E ora da dove parto?
Ci devo pensare bene perché l’inizio di una recensione ha il compito di invogliare il lettore a seguire il flusso dei miei pensieri divenuti parole.
Potrei partire dicendo che The Kingdom è una gran bella storia, che mi è piaciuta e blabla, ma sarebbe così maledettamente banale… Allora potrei snocciolare qualche dato, tipo che la serie è stata girata nel ’94 e che Lars von Trier l’ha scritta insieme a Niels Vorsel, ma sai che noia?
Così avevo pensato a qualche frase d’effetto, come quella d’apertura: ”Il suolo sotto l’ospedale del regno anticamente era una palude dove i tintori venivano a inumidire i loro grandi teli. “, o quella che esce dalla bocca del regista alla fine di ogni episodio: “…e ricordate la vita è fatta di due semplici cose: il bene e il male.” Ma non ne sono molto convinto, sarà che tali frasi estrapolate dal contesto arrivano scariche su questo sfondo nero.
E allora inizierò da un’immagine, questa:
Lo so, non vi dice nulla, ma quella breve sequenza in cui la signora Drusse cerca di stabilire un contatto con lo spirito tramite la donna in fin di vita, mi ha colpito molto perché è una scena dinamica anche se ambientata in una piccola stanza. E quindi ho deciso, finalmente, da dove inizierò: dal movimento.
Perdonatemi la similitudine, ma vedere The Kingdom è come stare sul letto di un fiume secco, nel buio della notte, e avvertire in lontananza il gorgoglio dell’acqua, tremando nella paura di una piena improvvisa, avvertendo un movimento lontano, centrifugo. In fondo quasi tutte le riprese si svolgono all’interno dell’ospedale, eppure la storia è movimentata, frizzante, energica. Questo perché Von Trier, a differenza della trilogia E, si concentra finalmente più su quello che racconta che su come lo fa, e noi ringraziamo. Questo non significa che esteticamente Il Regno sia un prodotto dozzinale, assolutamente no, l’atmosfera malsana della struttura trasuda trierità da tutte le pareti, piccolo esempio:
Ma come detto, ‘sta volta il regista danese s’impegna di brutto anche nella sceneggiatura, e di questo si è tutti un po’ più felici. Che poi, pensando all’assunto su cui si muove il film, ci si rende conto di come non sia granché originale la storia di una bambina uccisa nel passato il cui spirito infesta un ospedale di Copenhagen, praticamente la trama di mille altre ghost-story. Ma a differenza di quest’ultime, Von Trier fa una cosa molto intelligente: usa l’ironia. Guccini la definirebbe tragica, perché in effetti si ride amaramente di questi dottori che in fondo sono dei miserabili, parafrasando Pratolini mi verrebbe da dire “cronache di poveri dottori”. E forse la vera forza di The Kingdom, e un po’ di tutte le serie ambientate negli ospedali, è quella di poter sbirciare le relazioni che i vari personaggi intessono, capendo così che sotto il camice ci sono personalità opposte all’austera professione che svolgono.
Il personaggio di Stig Helmer è l’esempio principe di ciò che vado dicendo.
A prima vista sembra il dottore più professionale all’interno del Regno, tanto restio alle buffe usanze della Loggia, quanto adirato nei confronti della sanità danese. Invece, si scopre essere uno dei personaggi più subdoli, pronto ad insabbiare i documenti di un’operazione andata male e di suggerire un trapianto d’intestino quantomeno deprecabile dal punto di vista etico.
Ecco, nel suo caso si ha un ribaltamento della percezione. All’inizio si pensa che sia così e poi si scopre che è cosà, ma il passaggio avviene solo attraverso la rete di relazioni, di incontri e scontri che lo riguardano. E questo accade anche per gli altri attori, creando una ragnatela in cui rimanere intrappolati è un vero e proprio piacere.
Delle cose da dire che non sarebbero poche, mi preme sottolineare il contrasto evidente tra la scienza e la magia. Il comportamento dei dottori che anestetizzano il paziente con l’ipnosi (fissazione di Trier), che credono ai riti voodoo haitiani o che partecipano di buon grado ad un esorcismo, stride un tantino con il Giuramento di Ippocrate. Sottile polemica nei confronti della sanità da parte del regista, o prova del fatto che il Regno sarebbe un luogo in bilico fra due mondi? Chissà…
L’ultima puntata della serie è un piccolo capolavoro di ritmo e comicità. La visita del Ministro è esilarante, il giusto coronamento di una vicenda che ha come ciliegina sulla torta la testa urlante di Udo Kier che sbuca da una vagina insanguinata. Spettacolo puro!
Nel 1997 è uscito The Kingdom 2.
Ci devo pensare bene perché l’inizio di una recensione ha il compito di invogliare il lettore a seguire il flusso dei miei pensieri divenuti parole.
