Caro Reygadas,
non ci siamo. E te lo dico così, a tu per tu, anche se non mi leggerai mai. Te lo dico che Battaglia nel cielo non mi è piaciuto, e ripeto che così non va, ma non è che non va solo il film, non vanno altre cose, più grandi di me, e credo di noi.
Vedi Carlos, ho studiato che tutto può diventare arte se provvisto della relativa aura. Cos’è l’aura ti chiederai? Tutto e niente, rispondo io. È il critico saccente che dichiara o meno la validità artistica di un oggetto, è l’esposizione nella sala principale alla mostra più avveniristica. Ed è anche, come nel tuo caso, lo scroscio di un applauso lungo dieci minuti al Festival di Cannes del 2005. Tac! Ecco che si crea l’aura intorno a Battaglia nel cielo grazie al “popolo” della croisette, mica di un qualche plesso cinematografico periferico o della rassegna di stopardipalle, no, Festival di Cannes: tappeti rossi, luci soffuse in riva al mare, palme dorate che svettano. L’aura si gonfia. C’avranno ragione, penso. Però non mi fido.
E allora succede che in pratica è come se vedessi L’orinatoio di Duchamp. Non capisco, mi mancano le conoscenze, credo… spero. Io ci vedo solo un pisciatoio, non una delle opere più importante del ‘900. Sì, devono mancarmi le competenze.
Ma non è che voglio paragonare il tuo film ad un’opera d’arte, cioè voglio farlo ma su un piano concettuale, capisci no?
Allora, Carlos, potrai dire che anche in questo campo mi mancano le conoscenze giuste, e qui ci starebbe un bel “ma”, per cui: “ma io ho visto tanti film e quindi ci capisco qualcosa”. Lo risparmierò a tutti anche perché sulla veridicità di questo enunciato ho dei seri dubbi. Ti chiederò, invece, perché vestire così il film? L’abito, no? Ciò che copre, che cela. Cosa c’è sotto? Il dramma di un uomo. Me ne sto. Cosa c’è sopra? Una pellicola di cellophane che vuole dare un tono alla pellicola tout court. Non me ne sto. È solo una sottilissima membrana, così fragile, inutile. Un tono distaccato, di matrice hanekiana, freddo, statico, immobile. Al regista austriaco riesce, a te no. Non chiedermi il motivo perché non ho le conoscenze, te l’ho detto, è una percezione che sta ben lontana dal cervello, probabilmente naviga nella pancia, in una zona franca a due passi dall’istinto. Istintivamente il tuo film non mi ha “parlato”, è afono, inebetito. È solo un film, gente che recita davanti ad una macchina da presa, non c’è storia dietro, non ho visto niente oltre, solo un coso in cui pisciare.
Già, una pellicola anestetizzata dal modo in cui è girata, e non basta neanche un pompino (con fallo finto, suppongo) come prologo ed epilogo della storia per andare un po’ più in là.
non ci siamo. E te lo dico così, a tu per tu, anche se non mi leggerai mai. Te lo dico che Battaglia nel cielo non mi è piaciuto, e ripeto che così non va, ma non è che non va solo il film, non vanno altre cose, più grandi di me, e credo di noi.
Vedi Carlos, ho studiato che tutto può diventare arte se provvisto della relativa aura. Cos’è l’aura ti chiederai? Tutto e niente, rispondo io. È il critico saccente che dichiara o meno la validità artistica di un oggetto, è l’esposizione nella sala principale alla mostra più avveniristica. Ed è anche, come nel tuo caso, lo scroscio di un applauso lungo dieci minuti al Festival di Cannes del 2005. Tac! Ecco che si crea l’aura intorno a Battaglia nel cielo grazie al “popolo” della croisette, mica di un qualche plesso cinematografico periferico o della rassegna di stopardipalle, no, Festival di Cannes: tappeti rossi, luci soffuse in riva al mare, palme dorate che svettano. L’aura si gonfia. C’avranno ragione, penso. Però non mi fido.
E allora succede che in pratica è come se vedessi L’orinatoio di Duchamp. Non capisco, mi mancano le conoscenze, credo… spero. Io ci vedo solo un pisciatoio, non una delle opere più importante del ‘900. Sì, devono mancarmi le competenze.
Ma non è che voglio paragonare il tuo film ad un’opera d’arte, cioè voglio farlo ma su un piano concettuale, capisci no?
