Esattamente
dieci anni fa nasceva questo blog. Volevo pubblicare un post più
autocelebrativo ma non ci sono riuscito. A volte va così. Se mi
volto verso quel lontano
20 novembre 2007 rimango un po’ confuso, è
come se avessi la contrastante sensazione che oggi molte cose sono
cambiate anche se in fondo non è realmente cambiato niente,
d’altronde io sono sempre qua a scrivere con lo stesso computer di
allora, un obsoleto Compaq Presario che ha visto passare nei suoi
circuiti i peggiori virus in circolazione ma che comunque, non so
come, è ancora vivo ed è consolante che la lucina verde proveniente
dal case ha rischiarato, e continua a farlo tutt’ora, la mia
piccola stanza. Solo lo sfondo del desktop è mutato qualche volta a
causa delle disperate formattazioni dovute a chissà quale robaccia
infettante, adesso ho la foto di un paesaggio acquatico, non si
capisce se sia un lago o il mare, si vede sulla sinistra un
promontorio che finisce nell’acqua mentre a destra il sole tramonta
in un orizzonte gialloarancione, non so dove io abbia pescato questa
immagine dalla risoluzione così bassa, si notano dei pixel e c’è
una specie di nebbia dovuta alla scadente tessitura estetica, però
mi piacerebbe mostrarvela perché la trovo molto bella e anche molto
malinconica. Chi è cambiato, almeno in certi aspetti, sono io e le
persone che durante questi 120 mesi hanno orbitato intorno alla mia
vita così come io ho orbitato intorno alla loro, c’è chi,
indirettamente, è entrato tramite me in questo spazio virtuale per
poi uscirne lasciando dei residui che probabilmente non se ne
andranno mai. È triste pensare al passato ma sono dell’idea che
possiamo tirarci su considerandoci tanti piccoli satelliti che
passano l’esistenza a tracciare complicati cerchi, una volta giunti
alla fine non si può che ricominciare da capo.
Ho scritto
tanto, tantissimo, ma non me ne faccio di certo un vanto, e ho
visto/letto/ascoltato cose meravigliose che mi hanno formato
interiormente. Una volta una grande persona mi disse che aveva letto
un libro così bello che gli veniva difficile, dopo, rapportarsi con
l’umanità che stava intorno a lui. Sarà banale dirlo ma spesso
tutto sembra così buio: ti infili alla sera in un letto-sarcofago,
fai sogni dolorosi, ti alzi, inzuppi quei due o tre biscotti nel
latte, ti lavi le ascelle e i denti per mantenere un decoro, ti vesti
ed esci ad affrontare il mondo che una volta era l’università e
che poi si è trasformato nell’estenuante ricerca di un lavoro e
infine in una sottospecie di lavoro, poco è cambiato comunque: sei
sempre stato tu e gli altri. Con quante persone sei riuscito a
stabilire una connessione profonda, intima e totalizzante? Amicizia e
amore, quale è il loro peso nell’economia della tua giornata?
Della tua settimana? Dei mesi, degli anni, di una vita intera? La
prima immagine che si profila è questa: ci sono io che vado a zonzo
per la mia città in un tardo pomeriggio di inverno, indosso un
pesante montgomery blu e ho la faccia ficcata fino al naso nel bavero
della giacca, non fa troppo freddo e sono tempestato dai pensieri:
quando mi realizzerò? Quando avrò un posto fisso? Chi mi accetterà
per quello che sono? Riuscirò a comprarmi una casa prima o poi? Avrò
dei figli? Quanto è patetico farsi ’ste domande? Quella tipa
scoperebbe con me? Arrivo in stanza e guardo un film, provo a
scriverci qualcosa sopra, con grande fatica metto il punto finale e
realizzo che quando scrivo vorrei essere da tutt’altra parte e
quando sono da tutt’altra parte vorrei essere lì a scrivere.
