elenco del telefono che le darei l’oscar lo stesso.
Per essere pignoli avrei preferito un finale più cattivo, però non si può avere tutto dalla vita!
Bello, bello, bello.

giovedì 27 dicembre 2007

Nonostante tutto


Bella frase questa, già.
Nasconde molto più di quanto sembra, nonostante tutto, significa che c’è stato qualcosa prima.

Nonostante tutto.

A volte mi soffermo a leggere le parole, e mentre lo faccio mi accorgo che perdono di significato, nonostante, nonostante, nonostante, nonostante, nonostante, nonostante. Non ha più senso.

Questa è una di quelle frasi che si dicono solo in certe occasioni, poi ti penti, ma quando t’intestardisci non c’è niente da fare, lo devi dire, perché se no ti resta dentro, e non vuoi che accada. Non volevi che accadesse neanche ciò che è successo prima di “nonostante tutto”, ma è la vita, almeno così ti dicono gli amici, non sei né il primo né l’ultimo, aggiungono. Poi ci sta una pacca sulla spalla. E poi?

Poi un cazzo.
Anzi poi sono cazzi. Tuoi per giunta, mica degli amici. Tanto il telefono mica squilla. Poverino il telefono, prima è lì che quasi non riesce a vivere da quanto vibra e poi di botto c’è solo il 404 a smuoverlo un po’. Brutta la vita dei cellulari, sono dei testimoni silenziosi, se potessero parlare ne avrebbero di cose da dire, invece fanno delle brutte morti, disintegrati contro un muro. Perché poi si lancia un cellulare?

Perché è successo qualcosa, già. Qualcosa succede sempre, e quando meno te lo aspetti tra l’altro, se tipo viaggi a 200 all’ora in macchina mica ci pensi che potrebbe bucarsi una ruota, se succede ti devi fermare.
Stop.
Fine della corsa, nonostante tutto il viaggio è stato bello.
Che poi di viaggi ne farai altri, questo è fuor di dubbio, però durante quel viaggio, in cuor tuo sapevi che sarebbe finito prima o poi, però speravi che durasse ancora a lungo… guardi la gomma a terra e fai spallucce. Tanto c’è un amico che ti dice che c’è un gommista lì vicino, sì ok, tanto metti su il ruotino, poi si vedrà.

Puoi prenderti una macchina nuova, sì ma non sarà come quella vecchia, forse sarà meglio o forse sarà peggio. Sicuramente sarà diverso

Prima di montare il ruotino però guardi il tuo amico, ma lo guardi proprio, cioè non è che gli dai uno sguardo, gli entri dentro con gli occhi, e le parole che ti escono non sembrano venir fuori dalla tua bocca.

Bocca, bocca, bocca, bocca, bocca, bocca, bocca, bocca, bocca, bocca. Non ha più senso.

Magari piove anche, in questi casi piove sempre, e tu sei lì col ruotino in mano che guardi il tuo amico, anche lui ti guarda, però un po’ se ne sbatte, cioè la macchina non è la sua, basta che lo riporti a casa e poi va bene, beh una pacca sulla spalla te la da, quella ci sta sempre, forse ti da una mano a montarlo anche. Il bello è che poi qualche anno dopo tirerà fuori il discorso dicendo che se non c’era lui rimanevate lì sotto la pioggia. Tu ridi, ma solo perché è tuo amico, tanto lo sai che si sta sotto la pioggia tutta la vita.
Quindi sei lì, inginocchiato col cric in mano che guardi il tuo amico, la pioggia che gli rimbalza addosso sembra che crei un’aura intorno a lui, in fondo è l’unica ancora di salvezza che hai nella bufera. Tu sei inginocchiato, e lui è in piedi, e allora gli poni non una, ma LA domanda:

"Ma quanto è distante il prossimo gommista?"

È vicino ti risponde. Ma in realtà non lo sa neanche lui.

Nonostante tutto, nonostante ti abbia detto che il gommista era vicino, resterete amici.

E la macchina?

Lei ti ha tradito, eppure ti fidavi così tanto di lei. Ha rischiato di ammazzarti.
Eppure.
Eppure non riesci ad odiarla, nonostante tutto le vorrai sempre bene.

Cannibal ferox

Ma perché non mi vedo un “bel” film con Boldi o De sica (una volta la congiunzione giusta era “e”) invece che Cannibal ferox?
Risposta: perché sono un sadico e mi piace vedere la gente torturata, evirata e mangiata viva… scherzo, non c’è una risposta alla domanda, ma alla fine di questo commento prenderò una decisione importante –suspence-.

Cannibal ferox (1981) conclude la trilogia di Umbro Lenzi sui cannibali, potrei star qui a raccontare la trama ma sarebbe solo fatica sprecata,sistematicamente in un cannibal movie degli occidentali si perdono nella giungla e per un motivo o per un altro finiscono nelle pance degli indigeni, e quasi sempre si meritano questa fine perché hanno fatto dei casini con i cannibali. In quest’occasione è il cocainomane Mike che dopo un dialogo brillante con Rudy o era Pat? Vabbè una delle due, del tipo: “Sai appena ti ho vista o capito che tipo di donna eri…” E lei: “Una mignotta?!!?”. Mike annuisce grevemente e poi propone: “Ti va di farti una ragazzina indigena?”. Pessima, pessima idea, perché Mike ucciderà la ragazzina e scatenerà la furia cannibalesca contro il gruppo di occidentali. Si salverà soltanto Gloria, una studentessa di antropologia che era andata lì per smentire il mito del cannibalismo, mi sa che si è ricreduta quando ha visto l’indigeno inghiottire l’uccello di Mike!

A parte il livello di “gore” che è abbastanza alto, in particolar modo sugli animali (roba che uno del wwf sviene di botto), e che quindi ad un appassionato potrebbe anche interessare, la trama è di una noia terribile, o meglio, è noioso per chi come me ha già visto altri cannibal movie, tra l’altro con la vicenda dei dispersi nella foresta s’intreccia una storia di droga a New York, e mi pare che accadeva la stessa cosa in Inferno in diretta (1985) di Deodato, questi intramezzi newyorkesi mi sono sembrati solo un escamotage per allungare il brodino dato che sono poco influenti con il resto del film.

Gli attori sono quello che sono: scarsi, molto più convincente il protagonista di Ultimo mondo cannibale (1977) allora. E non c’è neanche la classica scena di sesso, a parte le tette (piccole) di Pat, ecco era lei che ha fatto il casino con la ragazzina, infatti la appendono per il seno con degli uncini.
Non ho altro da aggiungere.
Mi suggeriscono dalla regia che dovevo prendere una decisione importante, è vero…
Ebbene, dopo aver riunito i miei pochi neuroni, abbiamo deciso di comune accordo che non guarderò più un cannibal movie. Per sprecare un’ora e mezza così allora è meglio un film con De sica.

O no?

mercoledì 26 dicembre 2007

Il feroce Takkur

Altra prova maiuscola per Michele Medda che a mio parere è l’unico sceneggiatore, nello staff di Dyd, che riesce ad unire una pregevole tecnica di narrazione con degli argomenti extra-fumettistici. Ne L’ospite sgradito, affascinante capolavoro, l’inconoscibilità del mondo si fonde con l’inconoscibilità dell’uomo (Dylan/topo). In Vittime designate Medda compie una riflessione sulla figura del capro espiatorio nella nostra società. Ne La terza faccia della medaglia, il lavoro di poliziotto“alienizza” il protagonista a tal punto da allontanarlo dagli affetti della moglie.

