Incuriosito dal titolo e
dalla locandina mi sono appropinquato alla visione di #Beings
(2015) senza sapere nulla del film né del regista Andrei Stefanescu,
a volte questa mosca cieca va bene, a volte male, molto male, per cui
nel caso ci fosse la remota possibilità che incappiate nell’opera
sotto esame passate prima di qua per sapere che #Beings è
semplicemente tremendo, in senso negativo, ovvio, e già dalla
traccia narrativa si può comprendere il disastro: si tratta di un
triangolo amoroso dove la lei della coppia soffre di attacchi
epilettici o robe simili e il lui sembra cadere spesso in trance
catatoniche, poi c’è l’amica che è un po’ in mezzo ai due
fuochi e che non sa che fare. Come sempre, in realtà, non è tanto
la materia affrontata quanto la relativa esposizione a pesare davvero
sulla riuscita complessiva, e allora a Stefanescu, regista rumeno qui
al secondo mediometraggio, mi permetto di dire che c’è ancora
parecchia strada da fare per potersi appropriare dello status di
autore, perché il regista pare punti direttamente a quello, #Beings
è infatti un oggetto ammantato da un tentato autorialismo che invece
squaderna traiettorie ancora da principiante, ritengo non sia affatto
sufficiente dilatare i tempi di ripresa per potersi sentire a posto
con la propria coscienza registica, lavorare di sottrazione non
significa trasformare il film in un asettico ghiacciolo o in un
guazzabuglio, sempre distaccato e freddo, di gente che sclera senza
un motivo e che straparla a caso.
Che poi #Beings
vada di sottrazione è vero fino ad un certo punto, perché ok la
non-azione, l’aridità dialogica e l’impressione di
un’essenzialità generale, ma va anche rimarcato che praticamente
dal primo all’ultimo minuto Stefanescu utilizza un costante (e
sfiancante) tappeto musicale tutto echi e riverberi che ha solo uno
scopo possibile, quello di intensificare ciò che invece sarebbe da
EEG orizzontale, e fa quasi tenerezza l’incapacità del regista nel
non riuscire a trasmettere le sensazioni che vorrebbe dare e il
susseguente ricorso all’aiutino della musica. Ma a parte ciò
mancano delle basi a #Beings, è un prodotto che non ha
minimamente la forza di trattenerci, è respingente, noioso,
dilettantesco nel ricercare un effetto drammatico un po’ weird che
poi, nei fatti, si traduce in un ridicolo involontario di cui ben
presto (già nel momento in cui la ragazza scappa da casa) ci si
stufa. Quando assisto a proiezioni del genere, oltre a maledire il
regista di turno che mi ha depredato di un tempo che non riceverò
mai indietro e che avrei potuto dedicare a suoi colleghi più
meritevoli, mi rendo conto di quanto sia difficile fare del buon
Cinema e che chi lo fa è un vero artista o qualunque altro
appellativo vogliate dargli, perché sono d’accordo sul fatto che
il digitale sia per forza il futuro, ma con il suo avvento ha fatto
sì che chiunque, imbracciata una videocamera, possa diventare un
“regista”, anche quando non se ne hanno le capacità.