È difficile
nascondere quell’impressione di solitudine che ci attornia, e mi
piace molto scoprire quali antidoti i miei simili utilizzano per
combattere questa guerra eterna, io, ventenne senza arte né parte,
aprii un blog, il motivo, andando a fondo, era solo questo: mi
sentivo solo. E adesso come mi sento? … dovrei porre questa domanda
a mio padre, ma non lo faccio mai. È invecchiato molto ed è pieno
di brutti acciacchi. I nostri genitori sono l’impietosa misura del
tempo che passa. Il primo ricordo che possiedo è con loro: ci
troviamo ad una specie di festa in periferia, in una zona collinare
che di notte si trasforma nell’alcova automobilistica delle
coppiette innamorate, c’è della gente che balla e che mangia, e io
sono davvero un bimbetto, avrò tre o quattro anni e i miei sembrano
dei giganti, me ne sto lì con la manina appoggiata sulla portiera
della Fiat Uno bianca, osservo, registro, frammenti di immagini mi si
piantano nel cervello e, dopo decenni, ritornano casualmente – o
forse no – ad esistere su queste pagine. Dopo quella macchina ci
sarà una Punto che ad oggi smarmitta ancora per strada, ma non lo
farà per molto, da qualche mese papà non guida più perché il
diabete gli sta oscurando la vista. Un tempo era lui a portarmi in
giro, adesso lo faccio io. Ecco una cosa che forse ho imparato in
questi dieci anni: cambiamenti, cambiamenti effettivi o apparenti,
cicli che si ripetono, che si aprono, che ti risucchiano per
riportarti all’inizio quando credevi di essere arrivato alla fine.
Spesso
nella quotidianità del vivere accadono cose a cui non diamo il
minimo peso ma che se ci soffermiamo un attimo sono davvero curiose.
È successo che nemmeno qualche mese fa sfogliavo un quotidiano e la
mia attenzione è svogliatamente caduta su un articolo riguardante
non ricordo più quale fumettista, le prime righe citavano la
Turritopsis
nutricula, che roba è la Turritopsis nutricula? Sono andato ad
informarmi e, per farla breve, si tratta di una medusa la cui
genetica le permette di essere praticamente immortale, una volta
giunta ad un dato stadio biologico se ne torna giù sul fondo
dell’oceano e si riconverte, inizia una nuova vita. Poi di recente
mi sono smarrito nelle terre disastrate di Antoine Volodine dove in
un suo libro firmato con l’eteronimo Manuela Draeger si narrano le
avventure di una simpatica elefantessa che ha la capcità di
rinnovare la propria esistenza a suo piacimento, Volodine spiega che
non vi sono chissà quali procedimenti fantascientifici,
semplicemente ad un certo punto il pachiderma entra in un tunnel
scuro e quando vi esce è ringiovanito, è sempre lei e non più lei
all’unisono. Noi purtroppo (o per fortuna) non abbiamo una
struttura chimica come quella delle meduse perenni né siamo i
personaggi di un romanzo post-esotico, però ciò che mi sento di
dire a cuore aperto è di tenere duro, la resistenza è l’azione
più alta che possiamo mettere in campo per fronteggiare i periodi
bui. Se non erro David Foster Wallace diceva che ogni fallimento può
trasformarsi in una vittoria, ed è questo l’unico modo che abbiamo
per poter rinascere di nuovo. Non vorrei sembrare il predicatore di
una qualche setta pseudo-filosofica ma resistere anche quando sembra
che ci sia solo della merda intorno, e state tranquilli, non sembra,
è esattamente così, è il solo spiraglio che lascia filtrare un po’
di ossigeno, e per farlo si può iniziare dalle piccole cose che ci
fanno stare bene: guardare dei film, darsi all’unicinetto, curare
le piante in giardino, non importa, per ricominciare davvero bisogna
soltanto partire da se stessi. Io, che ho una grande ambizione già
ribadita in passato: dissolvermi in un bicchiere d’acqua come
un’aspirina, sono ripartito più volte da oltre il fondo, anche se
non avevo niente di che, sai i problemi sono altri, che vuoi che sia,
ma dài, ma su, me ne sono scappato, ci sono tornato, in realtà non
me ne ero mai andato, e non lo farò nemmeno quando un giorno questo
luogo si sarà disgregato nell’etere. Da quaggiù lo dico con un
filo di voce, ascoltatemi per favore, perché io sono oltre il fondo:
buon compleanno vecchio me.
Hope
when it gets cold
‘Cause
my fear is that I’m getting old
Breathe
when it takes hold
To
start again