Anche Il feroce Takkur ha una storia che oserei definire “di facciata”, ossia i collezionisti che diventano i collezionati, che cela una riflessione sul “nerdismo” estremo, sull' attaccamento viscerale che abbiamo nei confronti degli oggetti, il tutto raccontato con ironia brillante.
L’ironia, appunto, è la chiave di lettura di questo albo, che per metà è un classico giallo-horror, mentre da pagina 58 in poi sconfina nel grottesco, ma anche se il salto è netto non ho avvertito alcuna sfilacciatura nella trama.
Da molto tempo non vedevo dei comprimari così validi, oltre ad un super-Groucho, c’è da rimarcare il ruolo dei Thunderpets, miracolosamente credibili pur essendo un gruppo di conigli (!) inseriti nella realtà (fumettistica ovviamente), merito anche di Saudelli che ha adeguato il suo tratto verso uno stile più cartoonesco. Anche i personaggi che “vivono” per poche vignette sono validissimi, l’ispettore che segue il caso, i due fumettari o il collezionista incallito ne sono un esempio.

Saudelli mi è sembrato diverso dalla sua ultima fatica Dylaniata, Ucronia, soprattutto per la fisionomia di Dylan. Groucho è molto stile Casertano, basta vedere le sopracciglia alla Peo Pericoli che gli ha messo! Gradito l’omaggio a Memorie dall’invisibile a pagina 16.
Secondo me il Dylan Dog di Medda è il degno successore di quello sclaviano, perché riesce a stupire dopo 255 numeri. Il fatto è che si diceva la stessa cosa quando uscì L’ospite sgradito o Il battito del tempo, spero per il bene del mio fumetto preferito che Medda continui a lavorare su Dyd ancora per molto.

lunedì 24 dicembre 2007

Un racconto per Natale

Se chiedete a Natalia cosa desidera per natale lei risponderà: ”Un cazzo” Un po’ volgare però anticonformista penserete voi, nella nostra società in preda al consumismo più sfrenato una ragazza che non desidera ricevere nulla per il natale è da ammirare. Il problema è che bisogna considerare la parola “cazzo” nel suo significato principale. Sì, Natalia vuole un uomo, anzi ciò che desidera potrebbe penzolare anche da un muro o da un lampione, non ha importanza, l’importante è che sia bello grosso. E soprattutto che riesca a soddisfarla, a 33 anni non è mai riuscita a raggiungere l’orgasmo.
La mattina del 25 dicembre esce presto di casa, per strada non c’è quasi nessuno, mentre costeggia un vicolo scorge con la coda dell’occhio i piedi di un barbone sotto una montagnetta di cartoni.
“Ehi tu sveglia, fammi vedere se ce l’ hai ancora o se te l’ hanno mangiato i topi.”
Se chiedete a Natale che cosa avrebbe desiderato di più per il venticinquesimo giorno di dicembre, lui avrebbe risposto: ”Farmi una scopata.” Un po’ rozzo penserete voi, ma cosa direste se sapeste che Natale non fa sesso da dieci anni?
Fra cinque minuti uno dei due riceverà il suo regalo.
Quattro.
Tre.
Due.
Uno.
“V-vengo…”
Natalia si stacca dal corpo del barbone, per lei non è stato un buon natale.

Benny's Video

Benny’s Video (1992) è il secondo episodio della cosiddetta trilogia della glaciazione, gli altri due sono The Seventh Continent (1989), e 71 Fragments of a Chronology of Chance (1993).

Benny, interpretato da Arno Frisch, lo stesso di Funny Games (1997), è un ragazzino che si diverte a guardare filmati “forti” come l’uccisione di un maiale con un colpo di mortaio (o una cosa del genere) alla testa. Dopo aver adescato una ragazzina fuori dalla sua videoteca di fiducia, e dopo essersela portata a casa, le mostra il video del maiale. Dopodiché, come per magia, fa saltare fuori da un cassetto il mortaio del video; la ragazza gli dà del vigliacco perché non ha avuto il coraggio di spararle dopo che glielo ha puntato addosso. Pessima idea, perché poco dopo Benny le pianterà un paio di colpi uccidendola. Il tutto è ripreso impietosamente dalla telecamera del ragazzo. Quando i genitori vengono a conoscenza del fattaccio coprono il figlio e decidono di mandare Benny in Egitto con la madre. Al loro ritorno il padre ha fatto sparire il cadavere dalla casa. Ma Benny è ancora più diabolico di quanto sembra.

Già nel '92 Haneke aveva uno stile personalissimo con dialoghi ridotti all’osso, lentezza del narrato e un piano sequenza di “violenza distaccata”. Mi spiego meglio: per “violenza distaccata” intendo sequenze come in Funny Games quando viene ucciso il bambino (agghiacciante), o in Niente da nascondere (2005) quando il tizio si taglia la gola da solo (terrificante); la regia di Haneke in questi frangenti è distaccata perché riprende la scena dal punto di vista dello spettatore quasi come se fosse un documentario, non crea enfasi con musiche particolari o inquadrature ad effetto, no, la mdp è fissa sull’obiettivo, non si vede nient’altro. Anche in Benny’s Video c’è un piano sequenza allucinante, ossia quando Benny uccide la ragazza, e l'omicidio viene ripreso dalla sua telecamera appoggiata sul comodino. Da sottolineare la reazione glaciale del ragazzo che dopo l’omicidio si prepara da mangiare come se niente fosse e poi se ne va a ballare col suo amichetto.

Nell’intelligente riflessione su exxagon.it si fa notare che il comportamento di Benny è dovuto ad una coppia di genitori troppo fragili: quando scoprono l’omicidio non hanno particolari reazioni e mandano il figlio in vacanza mentre il padre è a casa che fa a pezzetti il cadavere. Questo è il vero orrore. Come al solito Haneke mostra poco, anche qui l’omicidio è fuori campo, e cerca di stimolare lo spettatore a ragionare.
Purtroppo però il film è di una lentezza disarmante, ancor più che de Il tempo dei lupi (2003), e in alcune scene ho avuto la tentazione di “skippare”, cosa che non faccio mai. Forse è stato il suo film che mi è risultato più ostico, se non avessi letto alcune recensioni in rete non l'avrei capito così a fondo, soprattutto sul piano psicologico.

Se si è fan del regista austriaco piacerà sicuramente, se non lo si è, la visione penso che non andrebbe oltre i primi dieci minuti .

domenica 23 dicembre 2007

Il Palazzo - Primo piano

Tutti chiamavano Adele "la puttana delle rose", perché ovunque lei andasse una scia di fiori la seguiva.
Nel suo appartamento al primo piano c’era appena lo spazio per lei e i suoi clienti, il resto della casa era occupato da viole, ciclamini, margherite, orchidee, narcisi, rose, girasoli, mimose e poi c’era l’edera, che ghermiva con le sue foglie ogni stanza.
“Tu sei un angelo caduto dal cielo…” Questo era ciò che le dicevano tutti i suoi clienti.
“No, il paradiso è qua, al primo piano…”Questo era ciò che lei rispondeva.
Ogni illuso credeva di poter agguantare la rosa più preziosa, ma Adele donava a tutti lo stesso fiore.
E tutte le notti aspettava sulla soglia.

sabato 22 dicembre 2007

Il giorno degli zombi

Nell’apocalittica concezione che Romero ha della Terra, il mondo come lo conosciamo noi ha cessato di essere tale nel 1968, anno in cui uscì La notte dei morti viventi, da quel momento in poi gli zombi hanno preso il sopravvento sulla razza umana.
Il giorno degli zombi, che da come si può vedere nella locandina qua sopra è il sequel cronologico dei due episodi precedenti, è il terzo film della cosiddetta "quadrilogy of death". L’ultimo, Laterra dei morti viventi (2005) è uscito pochi anni fa.

