Se ha senso e se
soprattutto si ha voglia di fare le pulci ad un titolo che non potrà
mai avere alcuna chance di visibilità, allora va subito detto che
Birlikte (2012) di Barış
Çorak si poggia su un duplice presupposto narrativo che
semina dubbi scaturenti dalle motivazioni che fanno casualmente
scontrare l’uomo e la donna. Sul primo, in particolare, si
addensano punti di domanda in merito al suo attaccamento alla pianta
che tiene in soggiorno e allo stratagemma messo in piedi per simulare un furto casalingo, non è che la necessità di capire sia così
impellente, tuttavia registrando un’atmosfera che oscilla tra reale
e surreale nel vedere il film attraverso una lente logica si
constata al massimo una piega stramba che con ogni probabilità cela
banalmente la necessità di trovare un pretesto per far salire il
tizio sulla sua moto. La vicenda della telegiornalista si costituisce
in un rapido preambolo in cui professa davanti alle telecamere una
decisa presa di coscienza sia professionale che personale, anche
qua i boh non mancano, magari si tratta di un messaggio nemmeno
troppo indiretto alla vera realtà della Turchia, o magari no, quel
che è certo è che avrebbe potuto asserire o fare qualunque altra cosa
durante la diretta che non sarebbe cambiato il prosieguo della
sceneggiatura con l’incidente e quello che ne segue, idem quindi
per il personaggio maschile che trasporta quella pianta con la moto
sebbene avrebbe potuto esserci qualsiasi altro oggetto (sì, c’è
un debole richiamo verso la fine, e no, non è abbastanza).
Da premesse traballanti
non poteva svilupparsi nulla di solido. Assistiamo ai minuti
conclusivi che sarebbero la trasposizione di un possibile limbo
comatoso dove i due si sfiorano (“birlikte” significa proprio
“insieme”), anche se forse con i fluttuanti brandelli di plastica
che aprono la proiezione l’incontro era metaforicamente già
avvenuto (Plastic Bag [2009] mi ritorni in mente…), e il
finale è una conferma dato che solo uno dei due lembi continuerà
l’incerto volo, ad ogni modo si spinge su questa ipotetica unione
(rafforzata dalla vicinanza ospedaliera) e lo si fa nella cornice
interstiziale della collina dove Birlikte vorrebbe giungere ad
un picco di intensità emotiva con ralenti e accompagnamenti
musicali che trasformano il tutto in un videoclip di una qualche band
post-rock. E ci riesce Çorak
a provocare emozioni? Domanda pleonastica, al giovane regista
turco mi sento di dire che non è sufficiente una suggestiva
immissione sonora condita da slanci onirici (chi sono le altre
persone che si trovano in quel luogo? Altre anime in bilico?) per
toccare la sensibilità spettatoriale, ci vuole dell’altro che io
non so perché non sono niente, ma è altro che quando lo si
vede, semplicemente, abbacina, e qui non vi è niente di ammaliante.
(gradevole, però, il
modo in cui Çorak mostra come
la donna ritornerà alla vita)