mercoledì 14 settembre 2022

Ascent

Un foto-film, tale è l’accezione fornita da Fiona Tan alla sua opera che, tradotto per voi lettori, significa una messa in sequenza di fotografie debitamente accompagnate da un coerente comparto sonoro. La Tan, un’artista metà cinese e metà australiana prestata al cinema giusto per Ascent (2016) e per pochi altri titoli, non inventa niente al punto che, rispetto ad altre recensioni lette, il sottoscritto non se la sente di catalogare il suddetto esemplare come “sperimentale”, ciò non deprezza il film che, anzi, si distingue per raffinatezza e profondità argomentativa. La lunga serie di istantanee ha come assoluto protagonista il monte Fuji, magari non in tutte ma nella quasi totalità il famoso vulcano è sempre impresso sulle diapositive, non si contano le angolazioni, le modalità (da scatti professionali a immagini da rullino di un iPhone) e i periodi (dal lontano passato al presente) in cui la montagna è stata colta, si conta, invece, la meraviglia estetica di alcune vedute che forse, al di là di una bellezza insindacabile, è implementata dall’organizzazione narrativa scelta dalla regista, Ascent è infatti un dialogo che si protrae dall’inizio alla fine tra una donna che parla inglese ed il suo partner giapponese ora deceduto che racconta, tra le varie cose, della personale scalata sul Fuji. La struttura è di quelle epistolari con una voce (/lingua) che si alterna all’altra toccando una varietà di temi in equilibrio tra l’intimità della perdita definitiva e la vastità del mondo, artistico, sociale, politico circostante. Tecnicamente val la pena chiedersi se un metodo che si avvale solo del concatenarsi di frammenti riesce a conservare la tipica fluidità del cinema, e la risposta che mi do è affermativa, complici gli effetti sonori la percezione che si ha del falso movimento in video è di uno scorrimento, di un andare, di un fuoriuscire.

Ascent elabora o comunque tratta in maniera malinconica una materia abissale come il lutto, però la portata a disposizione dello spettatore non si esaurisce nel legame tra lui e lei, in realtà c’è un lato che potremmo definire alla lontana documentaristico dove viene compiuto un vero e proprio excursus sul Giappone ponendo il monte Fuji al centro di ogni dissertazione, quindi, oltre ad essere visivamente il nodo della pellicola, il rilievo è anche la stella concettuale che attrae a sé una gamma di esplorazioni dal carattere storico: folklore tradizionale, storia della fotografia, storia contemporanea (pensate: durante l’occupazione americana nei film nipponici il monte Fuji veniva oscurato perché ritenuto un simbolo troppo patriottico), è chiaro, per noi esterni, che l’importanza di questa cima non sia soltanto orografica, c’è una grana spirituale, un catalizzatore di energie, un Olimpo non Mediterraneo, insomma, il peso semantico che Fiona Tan dona al monte Fuji è di molto superiore a quello che gli si potrebbe dare guardando distrattamente la cartina. Nell’idea di una trascendenza terrena si potrebbe quasi interpretare la salita verso la vetta di Hiroshi come un’ascesa diretta ad una dimensione più alta: a un aldilà. Capirete allora di quali potenziali e perlustrabili aperture è fornito Ascent, un elegante oggetto che si rende cinema pur non avendone gli abituali connotati, che sa percorrere con poesia un’arteria sentimentale collocata nel sistema circolatorio di un Paese tra l’ieri e l’oggi, che fa riverberare echi di fragile umanità in un orizzonte enorme e indescrivibile. Promosso.