L’intera vicenda si svolge in un laboratorio sotterraneo dove convivono due gruppi: uno di medici e uno di militari, questi ultimi sono più cattivi ed anche più stupidi degli zombi stessi. La protagonista è una bella dottoressa che insieme ad un dottore chiamato Frankestein (nome appropriato) tenatano di risolvere la situazione, ma le tensioni fra i due gruppi sfoceranno in una carneficina con pallottole in testa, scazzottate e pranzetti a base di carne umana.

Il livello degli SFX, pur avendo venti e passa anni sul groppone, risulta accettabile anche al giorno d'oggi, d’altronde Savini ne sa! La cosa che più mi ha dato noia sono stati alcuni dialoghi, nel senso che certe volte si esagera con le parolacce, non è che le mie orecchie siano così pudiche da non poter sopportare codesti termini, tutt’altro, solo che se dici a uno che è uno stronzo non è che devi ripeterglielo anche cinque minuti dopo, sempre uno stronzo rimane!
Passando oltre a questa disquisizione metafisica aggiungo che alcuni scambi di battute sono particolarmente lunghi e possono distrarre lo spettatore, anche perché se uno guarda questo genere di film si aspetta viscere e mozzicate, mica chiacchere! Ovviamente scherzo (ma neanche tanto), è conosciuta a tutti la furbizia che ha Romero nell’infilare dei messaggi politico-sociali nelle sue opere, trascrivo un passo preso da exxagon.it (la mia bibbia personale) riguardante La terra dei morti viventi: Palese il parallelismo fra gli USA e la società asserragliata nel palazzo di di vetro capeggiata dal capo Kaufman. Come gli USA Kaufman prima si serve dell'aiuto di personaggi discutibili come Cholo (uno pseudo Bin-Laden) poi, quando il personaggio non è più utile decide di scaricarlo e anche ucciderlo. Come si evince c’è ben altro che squartamenti e budella nei film di Romero.

Ho notato alcune convergenze con 28 giorni dopo (2002) di Danny Boyle, anche qui come ne Il giornodegli zombi si evidenzia la stupidità e la cattiviera dei militari, che se facciamo un confronto con gli zombi non so chi ne esce meglio….

In conclusione Il giorno degli zombi è un film che può piacere ai fan del genere (io sono fra quelli), ma chi è in cerca di un semplice horror potrebbe storcere il naso.

venerdì 21 dicembre 2007

Il Palazzo

In un mondo impossibile, ma possibilmente vero, esiste, o meglio non-esiste, una strada abitata da ladri e da re, da mendicanti e da uomini in carriera, da travestiti e da modelle, da assassini e da religiosi, da moribondi e da saccenti dottori, da puttane e da manager incravattati, da giganti e da formiche, da venditori di fumo e da imprenditori, da pazzi e da bambini, da clown e da poeti.
Tra un Mc Donalds e un sexy shop di questa strada, sorge un vecchio palazzo in pietra grigia, costruito nella notte dei tempi, dove le persone che vi abitano conducono una non-vita come quella di molti altri, eppure nella loro non-esistenza gridano al vento le proprie storie, sperando che qualcuno possa ascoltarli dando loro l’effimera illusione di un attimo di vita vera.

giovedì 20 dicembre 2007

Harder, Better, Faster, Stronger

L' Atalante

Buñuel disse: Il cinema può andare avanti quanto vuole, ma non supererà mai e forse nonraggiungerà mai un film come "L'Atalante", un'opera dove c'è già dentro tutto. Per Enrico Ghezzi L’atalante è straordinariamente perfetto, non per niente la sigla del suo Fuori orario riprende una scena del film. Scartabellando alcuni siti leggo ovunque che è considerato uno dei massimi capolavori del cinema di tutti i tempi.
Che cosa posso dire io?
Vado per gradi.
Innanzitutto devo contestualizzare il film, ossia devo giudicarlo all’interno del proprio genere e periodo storico, anche se ho scarse conoscenze di entrambe le cose, inoltre devo pensare con la mia testa, cerco sempre di farlo, ma mai come in questo caso mi viene difficile, un po’ perché non sono in grado di fare paragoni con altri film di quell’epoca e un po’ perché L’Atalante ha una fama non da poco.
Parto con la trama: Juliette, una semplice ragazza di campagna, sposa Jean, capitano di un barcone chiamato L’atalante e aiutato nella conduzione di esso da un giovane mozzo e da papa Jules (quel “papa” mi convince poco, deve essere una sciagurata traduzione italiana). L’iniziale felicità di Juliette dovuta al matrimonio, viene velocemente sostituita dalla noia causata dalla vita non proprio esaltante sulla chiatta. Attirata dalle “sirene” di Parigi, la ragazza, dopo un litigio con Jean, scapperà dalla barca per recarsi nella grande città. Jean cade in depressione , trascurando il lavoro e se stesso. Papa Jules, preoccupato delle condizioni del suo padrone, si mette in cerca di Juliette, e dopo averla ritrovata la riporta sull’Atalante dal suo amato Jean.

Bene. Ora alcune considerazioni.
Questo film è semplicemente una storia d’amore che ha come filo conduttore l’acqua. Oltre che essere teatro (il fiume) delle vicende amorose dei due, l’acqua rappresenta lo strumento che “immobilizza” l’amore, che lo rende eterno. Quando Jean si tuffa nel fiume vede Juliette vestita da sposa fluttuare nell’acqua, in quell’istante l’acqua è il mezzo per cui l’amore di Jean diventa immortale nei confronti di Juliette; anche quando la ragazza fa il suo ritorno alla barca, Jean esorta il mozzo a portargli un secchio con dell’acqua per lavarsi.
Oltre alla scena citata qua sopra (che poi è la sigla di Fuori orario), mi ha colpito una sequenza che definire splendida è riduttivo. La macchina da presa si alterna tra la camera da letto di Jean sulla chiatta, e quella di Juliette a Parigi. Entrambi vanno a letto da soli, e durante il sonno tra una dissolvenza e l’altra con un sottofondo di archi vediamo i corpi dei due muoversi in sincronia, la mano di Jean sul suo petto è la stessa di Juliette sul suo seno, nonostante siano lontani sono ancora più vicini di quanto credono, grande, grandissima scena, me la sono rivista un paio di volte.
Un’ultima cosa: la versione originale del film è stata perduta durante la guerra, nel corso degli anni si sono susseguite varie versioni più o meno fedeli all’originale, io ne ho vista una doppiata, neanche malissimo, in italiano, ovviamente come per tutti i film penso sia sempre meglio gustarseli in lingua originale.

Ok. Adesso tiro le somme.
Non mi piace per niente dare un voto ad un film, e non lo farò neanche in questo caso, il blog è mio e ci scrivo quello che voglio (che despota che sono!), se qualcuno mi chiedesse: "Senti un po’... ma 'sto film qua me lo consigli?” Ovviamente non risponderei con un laconico sì/no, per me che sono nato nel 2000, dove ogni cosa è già stata scritta o filmata, è sempre più difficile che un film riesca a sorpendermi, se si vede l’opera di Vigo come una semplice storia d’amore allora direi all’amico che mi ha chiesto un consiglio di guardarsi Titanic (1997), ma pensare a L’Atalante in questi termini è riduttivo, come ho detto all’inizio bisogna contestualizzare il film, calarsi in quell’epoca, e allora si può capire, come dice Ghezzi, che L’Atalante è semplicemente: l'amore nel cinema, l'amore del cinema, il cinema dell'amore.

mercoledì 19 dicembre 2007

Nessuno



Andrò a scuola...prenderò la laurea..mi sposerò...

mio padre morirà...troverò un posto sicuro,impiegato statale...

mia moglie mi tradirà e io non dirò niente per non

far crollare il mondo...e poi?


