giovedì 2 novembre 2017

Olmo e il gabbiano

Petra Costa, brasiliana con alle spalle il lungometraggio Elena (2012), e Lea Glob, danese con non molta esperienza in campo registico (danese: c’è anche la Zentropa a finanziare), si incuneano nella vita di due attori teatrali residenti a Parigi, la modenese Olivia Corsini e il francese Serge Nicolai, che da anni sono una coppia anche fuori dal palco. La genesi di Olmo and the Seagull (2015) si situa dunque nell’incontro avvenuto in Brasile tra la Costa e Corsini-Nicolai, i quali, affascinati da Elena, decisero di buttare giù un progetto con la regista, progetto che inizialmente doveva ispirarsi a La signora Dalloway di Virginia Woolf, ma che, una volta sopraggiunta la gravidanza di Olivia, si è trasformato in qualcosa di maggiormente personale. Chiaro che la maternità è il centro del film e che la correlata tematizzazione ha un tatto femminile, delicato, capace di estromettere la controparte maschile che vediamo al massimo come un premuroso futuro papà senza però venire a conoscenza dei suoi dubbi e delle sue paure (ad esclusione di una rapida domanda postagli al party conclusivo). Quindi la dimensione muliebre che le registe propongono ha figura essenziale nella mente e nel corpo di Olivia Corsini, il ritratto che ne risulta, tempestato di ricordi, riflessioni e confessioni, è quasi una biografia sull’attrice italiana, un tableau vivant casalingo dove sia la donna che l’uomo, immersi fino a quel momento nel mondo-teatro, devono impegnarsi ad impersonificare il ruolo più difficile della loro vita: quello di essere se stessi.

Ma passiamo pure al comparto tecnico che più ci interessa, perché se è vero che ormai le storie proposte da qualunque forma d’arte non sono più in grado di stupire, è allora fondamentale trovare un metodo di trasmissione convincente, e quello di Costa & Glob rientra nei territori della docufiction. L’etichetta ossimorica esibisce il senso del film, per cui sì, abbiamo a che fare con un altro esemplare filmico che si prende l’onere di rappresentare l’elettrico contatto tra realtà e finzione. La traiettoria che si disegna davanti ai nostri occhi contempla movimenti ingannatori dove situazioni che toccano vertici di reale (la tesa discussione tra Olivia ed un rincasante Serge) vengono ribaltatate da coordinate che finzionalizzano la scena (l’ingresso vocale di una delle due nel quadro ripreso che dispensa consigli). Dunque c’è un continuo rimbalzare tra il vero ed il fittizio che per usare una consunta litote non è poi così male, vedibile senza strabuzzamenti oculari, né in negativo né in positivo, vieppiù poi che se ragioniamo sui due personaggi in scena e sulla professione che svolgono allora il discorso prende una piega quasi meta-esistenzialistica poiché ritroviamo due attori intenti a recitare la vita che vivono normalmente, insomma c’è una componente celebrale che si tramuta in riflessione artistica in grado di rinforzare l’aspetto concettuale dell’opera.

Tutte le sopraccitate informazioni che riguardano l’intima visione della dolce attesa da un punto d’osservazione femmineo, oltre al biopic di una brava attrice nostrana unito alla ludicità del canale comunicativo e ad un pensiero che pensa al ruolo attoriale nel cinema, fanno di Olmo e il gabbiano un prodotto che, in qualità di film para-narrativo, si è meritato la distribuzione italica in DVD per conto di Koch Media.

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