Mmm, riconosco che un film del genere non rientra appieno nella linea editoriale del blog (qui si fa sul serio oh), ma mi sembrava giusto per completezza d’informazione, e per semplice curiosità personale, dare un’occhiata all’adattamento cinematografico de Gli amanti (Longanesi & C., 1965), romanzo scritto da Evan Hunter che qui si occupa della sceneggiatura.
Della trama ho già scritto nella recensione del libro e quindi non mi ripeterò.
Opportuno, allora, sottolineare cosa c’è di uguale e cosa di diverso rispetto al testo.
Innanzi tutto i nomi. Alcuni sono uguali, Larry e Maggie, altri cambiano come il marito di Margaret o il figlio minore del protagonista. Cambiano anche alcune scene, come la festa organizzata da Eve a cui partecipa Maggie mentre nel libro ciò non accadeva. Ma soprattutto muta il finale che nel romanzo con la sua catarsi dava un tocco di drammaticità inaspettato alla vicenda, mentre nel film è molto più morbido e di conseguenza meno incisivo.
Restano pressoché immutati alcuni dialoghi, ed è bello ri-sentire qualcosa che si è letto in passato, significa che da qualche parte era rimasto.
Probabilmente la differenza più significativa è situata nelle dinamiche relazionali che coinvolgono i protagonisti. Se nel libro una relazione extraconiugale metteva a nudo le “felici” coppiette di Pinecrest Manor, nel film è tutto più all’acqua di rose. Il rapporto fedifrago c’è, ma la solida rete di personaggi secondari presente nel testo sulla pellicola perde aplomb, con buona pace di Felix Anders che sulle pagine è una vera carogna, mentre sullo schermo fa un po’ la figura dello scemo.
Ma le similitudini libro/film servono fino ad un certo punto nel giudicare una pellicola. Se qui si tratta un film, allora è giusto parlare solo di esso. E dunque: l’impostazione del cinema americano classico c’è tutta, negli ambienti chiusi le posture dei soggetti, gli angoli di ripresa e i movimenti di macchina che rifuggono campi-controcampi, trasmettono una forte sensazione di teatralità difficile da riscontrare al giorno d’oggi. Al pari della dissolvenza incrociata che viene utilizzata ogni qual volta vi è il passaggio da un blocco narrativo all’altro.
La scelta di affidare a Kirk Douglas – incredibile come in certe espressioni sia identico a suo figlio – il ruolo di Larry non mi ha convinto del tutto per via dell’età, un po’ matura trattandosi di un giovane architetto. Il ruolo di Maggie è delicatissimo e Kim Novak non riesce a coglierne appieno l’essenza, almeno non come me l’ero immaginata io leggendo il libro.
Ottima Barbara Rush nel ruolo di Eve che vale la pena ricordare nella scena in cui s’inginocchia implorante ai piedi del marito.
Oldies almost goldies.
Della trama ho già scritto nella recensione del libro e quindi non mi ripeterò.
Opportuno, allora, sottolineare cosa c’è di uguale e cosa di diverso rispetto al testo.
Innanzi tutto i nomi. Alcuni sono uguali, Larry e Maggie, altri cambiano come il marito di Margaret o il figlio minore del protagonista. Cambiano anche alcune scene, come la festa organizzata da Eve a cui partecipa Maggie mentre nel libro ciò non accadeva. Ma soprattutto muta il finale che nel romanzo con la sua catarsi dava un tocco di drammaticità inaspettato alla vicenda, mentre nel film è molto più morbido e di conseguenza meno incisivo.
Restano pressoché immutati alcuni dialoghi, ed è bello ri-sentire qualcosa che si è letto in passato, significa che da qualche parte era rimasto.
Probabilmente la differenza più significativa è situata nelle dinamiche relazionali che coinvolgono i protagonisti. Se nel libro una relazione extraconiugale metteva a nudo le “felici” coppiette di Pinecrest Manor, nel film è tutto più all’acqua di rose. Il rapporto fedifrago c’è, ma la solida rete di personaggi secondari presente nel testo sulla pellicola perde aplomb, con buona pace di Felix Anders che sulle pagine è una vera carogna, mentre sullo schermo fa un po’ la figura dello scemo.
Ma le similitudini libro/film servono fino ad un certo punto nel giudicare una pellicola. Se qui si tratta un film, allora è giusto parlare solo di esso. E dunque: l’impostazione del cinema americano classico c’è tutta, negli ambienti chiusi le posture dei soggetti, gli angoli di ripresa e i movimenti di macchina che rifuggono campi-controcampi, trasmettono una forte sensazione di teatralità difficile da riscontrare al giorno d’oggi. Al pari della dissolvenza incrociata che viene utilizzata ogni qual volta vi è il passaggio da un blocco narrativo all’altro.
La scelta di affidare a Kirk Douglas – incredibile come in certe espressioni sia identico a suo figlio – il ruolo di Larry non mi ha convinto del tutto per via dell’età, un po’ matura trattandosi di un giovane architetto. Il ruolo di Maggie è delicatissimo e Kim Novak non riesce a coglierne appieno l’essenza, almeno non come me l’ero immaginata io leggendo il libro.
Ottima Barbara Rush nel ruolo di Eve che vale la pena ricordare nella scena in cui s’inginocchia implorante ai piedi del marito.
Oldies almost goldies.
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