Sono andato a scuola... ho preso la laurea... mi sono sposato...


mio padre è morto... ho trovato un impiego sicuro, impiegato statale...

mia moglie mi ha tradito e io non ho detto niente, per non

far crollare il mondo....e poi?



...e poi basta...

Dio mio, che orrore...

eppure vorrei che continuasse questo orrore...

Uno dei passi che preferisco in assoluto dell'intera serie, ogni volta che lo leggo mi lascia dentro un vuoto cosmico.

martedì 18 dicembre 2007

Possession

Impossibile per me dare un giudizio su questo film dato che io ho visto la versione super-tagliata. Già la trama non è delle più semplici, in più se si toglie quasi un’ora di girato comprendere il film diventa quasi un’ impresa. Ho letto la trama della versione uncut, e sono rimasto sbalordito! Sembra un altro film, mancano un sacco di scene, alcune delle quali importanti nello svolgersi della narrazione. Mi chiedo chi ha avuto la scellerata idea di effettuare questi tagli…

Comunque Possession è un film che racconta di un triangolo amoroso tra Marc, Anna ed Heinrich. L’oggetto della possessione è Anna, che è bramata sia da suo marito Marc, che dall’amante Heinrich. La donna interpretata da una strabiliante Isabelle Adjani, se ne infischia dei due uomini e va a vivere da sola. Marc, che nonostante il tradimento è ancora innamorato di lei, cerca di riavvicinarla a lui e al loro figlio, il tentativo non va a buon fine, così decide di assoldare un investigatore privato che la segua. Quest’ultimo scopre che nella nuova casa Anna ha un altro amante, che non è una persona, bensì un mostro tentacolare simile a quelli de Il pasto nudo (1991) che si nutre di esseri umani. Tale mostro è stato partorito da Anna durante una sequenza allucinante in un tunnel, e nella versione originale questa sequenza dura di più che nella versione tagliata. Posseduta (in tutti i sensi) dal mostro, Anna, si suiciderà con suo marito, prima che quest’ultimo abbia ucciso l’amante Heinrich. Quando i due coniugi si uccidono, il polipone prende le sembianze del marito, e osserva in silenzio i due che muoiono.

Insomma un bel casino. Anche perché durante il film, che ha un montaggio frenetico, ci sono dei messaggi subliminali in cui si vede Gesù Cristo crocifisso, voci fuori campo che parlano del diavolo, e filastrocche cantate da bambini molto “argentiane”. Ed anche Marc mentre spoglia il figlioletto per metterlo a letto tende le esili braccine del bimbo come se fosse crocefisso, stessa cosa la ripete quando spoglia sua moglie Anna. Potrebbe essere un’ allegoria della religione, un dio che osserva dall’alto impotente, ma è solo una mia ipotesi.
Buona la fotografia, che rende Berlino una città in bilico, come i protagonisti della vicenda.
Da non sottovalutare anche il tema dell’incesto, infatti Anna fa sesso con un essere che ha partorito lei stessa, ma questi dannati tagli non permettono di approfondire la questione, il mostro, per esempio si vede nella sua interezza una volta sola.

Il livello recitativo è altissimo, Sam Neil (Marc) sfodera una prestazione convincente, sembra davvero un uomo disperato che nonostante il tradimento della moglie vuole provare ancora a stare insieme a lei, quando nel bar lei confessa il tradimento, la sua furia sembra uscire fuori dallo schermo.
Ma davvero sopra le righe è Isabelle Adjani, nervosa , fragile, eterea. Completamente fuori di testa. La scena del tunnel, come ho detto prima, rimane impressa nella mente. Ma oltre a questo particolare, l’attrice riesce a creare un legame empatico con lo spettatore, anche se ha tradito per ben due volte, e ha anche ucciso, non sono riuscito ad odiarla.
Spero un giorno di riuscire a vedere la versione integrale, si dice in giro che per il mercato giapponese esista un’edizione ancora più lunga dell’uncut… quanto sono avanti laggiù!!

No one


Da un po' di giorni gira in loop nel mio I-Tunes questa canzone.
Ed anche dopo aver letto la traduzione e aver constatato che il testo è profondo quanto uno degli Aqua, non m'importa un fico secco: quel O-OH-OH-OH finale provoca in me un terremoto testosteronico.

La casa sfuggita

Uno dei film italiani in cui ho sentito pronunciare più volte la parola “cazzo”, e sempre dalla bocca di Rita, la prosperosa co- protagonista. Che ci sia un nesso tra questo termine e il personaggio in questione? Chissà…
Scherzi a parte, La casa sfuggita, ispirato ad un racconto di Lovercraft, è una produzione sconosciuta "made in italy" abbastanza interessante.
Dico abbastanza perché se da un lato girare film italiani così particolari non può che essere positivo, il rovescio della medaglia sta nel fatto che de La casa sfuggita si capisce poco o nulla.
Questo però non è un giudizio totalmente negativo, anzi, ben vengano questi registi che hanno idee e voglia di fare. Non se ne può più di pellicole simil-Mocciane o di Natali alle Bahamas o sulla crociera, o sul treno regionale: CHE PALLE.

Tornando a bomba: la trama è piuttosto caotica , Alex e Rita si recano in una locanda teatro di orribili episodi in passato per scrivere un libro. Ma il presente in cui vivono si mescola con i segreti degli anni addietro.
Zuccon, a cui bisogna dare il merito di una scenografia inquietante ben riuscita, con i continui flashback spezzetta la narrazione facendo perdere il filo allo spettatore, il finale che non chiarifica (ed è un bene), dovrebbe spingere a rivedere il film una seconda volta, solo che di rivedermi La casa sfuggita proprio non ne ho voglia (ed è un male). Alcune scene splatterose sono pregevoli, su tutte la violinista che usa come violino il suo braccio, e come corde le sue vene. Anche la tizia a cui hanno cucito la bocca (e non ho capito perché) è di forte impatto visivo.
Nota negativa la recitazione dei protagonisti, in particolare Alex, troppo “legnoso” nei dialoghi, sembra quasi che legga, un po’ meglio Rita, sarà per la scollatura.
Ritornando al finale, l’ultima frase di Alex potrebbe spigare tutto, o forse niente: il posto dellecose non è dove crediamo che sia, e questo vale per i nostri corpi, le nostre anime, i nostridemoni.

Merita di essere visto anche solo per renderci conto che non esiste escluivamente Muccino (o chi per esso) in Italia.

lunedì 17 dicembre 2007

Mentre l'auto si allontanava dalla città

C’era una canzone che la faceva piangere.
I rimpianti l’assalivano.
Gli errori che aveva fatto.
Le gocce sul vetro.
Le lacrime sul suo viso.
Lei se ne andava per sempre,
mentre l’auto si allontanava dalla città.

C’era una canzone che lo faceva piangere.
I ricordi già lo tormentavano.
Non doveva andare così.
La pioggia sulla finestra.
Gli occhi lucidi.
Lui, nonostante tutto, non l’avrebbe dimenticata,
mentre l’auto si allontanava dalla città.

domenica 16 dicembre 2007

Se capiterà che passerai per questo grigio cielo

Quanto mi piaceva questa canzone, grande Max, poeta del nostro tempo.

venerdì 14 dicembre 2007

L'Uno per l'Altra - Il massacro (seconda parte)

Ora le due ombre erano inginocchiate in salotto con le mani e i piedi legati.
Uno stava in piedi davanti a loro, dietro di lui Altra si godeva lo spettacolo raggomitolata su una poltrona.
“Bene luridi porci. Vi avverto che tra circa mezz’ora sarete morti. Tutti e due. Però adesso…giochiamo.” Uno e Altra si lanciarono uno sguardo d’intesa, poi proseguì: “Tu! Piscialletto! Conosci Freud?”
“C-cosa?”
“Freud! Brutto ignorante, era uno psicologo, studiava i poveri sfigati come te, inventò una teoria divisa in 5 fasi. Siccome sei ancora un piccolo bambino ignorante, adesso le studieremo insieme. La prima è la fase orale.”
“Ti prego…non farmi del male”
“Taci! Comando io. E adesso ho deciso che devi bere questo bicchiere di piscio.”
“No ti supplico, farò tutto quello che vuoi, ho molti soldi io… posso pagarti! Quanto vuoi?“
“Hai sentito tesoro? Piscialetto è ricco!”
“Ho sentito amore, però a noi dei soldi non interessa molto vero?”
“Hai ragione cara, come sempre. E adesso apri la bocca o ti ammazzo. Ecco così bravo, vedo che hai capito chi comanda, bevi bevi…”
Uno versò tutto il liquido nella gola dell’uomo e mentre lo faceva rideva insieme a sua moglie. Ridevano come matti.
All’ultima goccia l’ombra emise un rigurgito, poi vomitò sugli anfibi lucidi di Uno.

