Secondo capitolo di quella che si accinge a diventare una trilogia coi fiocchi vista l’imminente uscita di Tetsuo: The Bullet Man (2009) al prossimo Festival di Venezia.
E ancora ferro, di nuovo, uguale e diverso.
Fili aggrovigliati, matasse inestricabili, tubi e metallo.
Quattro anni dopo Tetsuo (1989), Tsukamoto riprende con inaudita violenza il tema a lui così caro della trasformazione. Grazie ai proventi ottenuti con Hiruko the goblin (1991), il regista giapponese aumenta la qualità degli SFX che raggiungono un livello altissimo per essere un film del ’92. Inoltre abbandona quel b/n sgranato in favore di un allucinogeno blu slavato.
Non saprei dire con precisione cosa accade in Tetsuo II, il film corre più veloce della trama e della nostra percezione: quando finisce si è ancora a metà. Quello che ho potuto appena intuire è stato uno Tsukamoto tanto spietato, nel smembrare il figlio del protagonista, quanto visionario nella caratterizzazione dei personaggi, soprattutto quella dei villains che sembrano partoriti dalla mente dei fratelli Wachowski.
Come nel primo episodio è il desiderio di vendetta a muovere i vari personaggi, ma questa volta il presente si lega (con un filo di ferro) al passato. Nell’irrazionalità del tutto la necessità di vendicarsi risveglia nel padre la sua natura originaria, assopita ma mai estinta. La natura è ciò che fonda e identifica, ci differenziamo dagli animali perché pensiamo il nostro pensiero, ma Taniguchi non è solo un uomo, è un’arma. Un’arma umana che vive d’istinto, come suo fratello.
Dal mio punto di vista Tetsuo II è un film così proiettato in avanti che ancora adesso, a distanza di diciassette anni, è quasi impossibile stargli dietro, caratteristica, quella di anticipare i tempi, ascrivibile solo ad una mente geniale. Consiglio allora di godersi le immagini frenetiche, convulse fino a togliere il respiro, e di non ricercare obbligatoriamente un sottotesto che credo ci sia, ma che è celato in un labirinto di ferro e ruggine in cui è meglio perdersi che ritrovarsi.
E ancora ferro, di nuovo, uguale e diverso.
Fili aggrovigliati, matasse inestricabili, tubi e metallo.
Quattro anni dopo Tetsuo (1989), Tsukamoto riprende con inaudita violenza il tema a lui così caro della trasformazione. Grazie ai proventi ottenuti con Hiruko the goblin (1991), il regista giapponese aumenta la qualità degli SFX che raggiungono un livello altissimo per essere un film del ’92. Inoltre abbandona quel b/n sgranato in favore di un allucinogeno blu slavato.
Non saprei dire con precisione cosa accade in Tetsuo II, il film corre più veloce della trama e della nostra percezione: quando finisce si è ancora a metà. Quello che ho potuto appena intuire è stato uno Tsukamoto tanto spietato, nel smembrare il figlio del protagonista, quanto visionario nella caratterizzazione dei personaggi, soprattutto quella dei villains che sembrano partoriti dalla mente dei fratelli Wachowski.
Come nel primo episodio è il desiderio di vendetta a muovere i vari personaggi, ma questa volta il presente si lega (con un filo di ferro) al passato. Nell’irrazionalità del tutto la necessità di vendicarsi risveglia nel padre la sua natura originaria, assopita ma mai estinta. La natura è ciò che fonda e identifica, ci differenziamo dagli animali perché pensiamo il nostro pensiero, ma Taniguchi non è solo un uomo, è un’arma. Un’arma umana che vive d’istinto, come suo fratello.
Dal mio punto di vista Tetsuo II è un film così proiettato in avanti che ancora adesso, a distanza di diciassette anni, è quasi impossibile stargli dietro, caratteristica, quella di anticipare i tempi, ascrivibile solo ad una mente geniale. Consiglio allora di godersi le immagini frenetiche, convulse fino a togliere il respiro, e di non ricercare obbligatoriamente un sottotesto che credo ci sia, ma che è celato in un labirinto di ferro e ruggine in cui è meglio perdersi che ritrovarsi.