Petra Costa, brasiliana
con alle spalle il lungometraggio Elena (2012), e Lea Glob,
danese con non molta esperienza in campo registico (danese:
c’è anche la Zentropa a finanziare), si incuneano nella vita di
due attori teatrali residenti a Parigi, la modenese Olivia Corsini e
il francese Serge Nicolai, che da anni sono una coppia anche fuori
dal palco. La genesi di Olmo and the Seagull (2015) si situa
dunque nell’incontro avvenuto in Brasile tra la Costa e
Corsini-Nicolai, i quali, affascinati da Elena, decisero di
buttare giù un progetto con la regista, progetto che inizialmente
doveva ispirarsi a La signora Dalloway di Virginia Woolf, ma
che, una volta sopraggiunta la gravidanza di Olivia, si è trasformato
in qualcosa di maggiormente personale. Chiaro che la maternità è il
centro del film e che la correlata tematizzazione ha un tatto
femminile, delicato, capace di estromettere la controparte maschile
che vediamo al massimo come un premuroso futuro papà senza però
venire a conoscenza dei suoi dubbi e delle sue paure (ad esclusione
di una rapida domanda postagli al party conclusivo). Quindi la
dimensione muliebre che le registe propongono ha figura essenziale
nella mente e nel corpo di Olivia Corsini, il ritratto che ne
risulta, tempestato di ricordi, riflessioni e confessioni, è quasi
una biografia sull’attrice italiana, un tableau vivant
casalingo dove sia la donna che l’uomo, immersi fino a quel momento
nel mondo-teatro, devono impegnarsi ad impersonificare il ruolo più
difficile della loro vita: quello di essere se stessi.
Ma passiamo pure al
comparto tecnico che più ci interessa, perché se è vero che ormai
le storie proposte da qualunque forma d’arte non sono più in grado
di stupire, è allora fondamentale trovare un metodo di trasmissione
convincente, e quello di Costa & Glob rientra nei territori della
docufiction. L’etichetta ossimorica esibisce il senso del film, per
cui sì, abbiamo a che fare con un altro esemplare filmico che si
prende l’onere di rappresentare l’elettrico contatto tra realtà
e finzione. La traiettoria che si disegna davanti ai nostri occhi
contempla movimenti ingannatori dove situazioni che toccano vertici
di reale (la tesa discussione tra Olivia ed un rincasante Serge) vengono ribaltatate da coordinate che finzionalizzano la scena (l’ingresso
vocale di una delle due nel quadro ripreso che dispensa consigli).
Dunque c’è un continuo rimbalzare tra il vero ed il fittizio che
per usare una consunta litote non è poi così male, vedibile senza
strabuzzamenti oculari, né in negativo né in positivo, vieppiù poi
che se ragioniamo sui due personaggi in scena e sulla professione che
svolgono allora il discorso prende una piega quasi
meta-esistenzialistica poiché ritroviamo due attori intenti a
recitare la vita che vivono normalmente, insomma c’è una
componente celebrale che si tramuta in riflessione artistica in grado
di rinforzare l’aspetto concettuale dell’opera.
Tutte le
sopraccitate informazioni che riguardano l’intima visione della
dolce attesa da un punto d’osservazione femmineo, oltre al biopic di una
brava attrice nostrana unito alla ludicità del canale comunicativo e ad un
pensiero che pensa al ruolo attoriale nel cinema, fanno di Olmo e il gabbiano un prodotto che, in qualità di film para-narrativo, si è
meritato la distribuzione italica in DVD per conto di Koch Media.
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