BANG! BANG!.

L’ombra si accasciò su un fianco tra vomito e resti di materia cerebrale.
“Ma caro perché l’hai fatto?”
“Zuccherino se c’è una cosa a cui tengo sono i miei anfibi!”
“Sì ma sei un’imbecille, hai sporcato tutto il tappeto, io non lo pulisco di certo, questo è poco ma sicuro.”
L’altra ombra era immobile, con il capo chino. Aveva assistito alla scena in silenzio.
“E tu non dici niente bastardo?”
L’ uomo alzò la testa e fissò negli occhi Uno: ”Uccidimi, uccidimi ora, non ne posso più.”
Uno si voltò verso sua moglie: “Oh cara! Questo tizio mi sta simpatico, lo senti? Non ha paura della morte, è da ammirare.”
Altra si stava limando le unghie: “Bah,uccidilo.”
“Voglio darti una possibilità figliolo, se risponderai esattamente alla mia domanda ti lascerò andare. Te lo prometto sua mia moglie, la cosa più cara che ho.”
“Quale…quale domanda?”
“Beh è molto semplice, in quale anno è morto Sigmund Freud?”
“Io…io…”
“Avanti non è difficile….”
“Non so...dico…1940?”
“Hai sbagliato di un anno. Ora devo ucciderti.”
L’ombra sputò la sua rabbia contro Uno: ”Fa quello che vuoi…BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA!”
Uno lasciò cadere la pistola a terra, si tolse il cappuccio di lattice nera e rimase immobile a fissare l’uomo inginocchiato: ”Vuoi vedere chi è un figlio di puttana? Te lo faccio vedere io chi è un figlio di puttana!”
La punta dell’anfibio destro fece saltare i due incisivi dell’ombra che cadde all’indietro. Subito dopo Uno prese un trapano a pile da un cassetto - VZZZZZZZZZZZ-. Funzionava.
Poi si mise a cavalcioni sopra il corpo dell’uomo legato.
-VZZZZZZZZZZ-
“Ombra! Adesso voglio che preghi il tuo Dio. Prega che lui venga a salvarti, datti da fare! Voglio che un fulmine mi colpisca in testa!
“P-padre nostro che sei nei cieli…”
“Più FORTE!”
“Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno…”
“Io non sento niente!”
“Sia fatta la tua volontà…”
Uno scattò in piedi e cominciò ad urlare guardando il soffitto: ”Oooooh…lo sento!! Oooohh Signore mi pento! Sììì mi pento, sento l’amore del Signore Iddio, l’Onnipotente, aaahhh lo Spirito Santo è disceso su di me.”
Poi si accovacciò di nuovo sull’ombra, con la mano sinistra lo prese per i capelli e gli sussurrò all’orecchio: ”Io sono il diavolo, e sono qui per fare il lavoro del diavolo.” Nella mano destra stringeva il trapano.
VZZZZZZZ.
La vite, roteando vorticosamente, bucò la pelle, poi la tiroide, le corde vocali - “Senti cucciolotta -VZZZZZZZ- sembrano i versi di un maiale che viene scotennato.” “Hai ragione gioia mia, sembra un lurido porco!”-, l’epiglottide, di nuovo la tiroide ed infine uscì dall’altra parte.
Altra si alzò dal dalla poltrona e zampettando sul tappeto schizzato di sangue abbracciò da dietro suo marito.
Entrambi guardavano in silenzio il massacro ai loro piedi.
“E' stato bellissimo….”
“Sì caro, indimenticabile…”
“Che ne dici se ci guardiamo un bel film e poi domattina puliamo tutto?”
“Va bene…però scelgo io! Che ne dici di Profondo rosso?”.
“Mmmm…no tesoro, lo sai che il sangue mi impressiona, preferirei qualcosa di più romantico, Via col vento?”
“Uffi! Vada per via col vento, te lo meriti, oggi sei stato molto bravo.”
Altra e Uno si abbracciarono aggrappandosi a se stessi. In quel momento erano un essere solo.
In quel preciso istante, tra sangue, vomito, pezzi di cervello, denti e urina, si stavano amando perdutamente.

giovedì 13 dicembre 2007

Nodo alla gola

Sto cercando, pian pianino, di vedermi tutti i film di Hitch, stasera è toccato a Nodo alla gola.
Immenso come sempre, il maestro del brivido, crea un film che potrebbe essere benissimo una rappresentazione teatrale, non per niente lui era un amante del genere.

La vicenda si svolge interamente dentro alla casa di due studenti forviati dalle teorie pseudo-nietzschiane del loro professore (James Stewart), in questo ambiente claustrofobico i giovani Brandon e Pihlip strangolano un loro compagno di scuola e nascondono il suo corpo dentro ad una cassapanca che diventerà la macabra tavola imbandita di un rinfresco.
La sceneggiatura di Arthur Laurents è fenomenale, in dialoghi non sono mai banali e caratterizzano meravigliosamente i personaggi. I rapporti omosessuali coinvolgono non solo i due studenti, ma forse anche il professore con uno dei suoi allievi. Il sottotesto del film l’ho trovato una critica alla perbenista società del tempo che non poteva ammettere diversità e famiglie alternative.
Alcuni temi fondamentali del cinema di Hitchcock si possono riscontrare anche in Nodo alla gola, innanzitutto il tema dell’ingabbiamento, già presente in Gli uccelli (1963), e in La donna che visse due volte (1958) in cui la prima scena che si vede è l’occhio di una donna dal quale sgorgano gabbie e spirali, in Nodo alla gola il povero David viene rinchiuso in un cassone dove non c’è via d’uscita.

Altro tema fondamentale è quello del doppio, in Psyco (1960) l’albergatore Norman Bates è se stesso e sua madre contemporaneamente, oppure ancora in Vertigo il poliziotto Ferguson è sconvolto dalla morte di Madeleine, ma ritroverà in Judy il suo amore perduto. Qui Brandon e Philip possono rappresentare uno il sosia dell’altro, anche se apparentemente Brandon sembra più forte di Philip in realtà si è fatto traviare dal suo professore, quindi tanto furbo non è.

Infine il tema del teatro, come ho detto all’inizio, viene ripreso in questo film così come era accaduto in La finestra sul cortile (1954) dove James Stewart immobilizzato (ingabbiamento!) sulla sedia spiava i suoi vicini, come se fosse lo spettatore di uno spettacolo teatrale con cambi di scena.
Sicuramente molti rimandi mi sono sfuggiti, per capire bene Hitchcock bisogna conoscere Freud, Jung, Shakespeare, Pirandello e molti altri ancora, ed io non possiedo tali conoscenze.

