sabato 11 giugno 2022

Triokala

Leandro Picarella è un regista molto legato alla sua terra d’origine perché stando alla scheda che lo riguarda su CinemaItaliano.info (link) la Sicilia è al centro di ogni progetto filmico, di conseguenza anche e soprattutto Triokala (2015) ci racconta qualcosa di questa splendida isola, tuttavia si profila da subito un però: però non sembra nemmeno di essere in Sicilia, almeno non nell’idea superficialmente turistica che se ne ha, il punto è che, se non si sentisse il dialetto degli abitanti, potremmo tranquillamente essere su un paesino delle Alpi, il motivo è dovuto al fatto che Picarella ha scelto come set Caltabellotta, un agglomerato di case in provincia di Agrigento (Triokala è l’antico nome in greco) situato a quasi mille (!) metri sul livello del mare. Per cui si verifica un disorientamento per così dire geografico che ci fa dire: dove siamo? E che per di più si accentua grazie ad un approccio molto meditativo dove il regista punta forte sia sulle componenti naturalistiche del luogo che su quelle umane, difatti Triokala è un documentario dai confini labili che con approccio ieratico riprende allo stesso modo delle nuvole rigonfie di pioggia o un gruppo di persone intente a raccogliere le olive. Nel fluire di un tempo che sa farsi sospeso come probabilmente accade da sempre in un posto del genere, Picarella diventa un’entità che si aggira tra la nebbia, che contempla gli orizzonti invernali, che coglie la quotidianità paesana, il procedimento, ne converrete, non è considerabile come una ventata d’aria fresca però non si può evitare di subire una fascinazione per certi mondi trasmessi con un tale, magnetico, rigore.

Idealmente Triokala è una discesa dal tragitto circolare che arriva e poi di nuovo si immette nel medesimo cielo. Nel viaggio terrestre segnato da un progressivo avvicinamento alle forme di vita che lì vi dimorano (si parte da un brulichio di insetti), traspira dalla bruma delle montagne un’attenzione particolare ad una dimensione spirituale che silenziosa aleggia, un mix di ritualità e credenze ataviche che sostanziano il cuore dell’opera. Nell’ibridazione di protocollo che il documentario subisce si manifesta una tensione verso dell’indefinita trascendenza, non è solo religione e non è solo tradizione, è sentimento popolare che si ripropone primigenio sotto spoglie diverse (lo sciamano del Paese che cura i malanni dei concittadini bollendo serpenti vivi in un pentolone; la vecchietta che in casa scaccia via gli spiriti maligni con un rametto) ricondotte da Picarella in un finale catartico dove per la prima volta, dopo aver dato del tu ad aria, acqua e terra, facciamo conoscenza con l’elemento del fuoco. L’inafferrabile essenza di una realtà che custodisce ricordi ancestrali all’interno di un’ordinarietà come tante (comunque vediamo gente al bar che gioca a carte e contadini impegnati nei loro lavori) è un po’ il mistero principe dell’esistenza che si ripete chiaroscura lontana dalla costa e che sicuramente Picarella ha colto con buoni intenti e relativa concretezza, se però posso fare un appunto credo che negli ultimi anni ci sia stata nel cinema italiano, almeno quello che si avvale dello stesso dispositivo di Triokala, una “moda” frammartiniana che non ha permesso di far avanzare granché il discorso intorno al metodo, va bene il folklore, va bene la ricerca sul reale, vanno bene le sfumature teologiche, escatologiche, ecc., ma penso si debba e si possa osare maggiormente, sperimentare, sperimentare e ancora sperimentare: forza!