Mariola, ragazza acqua e sapone che condivide una stanza con altre due amiche nella provincia polacca, affida le speranze di una vita migliore al suo ragazzo Artur che vuole portarla in Germania per farle conoscere i genitori. Arrivati nella notte a Berlino per la ragazza il sogno diventa incubo.
Produzione interculturale: Franco de Peña, nato a Caracas ma dall’87 polacco d’adozione, voleva originariamente girare il film in Germania, tuttavia la mancanza di fondi lo costrinse a spostarsi nel piccolo Lussemburgo in cui vennero effettuate la maggior parte delle riprese. Di tale melting pot geografico ne è specchio il linguaggio dove i dialoghi sono in tedesco, polacco e inglese. Questa varietà linguistica fu controproducente perché il film venne squalificato nella sezione Oscar al miglior film straniero in quanto venne ritenuto che non vi fosse un sufficiente contributo creativo da parte del Lussemburgo per soddisfare i requisiti richiesti.
Orbene, trattasi qui un tema vecchio come il mondo si direbbe: la prostituzione. O meglio, le vigliacche manfrine che trascinano una ragazza a prostituirsi e la conseguente distruzione psicologica che siffatta condizione comporta.
L’argomento, giustamente, non parrà ai vostri occhi d’estrema originalità, conta di più allora come tale viene proposto, cosa ha da dire e come lo dice.
Fondamentalmente non ci sono pecche clamorose da additare perché la storia sebbene dotata di una certa prevedibilità di fondo si esprime con fluidità facendosi seguire con interesse se non proprio vivo almeno lontano dalla noia. Il processo di spersonalizzazione di Mariola risulta abbastanza credibile, anche se in alcuni frangenti si poteva a mio parere calcare più la mano. Nel complesso, quando alla domanda “chi sei” e la ragazza risponde Justine non viene da storcere troppo la bocca, l’identità frantumata viene accettata dallo spettatore senza ricorrere alla sospensione dell’incredulità.
La vicenda suggerisce drammaticità senza sprigionarla, è tutto un po’ troppo “pulito” per riuscire a far parlare di sé. Ciò è dovuto anche ad una veste estetica che possiede qualche reminiscenza telefilmistica dovuta ad una rilevante rigidità globale degli ambienti che si percepiscono finti, in particolare l’appartamento dove Mariola viene imprigionata, e degli attori quasi tutti con una lunga carriera televisiva alle spalle.
Fortunatamente la favoletta del classico anello debole nella catena dei cattivi che qui prende le fattezze di Niko, un cresciuto e quasi irriconoscibile Arno Frisch, diabolico ragazzino di Benny’s Video (1992), viene smentita, sempre con un discreto range di predizione, dopo la fuga dalla casa. Quello che sembrava il salvatore si dimostra come gli altri: un uomo vile che finge di essersi preso a cuore il destino di Mariola, mentre invece l’unica cosa che davvero gli interessa sono i soldi, e la possibilità di accumularne sfruttando la ragazza tutta per sé.
Your Name Is Justine è un film che potenzialmente poteva essere per pochi. Dato il tema, però, è quasi un bene che sia fruibile da un pubblico più vasto. Saranno situazioni, figure e paure già viste sullo schermo, questo sì, tuttavia ripeterle non farà del male, al contrario, nel suo piccolo aiuta a conoscerlo, il male.
Produzione interculturale: Franco de Peña, nato a Caracas ma dall’87 polacco d’adozione, voleva originariamente girare il film in Germania, tuttavia la mancanza di fondi lo costrinse a spostarsi nel piccolo Lussemburgo in cui vennero effettuate la maggior parte delle riprese. Di tale melting pot geografico ne è specchio il linguaggio dove i dialoghi sono in tedesco, polacco e inglese. Questa varietà linguistica fu controproducente perché il film venne squalificato nella sezione Oscar al miglior film straniero in quanto venne ritenuto che non vi fosse un sufficiente contributo creativo da parte del Lussemburgo per soddisfare i requisiti richiesti.
Orbene, trattasi qui un tema vecchio come il mondo si direbbe: la prostituzione. O meglio, le vigliacche manfrine che trascinano una ragazza a prostituirsi e la conseguente distruzione psicologica che siffatta condizione comporta.
L’argomento, giustamente, non parrà ai vostri occhi d’estrema originalità, conta di più allora come tale viene proposto, cosa ha da dire e come lo dice.
Fondamentalmente non ci sono pecche clamorose da additare perché la storia sebbene dotata di una certa prevedibilità di fondo si esprime con fluidità facendosi seguire con interesse se non proprio vivo almeno lontano dalla noia. Il processo di spersonalizzazione di Mariola risulta abbastanza credibile, anche se in alcuni frangenti si poteva a mio parere calcare più la mano. Nel complesso, quando alla domanda “chi sei” e la ragazza risponde Justine non viene da storcere troppo la bocca, l’identità frantumata viene accettata dallo spettatore senza ricorrere alla sospensione dell’incredulità.
La vicenda suggerisce drammaticità senza sprigionarla, è tutto un po’ troppo “pulito” per riuscire a far parlare di sé. Ciò è dovuto anche ad una veste estetica che possiede qualche reminiscenza telefilmistica dovuta ad una rilevante rigidità globale degli ambienti che si percepiscono finti, in particolare l’appartamento dove Mariola viene imprigionata, e degli attori quasi tutti con una lunga carriera televisiva alle spalle.
Fortunatamente la favoletta del classico anello debole nella catena dei cattivi che qui prende le fattezze di Niko, un cresciuto e quasi irriconoscibile Arno Frisch, diabolico ragazzino di Benny’s Video (1992), viene smentita, sempre con un discreto range di predizione, dopo la fuga dalla casa. Quello che sembrava il salvatore si dimostra come gli altri: un uomo vile che finge di essersi preso a cuore il destino di Mariola, mentre invece l’unica cosa che davvero gli interessa sono i soldi, e la possibilità di accumularne sfruttando la ragazza tutta per sé.
Your Name Is Justine è un film che potenzialmente poteva essere per pochi. Dato il tema, però, è quasi un bene che sia fruibile da un pubblico più vasto. Saranno situazioni, figure e paure già viste sullo schermo, questo sì, tuttavia ripeterle non farà del male, al contrario, nel suo piccolo aiuta a conoscerlo, il male.