Piccola curiosità: non ho visto il solito cammeo di Hitch in questo film... che mi sia sfuggito?

mercoledì 12 dicembre 2007

I tre volti della paura


Grande Mario Bava!
Prima di bamboline accompagante da sinistre litanie e prima ancora di pittori maledetti, c’ era questo “artigiano” del cinema.
Anticipatore di mode, il suo Reazione a catena (1971) è il primo slasher movie della storia; dotato di grande ingegno, Mussolini lo premiò con una medaglia al valore per aver filmato una chiesa crollare durante un terremoto, ma in realtà Bava non si era mosso da casa sua, aveva semplicemente messo la foto della chiesa dentro una bacinella piena d’acqua e olio; precursore del genere horror nel nostro paese, Bava non fu apprezzato in Italia tanto quanto lo è stato in America e in Francia.
I tre volti della paura è un gran film, tenendo conto che è stato girato nel ’63 posso dire che dà tranquillamente dei giri a alle super produzioni americani. Vedetelo da soli al buio e poi venitemi a dire.

Il telefono è il primo episodio. Ottimo. Con tre attori e un telefono Bava crea una suspance che si taglia col coltello. Rosy riceve delle telefonate anonime da un maniaco che la minaccia di morte, spaventata chiede aiuto ad una sua amica con la quale aveva litigato (anche se il rapporto tra le due forse andava oltre l’amicizia). Nel frattempo il suo ex-uomo è uscito di prigione ed è venuto a cercarla assetato di vendetta. Tutti i sospetti cadono su di lui, ma in realtà è uno scherzo dell’amica che cercava un pretesto per riavvicinarsi a Rosy. Solo uno dei tre rimarrà in vita. Tutta l’azione si svolge all’interno della casa di Rosy eppure non annoia. Semplice ma geniale.

Wurdulak è il secondo episodio. È il più lungo, e probabilmente quello che è stato più impegnativo da girare date le scenografie. Vladimir arriva in una casa dispersa nella brughiera, in cui vi abita una famiglia che terrorizzata attende l’arrivo del padre (interpretato da un grandissimo Boris Karloff). Ma quest’ultimo è diventato un Wurdulak, ossia un vampiro assetato di sangue.
Non sono una grande fan dei film in costume, ma devo ammettere che qui (e siamo nel 63, bisogna ricordarlo!!) le atmosfere alla Poe sono rese bene, e poi il bambino inginocchiato davanti alla porta mi ha gelato il sangue.

Infine La goccia d’acqua. Cazzarola questo episodio fa davvero paura. Hellen viene svegliata nel cuore della notte per vestire una medium morta (un lavoro poco invidiabile il suo...). Solo che avrà la brillante idea di fregarle l’anello.
Grande Bava a creare con le luci verdi e rosse un’atmosfera gotica molto suggestiva. Il viso della medium morta è quanto di più inquietante si possa vedere, i denti giallognoli digrignati, gli occhi sbarrati e i capelli bianchi ritti come aghi… brrrrrr… ho i brividi ancora adesso. Forse l’episodio migliore, nonché il più breve.

Il finale è una chicca, perché vediamo Karloff mostrarci il trucco del cavallo che corre (ed è geniale ve lo assicuro), quasi a sdrammatizzare l’atmosfera di angoscia e di orrore che si era creata fino a quel momento.

CULT!

Il religioso

"Mia madre è scappata alle Bahamas con tutti i soldi, mio figlio si ubriaca tutti sabati, mio padre dopo che è stato lasciato si ubriaca con mio figlio, mio marito è disoccupato, io lavoro 18 ore al giorno, c'è l'affitto da pagare, mia figlia esce tutte le sere, ci sono le rate della macchina, mio marito va sempre a scommettere alla snai, mi hanno rubato la borsetta, mia figlia non torna mai a casa a dormire, mio figlio spaccia, i vicini di sopra fanno casino tutta la notte, si è rotta la tv, un piccione ha cagato sulla roba stesa, mia figlia è incinta, il cane è stato investito, si è rotta la catena del cesso, mia madre saluta tutti dalle Bahamas."
"... Prega."

lunedì 10 dicembre 2007

Last Days

Cosa posso dire di questo film conoscendo poco del cinema di Van Sant (mea culpa) e ancora meno su Kurt Kobain (mea grandissima culpa)?
Ben poco, anche perché stasera sono molto stanco.
In realtà la vicenda del leader dei Nirvana ha solo vagamente ispirato il film, il protagonista infatti non ha nemmeno il suo nome, e per tutta la sua durata non si sente neanche una canzone della band (almeno così ho letto).

Last Days è un film silenzioso, mentre lo guardavo mi sembrava quasi di essere nascosto tra le foglie secche del bosco, o dietro uno dei tendoni della casa. E spiando ho visto un ragazzo in fuga dal mondo che lo circonda, sembrava quasi un fantasma. Ogni tanto bisbigliava, altre volte cantava.
Il film non dà risposte (forse è un bene), e come scrive Marzia Gandolfi: oltre quello che vediamo non c'è nulla, niente passato e niente futuro, soltanto il presente e la gelida cronaca di una morte: suicidio? Omicidio? Fatalità?

P.S.: Ho messo la locandina francese perché è molto più evocativa di quella italiana.

domenica 9 dicembre 2007

Incroci

Interno di un barbiere.
Oltre a Luigi, il proprietario, vediamo cinque persone.
Il signor Mondello sfoglia un giornale sportivo, aspetta il suo turno senza fretta, ogni tanto si accarezza i baffi bianchi.
La signora Bottino ha portato dal barbiere il suo figlioletto Andrea, in questo momento sta pensando al suo amante.
Il dottor Casagrande tra un’ora dovrà aprire il suo studio, spera che Luigi si sbrighi a tagliare i capelli a quel ragazzo, ha molto da fare oggi.
Quel ragazzo è Paolo, due ore prima è stato lasciato dalla sua ragazza dopo tre anni, ha deciso di rasarsi i capelli perché vuole voltare pagina.

Tra poco una di queste persone sarà morta.

Quando Paolo esce dal negozio si sente vuoto, la sua anima è stata falciata come i suoi capelli, continua a ripetersi che non doveva andare così, che ognuno ha diritto ad avere una seconda possibilità nella vita, che le persone possono cambiare. Mentre cammina sul marciapiede arriva in prossimità del ponte, basterebbe un piccolo salto e sarebbe inghiottito dal fiume. Rimane incantato dall’acqua che scorre sotto di lui, si ricorda di una frase di un filosofo, panta rei. Paolo prosegue verso casa. Lui vivrà.

La Signora Bottino è una donna infelice, ha sposato suo marito solo per i soldi. Mentre è in attesa del turno di suo figlio riceve un sms. È il suo amante, le dice che è lì vicino e ha voglia di vederla. Lei non ci pensa su, dice ad Andrea che sarebbe tornata subito, ed esce sorridendo. Percorre a due a due le scale per scendere in strada, ma quando arriva non c’è nessuno ad aspettarla, un sacchetto di plastica rotola davanti a lei trasportato dal vento, prende il telefono e rilegge il messaggio. Prima non aveva notato, in fondo non c’era scritto il suo nome ma quello di un’altra. Nonostante questo lei vivrà.

Il dottor Casagrande è soddisfatto del suo nuovo taglio di capelli, anche se incomincia ad avere una certa età si trova interessante, e poi oggi è un giorno speciale… Quando arriva davanti allo studio Simone è già lì ad attenderlo. Iniziano subito a baciarsi e con passione travolgente si gettano nello studio dimenticandosi di chiudere la porta. Poco dopo un rappresentante di medicinali entra nella stanza e vede il dottor Casagrande e Simone fare l’amore.
Nessuno andrà più dal dottore, nessuno vorrà farsi curare da un omosessuale. Ma lui vivrà.