Potrei partire dicendo che The Kingdom è una gran bella storia, che mi è piaciuta e blabla, ma sarebbe così maledettamente banale… Allora potrei snocciolare qualche dato, tipo che la serie è stata girata nel ’94 e che Lars von Trier l’ha scritta insieme a Niels Vorsel, ma sai che noia?
Così avevo pensato a qualche frase d’effetto, come quella d’apertura: ”Il suolo sotto l’ospedale del regno anticamente era una palude dove i tintori venivano a inumidire i loro grandi teli. “, o quella che esce dalla bocca del regista alla fine di ogni episodio: “…e ricordate la vita è fatta di due semplici cose: il bene e il male.” Ma non ne sono molto convinto, sarà che tali frasi estrapolate dal contesto arrivano scariche su questo sfondo nero.
E allora inizierò da un’immagine, questa:
Lo so, non vi dice nulla, ma quella breve sequenza in cui la signora Drusse cerca di stabilire un contatto con lo spirito tramite la donna in fin di vita, mi ha colpito molto perché è una scena dinamica anche se ambientata in una piccola stanza. E quindi ho deciso, finalmente, da dove inizierò: dal movimento.
Perdonatemi la similitudine, ma vedere The Kingdom è come stare sul letto di un fiume secco, nel buio della notte, e avvertire in lontananza il gorgoglio dell’acqua, tremando nella paura di una piena improvvisa, avvertendo un movimento lontano, centrifugo. In fondo quasi tutte le riprese si svolgono all’interno dell’ospedale, eppure la storia è movimentata, frizzante, energica. Questo perché Von Trier, a differenza della trilogia E, si concentra finalmente più su quello che racconta che su come lo fa, e noi ringraziamo. Questo non significa che esteticamente Il Regno sia un prodotto dozzinale, assolutamente no, l’atmosfera malsana della struttura trasuda trierità da tutte le pareti, piccolo esempio:
Ma come detto, ‘sta volta il regista danese s’impegna di brutto anche nella sceneggiatura, e di questo si è tutti un po’ più felici. Che poi, pensando all’assunto su cui si muove il film, ci si rende conto di come non sia granché originale la storia di una bambina uccisa nel passato il cui spirito infesta un ospedale di Copenhagen, praticamente la trama di mille altre ghost-story. Ma a differenza di quest’ultime, Von Trier fa una cosa molto intelligente: usa l’ironia. Guccini la definirebbe tragica, perché in effetti si ride amaramente di questi dottori che in fondo sono dei miserabili, parafrasando Pratolini mi verrebbe da dire “cronache di poveri dottori”. E forse la vera forza di The Kingdom, e un po’ di tutte le serie ambientate negli ospedali, è quella di poter sbirciare le relazioni che i vari personaggi intessono, capendo così che sotto il camice ci sono personalità opposte all’austera professione che svolgono.
Il personaggio di Stig Helmer è l’esempio principe di ciò che vado dicendo.
A prima vista sembra il dottore più professionale all’interno del Regno, tanto restio alle buffe usanze della Loggia, quanto adirato nei confronti della sanità danese. Invece, si scopre essere uno dei personaggi più subdoli, pronto ad insabbiare i documenti di un’operazione andata male e di suggerire un trapianto d’intestino quantomeno deprecabile dal punto di vista etico.
Ecco, nel suo caso si ha un ribaltamento della percezione. All’inizio si pensa che sia così e poi si scopre che è cosà, ma il passaggio avviene solo attraverso la rete di relazioni, di incontri e scontri che lo riguardano. E questo accade anche per gli altri attori, creando una ragnatela in cui rimanere intrappolati è un vero e proprio piacere.
Delle cose da dire che non sarebbero poche, mi preme sottolineare il contrasto evidente tra la scienza e la magia. Il comportamento dei dottori che anestetizzano il paziente con l’ipnosi (fissazione di Trier), che credono ai riti voodoo haitiani o che partecipano di buon grado ad un esorcismo, stride un tantino con il Giuramento di Ippocrate. Sottile polemica nei confronti della sanità da parte del regista, o prova del fatto che il Regno sarebbe un luogo in bilico fra due mondi? Chissà…
L’ultima puntata della serie è un piccolo capolavoro di ritmo e comicità. La visita del Ministro è esilarante, il giusto coronamento di una vicenda che ha come ciliegina sulla torta la testa urlante di Udo Kier che sbuca da una vagina insanguinata. Spettacolo puro!
Nel 1997 è uscito The Kingdom 2.
Bella recensione.
RispondiEliminaCe l'ho videoregistrato da secoli - devo davvero decidermi a vederlo.
GUARDALO! :p
RispondiEliminaé_è dovevi proprio postare quell'immagine che è stata a lungo causa dei miei peggiori incubi!
RispondiElimina^____^
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