Il signor Mondello è un amico di vecchia data di Luigi, conversano amabilmente della loro gioventù, rammentano episodi divertenti che non sempre il signor Mondello ricorda. Quando Luigi incomincia a parlare di una certa Lisa gli si accendono gli occhi. Luigi sostiene di aver amato quella ragazza e di essere stato ricambiato per lungo tempo, il signor Mondello è spaesato, si ricorda nitidamente di essere stato fidanzato con Lisa.
Luigi insiste, e gli mostra una foto ingiallita dove Lisa indossa un vestito bianco a pois rossi. Dietro c’è una dedica: “Al mio amore Luigi.”
Il signor Mondello non tornerà mai più da Luigi. E vivrà ancora.

Ripresa aerea di una strada.
C’è stato un incidente.
Un uomo è inginocchiato affianco alla sua auto, piange e bestemmia.
Il corpo di un bambino è steso davanti alla macchina, sul cofano vediamo del sangue.
Quel bambino è Andrea. Dal barbiere nessuno si era accorto che fosse uscito.
Il suo ultimo pensiero lo ha rivolto a sua mamma, lui era uscito dal negozio per cercarla.

sabato 8 dicembre 2007

La bestia in calore

Siamo nel campo b-movies, in particolare nel genere “Naziploitation” (ci troviamo di fronte a film che mettono in scena, nella maggior parte dei casi, delle Kapò -sempre donne- che seviziano, stuprano, uccidono altre donne che sono tenute prigioniere. fonte Exxagon.it). Ho visto alcuni film appartenenti a questo filone e devo dire che non sono un amante del genere, visto uno visti tutti. La bestia in calore si discosta leggermente dai suoi simili per l’ambientazione: la vicenda è girata in piccolo paese italiano e non in un Lager; poco cambia comunque.

Un improbabile commando di Nazisti è alla ricerca di un gruppo di partigiani che hanno fatto saltare un ponte ferroviario. In seguito ad un rastrellamento dei tedeschi nel paese, vengono rapite alcune donne, una mad doctor sado-lesbo-nazista riuscirà con metodi poco ortodossi a far parlare le ragazze e a scoprire dove è nascosta la resistenza.

Ovviamente, trattandosi di un b-movie, tutto è così povero, dalla scenografia alla recitazione degli attori, per non parlare delle scene di sesso, che trasmette un senso di squallore immenso.
Restando in tema (di squallore) il film si “avvale” della partecipazione di Salvatore Baccaro (il nome non dice niente, ma se googolate capirete chi è) che già non un bel vedere da vestito, figurarsi vederlo nudo come un verme agitarsi sopra delle malcapitate, addirittura strappa i peli pubici a una tipa e se li mangia! Preciso che la bestia in calore a cui fa riferimento il titolo non è lui, bensì la sadica dottoressa che lo tiene imprigionato dentro ad una gabbia. Alcune torture risultano abbastanza credibili, certo che se siete abituati alle americanate attuali questo film non fa per voi.

Ci sono due domande che mi pongo: la prima è per quale motivo in Italia venivano prodotti questi film? Immagino che per la legge del mercato ad una tale domanda corrispondeva una tale offerta ed un conseguente guadagno, quindi qualcuno andava a vederli; insomma per quale motivo la gente aveva bisogno di 'ste cose? (domanda attuale piuttosto anzichenò).
Il secondo quesito che mi pongo è questo: perché io, a distanza di trent’anni, guardo ancora codeste pellicole?
Mah... ai posteri l'ardua risposta...

giovedì 6 dicembre 2007

Brother


…ovvero quando Ichi the Killer (2001) incontra il crime-movie occidentale, ovvero quando la Yakuza incontra il ghetto americano.

Costretto ad espatriare dal Giappone, Aniki (che da oggi è diventato il mio eroe personale) si trasferisce in America dal suo fratellastro, uno spacciatore di mezza tacca con una gang di sfigati. Ainiki trasformerà questa banda con i suoi metodi Giapponesi molto convincenti, in una spietata organizzazione che avrà il controllo della città. Se lo prenderanno in quel posto quando incontreranno sulla loro strada la mafia italiana. (siamo ben visti all'estero devo dire)
Brother è un film che definirei cazzuto (perdonatemi il francesismo), parte un po’ lento, ma piano piano spinge sull’acceleratore che è un piacere.
Un discorso a parte lo merita il protagonista, mamma mia che duro! Non si vedeva un tipo così dai tempi di Clint Eastwood o Charles Bronson.
Impassibile, silenzioso, granitico, spietato, ma anche educato (lascia laute mance ai camerieri e non solo, vedere il finale per credere) e impercettibilmente ticchioso, quasi a dimostrare che anche lui è un essere umano. Non si può non amare un personaggio del genere perché è il classico tipo che non perde mai la testa e sa sempre cosa dire al momento giusto. S-T-R-E-P-I-T-O-S-O.

Il titolo del film potrebbe avere varie interpretazioni, se fosse al plurale, Brothers, non sarebbe complicato comprenderne il significato, ma al singolare ho qualche dubbio, chi è il fratello?
Forse è il fratellastro che vive in america, o il braccio destro di Aniki che lo ha seguito dal Giappone e che si suicida in suo onore, oppure è il giovane ragazzo di colore che Aniki prende sotto la sua protezione a cui perdonerà anche una pistolettata in pancia? Non si sa.

Quello che si sa è che Brother è un film godibile, calmo e violento allo stesso tempo, proprio come il suo protagonista.

mercoledì 5 dicembre 2007

Meditazioni in branda

Il letto è la più grande invenzione dell’uomo, avrei voluto scrivere una poesia, “ode al letto”, ma non ne sono capace, quindi metto da parte le mie aspirazioni dantesche e cercherò di essere conciso e diretto come l’ascia di Jack Torrence.

Il mio rapporto col letto è morboso, eccessivo, maniacale, mi capita spesso che al trillar della sveglia decida di dormire per pochi minuti ancora, quando riapro gli occhi sono passate ore.
Per me il letto non è solo un semplice materasso su cui riposarsi, è molto di più. Parecchie decisioni della mia vita le ho prese sotto le coperte, anche le cazzate che scrivo su questo blog le penso poco prima di andare a dormire, e quindi anche questo post che state leggendo (se mai qualcuno lo farà) è frutto delle mie meditazioni in branda, che poi è un po’ un ossimoro, il termine “meditazione” è in antitesi con il termine “branda”, non ce lo vedo un monaco zen in ascesi trascendentale posato su una cuccetta, ma a me piace per questo, mi sento un po’ un pensatore da quattro soldi, anzi direi un dispensatore di banalità.
Le meditazioni in branda sono la mia K-Pax (per chi ha visto il film), o la mia Babenco (per chi legge Dylan Dog), luoghi in cui i personaggi più incredibili prendono vita sgorgando dalla mia labile mente. Non c’è uno schema preciso, è tutto un susseguirsi d’intuizioni, di afferrare idee che svolazzano nella mia testa, partendo da un punto posso creare un mondo e viceversa. Com’è affascinante la mente umana, Buddha diceva che “Siamo quello che pensiamo. Tutto ciò che siamo nasce dai nostri pensieri. Noi creiamo il nostro mondo."Ricordo che anni fa, durante le mie meditazioni avevo creato un romanzo, contorto, spiralico, un gioco di Matrioskhe (o come si scrive). Per due mesi, ogni notte, pensavo a come andare avanti, e senza avere nessuna nozione di tecnica narrativistica mi sembrava di aver ideato qualcosa d’importante. Quando mi decisi ad iniziarlo, battendolo col mio vecchio PC, capii che la scrittura non faceva per me. Quella storia è nella mia testa e credo che ci rimarrà per sempre.

Ma il letto non è solo una dolce culla, certe notti si trasforma in una gabbia. Sono quelle notti in cui vorresti urlare e fare a cazzotti col mondo, le coperte si fanno bollenti e umidicce, il cuscino è bagnato dalle tue lacrime. Allora ti alzi e bestemmi, e imprechi. Ti fai domande che non hanno risposte, accendi la TV, guardi l’ora che non passa mai. Vuoi dormire. Sei obbligato a tornare a letto come una condanna, e sei nuovamente solo coi tuoi neri pensieri. Attendi il sonno ma non arriva mai.

Odio quelle notti con tutto me stesso.

Ultimo mondo cannibale

Ultimo mondo cannibale (1977) fece da apripista al famigerato Cannibal Holocaust (1980, sempre di Deodato), il capostipite del genere Cannibal.

Se si escludono gli ultimi dieci minuti, questo UMC ha ben poco di Cannibal, e molto del genere Mondo, penso tutto il filone sui cannibali sia figlio dei Mondo Movie, dove vi era una spettacolarizzazione della morte attraverso atrocità varie come evirazioni, faces of death, operazioni chirurgiche, ecc. Cose da far impallidire siti di oggi come rotten o stileproject.
UMC è una fotocopia sbiadita di CH, ci sono all’incirca le stesse trucidità: se in CH veniva squartata una tartaruga, qui è un coccodrillo a rimetterci la pelle (in tutti i sensi), se in CH c’erano gli occidentali che si perdevano nella giungla, qui… accade la stessa cosa. Le similitudini sono molte altre ma mi fermo qua.

Alcune trashate però meritano di essere citate: la migliore riguarda il protagonista, che dopo essere stato catturato dagli indigeni viene messo su una forca alta come un palazzo, roba che pure a Terminator gli si spezzerebbe il collo, invece lui sopravvive. Poi una volta imprigionato chiede aiuto ad un’indigena che invece di dargli dell’acqua incomincia a masturbarlo (?). Quando riesce a scappare dal villaggio con quest’ultima, in un momento d’ingrifamento se la tromba in mezzo ad una laguna, da questo momento in poi diventerà la sua schiava (quasi quasi un passo da quelle parti ce lo faccio…).
Impedibili le improvvise zoomate per mettere in risalto dei particolari, come i coccodrilli che escono dall’acqua, ovviamente aggiunti nel montaggio a fine film, e la cosa si nota molto perché le inquadrature che li riguardano hanno colori diversi dalle scene in cui recitano gli attori. Una vera e propria chicca sono gli effetti sonori, grotteschi è dire poco. Mitico il serpentone che viene ucciso ma che si vedeva lontano un miglio che era già morto, e ottimo anche il pipistrello di carta.
Comunque se si riesce a passare oltre a tutto ciò, il film non è neanche malaccio, in fondo ha una sua struttura abbastanza congegnata con un colpo di scena a 3/4 della proiezione. I dialoghi sono quello che sono, ma il protagonista mi è sembrato bravo, non deve essere facile recitare nudi e coperti di fango in mezzo alla foresta.
Ultimo mondo cannibale è l’esempio di un cinema che non esiste più.
Chissà se è un bene o un male…

martedì 4 dicembre 2007

Il prigioniero

Buio.

Freddo. Catene. Topi. Fame. Paura. Buio. Dolore. Rumori. Topi. Ossa. Puzza. Lacrime. Urla. Silenzio.

Luce.
Uomo. Pane. Catene. Acqua. Topi. Pugno. Sangue. Dolore. Urla. Calcio. Sangue. Dolore. Catene. Lacrime. Buio.

Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio. Buio.

Luce.

Donna. Porta. Chiave. Camminare. Correre. Saltare. Cielo. Aria. Azzurro. Libertà. Abbraccio. Luce. Felicità.
Sogno.

Buio.

Catene. Topi. Ossa. Topi. Fame. Buio. Puzza. Lacrime. Lacrime.

Buio.

lunedì 3 dicembre 2007

Il cacciatore


Fino a tre ore fa avevo un grosso buco, cinematograficamente parlando.
L’ho “stuccato”.
Poco da dire, Il cacciatore è un CULT assoluto. La roulette russa del film è entrata di diritto nella storia della cinema, credo di non bestemmiare se dico che è uno dei migliori film sul “tema guerra”.

Prima. Durante. Dopo. Il film è suddiviso cronologicamente così, prima la vita di un gruppo di amici si consuma tra il lavoro, gli amori e le bevute al bar. Il Vietnam cambierà tutto. Dopo la guerra niente sarà più come prima. Bravo Cimino a creare dei personaggi di spessore, con una loro identità, De Niro è in gran spolvero (quando mai non lo è?), ma anche tutti gli altri attori vanno menzionati, Meryl Streep è sempre uguale, ma quanti anni ha?
Finale amaro.
Mi chiedo cosa ci sia di peggiore che veder morire tra le proprie braccia un amico fraterno per colpa di uno stupido gioco…
Ma in fondo, anche gli uomini di potere non considerano la guerra un “gioco”, dove contano i soldi più che le vite umane??
Ahimè Il cacciatore è un film ancora attuale, leggo sui giornali che c’è un altissimo tasso di suicidi dei militari che rientrano dall' Iraq. Che orrore, ma dov’è Dio? Dov’è?
Vabbè, in ogni caso film da vedere assolutamente.
Un colpo solo.
Un colpo solo.

Bang.

Il risolutore

"Non voglio mai più piangere per colpa di una persona."
"Allora cavati gli occhi."

domenica 2 dicembre 2007

Mysterious Skin

Neil e Brian sono abbracciati su un divano. Si sente un coro natalizio. Dissolvenza. Titoli di coda.
Mysterious Skin finisce così.
Alcuni anni prima il coach di baseball aveva abusato di loro due proprio in quella stanza.
Neil, il protagonista, è un personaggio costruito male, non basta mettere un orecchino all’orecchio destro per far di una persona un omosessuale. Quando racconta la sua infanzia sostiene di essersi innamorato fin da subito del coach, e di sentire che questo amore era pienamente ricambiato (un bambino di otto anni che comprende “il vero amore”…mumble... mumble…). Crescendo si guadagnerà da vivere prostituendosi, e dopo essersi fatto tutti i maschi del paese decide di andare a N.Y. con la sua amica del cuore.
Brian ha rimosso ciò che è accaduto nella casa del coach, ha solo vaghi ricordi che riconduce ad un rapimento alieno. Dopo aver conosciuto una donna che affermava di essere stata rapita dagli ufo, ma che in realtà cercava solo un po’ di compagnia, si ricorderà attraverso degli incubi del suo amico d’infanzia Neil. Al ritorno di quest’ultimo da N.Y. il passato ritornerà a galla.

In Mysterious Skin c’è un errore di fondo, ossia che un bambino possa dire di essere innamorato. Purtroppo su tale affermazione si basa tutta la psicologia del protagonista poiché Neil cercherà in ogni suo rapporto l’amore che gli seppe dare il suo allenatore. Impossibile. A otto anni non si hanno ben chiari dei concetti così importanti (io non ce li ho neanche ora che ne ho venti). E poi sto fatto mi sembra che scansi una questione più importante: la pedofilia. Che il coach fosse un pedofilo non ci piove, ma quando Neil parla di lui c’è troppo romanticismo nelle sue parole. Non sono un esperto, però Cristo Santo ha abusato di lui a otto anni...
Allora il personaggio di Brian è più credibile, ha rimosso l’orrore che ha dovuto subire e l’ ha sostituito con un fatto immaginario. Ok, a questo ci posso credere. Ma non venitemi a dire che la fidanzatina che avevate all’asilo è stato il vostro più grande amore...

In definitiva Mysterious Skin è un film troppo patinato, che avrebbe anche potuto essere qualcosa ma che non ci riesce.