Allora, Carlos, potrai dire che anche in questo campo mi mancano le conoscenze giuste, e qui ci starebbe un bel “ma”, per cui: “ma io ho visto tanti film e quindi ci capisco qualcosa”. Lo risparmierò a tutti anche perché sulla veridicità di questo enunciato ho dei seri dubbi. Ti chiederò, invece, perché vestire così il film? L’abito, no? Ciò che copre, che cela. Cosa c’è sotto? Il dramma di un uomo. Me ne sto. Cosa c’è sopra? Una pellicola di cellophane che vuole dare un tono alla pellicola tout court. Non me ne sto. È solo una sottilissima membrana, così fragile, inutile. Un tono distaccato, di matrice hanekiana, freddo, statico, immobile. Al regista austriaco riesce, a te no. Non chiedermi il motivo perché non ho le conoscenze, te l’ho detto, è una percezione che sta ben lontana dal cervello, probabilmente naviga nella pancia, in una zona franca a due passi dall’istinto. Istintivamente il tuo film non mi ha “parlato”, è afono, inebetito. È solo un film, gente che recita davanti ad una macchina da presa, non c’è storia dietro, non ho visto niente oltre, solo un coso in cui pisciare.
Già, una pellicola anestetizzata dal modo in cui è girata, e non basta neanche un pompino (con fallo finto, suppongo) come prologo ed epilogo della storia per andare un po’ più in là.
è un film davvero ostico, che vive essenzialmente di una forza visiva non indifferente. Risulta pretenzioso per alcune scelte stilistiche, ma è potente. Il discorso del film è tutto nella dicotomia tra carnalità e spiritualità o tra sacro e profano: il contatto sessuale con Anna che porta alla redenzione / quell'assenza di amore tra le braccia di una moglie definita tale da un rito religioso come il matrimonio. Tutti sono prigionieri dei loro ruoli e non riescono ad uscirne, persino Anna è una prostituta e non potrebbe mai amare Marcos come una moglie. Anna è come Dio, per Marcos, è una figura angelica, che diventa la voce della sua coscienza. A un certo punto deve "ucciderla" per permettere a questa coscienza di esistere e di non profanarsi nel mondo (prostituzione). E' una visione tremendamente e oscuramente religiosa (che ricorda un pò Dumont in Hadewijch, quell'amore di Celine così forte che genera una violenza altrettanto forte nella sequenza dell'attentato).
RispondiEliminaLa sequenza della Basilica visivamente è disturbante, sia a livello di inquadrature, luci, tensione e recitazione. E nel finale quella dicotomia deflagra metaforicamente: le campane della basilica prive di voce/amore, mentre quel rapporto sessuale pieno di voce/amore (l'unico momento del film in cui Marcus rivela il suo cuore).
Non un capolavoro, un pò di umilità registica lo avrebbe reso tale. Sarò folle, per molti, ma per me è meglio di Silent Light!
Inutile dire che dovrei rivederlo anche perché al tempo non avevo la benché minima idea di chi fosse Reygadas e quindi mi ero addirittura permesso di sparare a zero facendo paralleli non propriamente adeguati. Vabbè. Peccati di gioventù. Prendo atto del tuo parere J. ma rimango dell'idea che Silent Light sia qualche gradino sopra.
RispondiEliminasi, io un'altra occhiata gli e la darei se fossi al posto tuo! Comunque non preoccuparti, si era intuito che l'avevi visto in un momento in cui ti eri trovato di fronte a qualcosa di completamente inaspettato. Di solito quando è così, le reazioni sono sempre così aggressive. Capita anche a me.
RispondiEliminaTi dirò il film ce l'ho ancora nel cervello... forse è cosa positiva, ma non ti nascondo che mi ha dato un fastidio terribile, come pochi film sono riusciti a fare.
Riconosco la qualità estetica indubbiamente superiore di Silent Light, ma per me quell'opera è davvero un esercizio di stile.
A questo punto sono curioso della tua opinione su Post Tenebras Lux, per me è una vetta superata soltanto da Japon, nonché il miglior film insieme ad Holy Motors uscito nelle nostre sale (sebbene poche). Praticamente, un capolavoro.
RispondiEliminaAnch'io sono molto curioso di vedere Post Tenebras Lux (l'ho reperito, mi mancano solo i sub, devo aspettare qualche anima pia, non mi azzardo con l'inglese), comunque sono sempre più convinto che Reygadas è il migliore regista vivente. Ha portato delle innovazioni nel linguaggio cinematografico sconvolgenti (pensando ancora oggi a Battaglia nel cielo, che secondo me è stato veramente frainteso, ribadisco e sottolineo che gli ultimi dieci minuti sono sconvolgenti nel delineare la morte del Cristianesimo), che in teoria non saprei argomentare dettagliatamente, ma che si sentono molto. E il fatto straordinario che ogni suo film è "diverso", è semplicemente un merito enorme. E' avanti quanto Dumont, ma ha quel guizzo di originalità e sovversività che ti sorprende.
RispondiEliminaTi ringrazio di cuore per avermi portato in comunione con questo autore, visto che l'ho conosciuto tramite il tuo consiglio.
Hai colto nel segno quando dici che "ogni suo film è diverso", lo penso anche io: il fatto che Reygadas non sia uno che cristallizza la forma lo rende già degno di attenzione, se poi andiamo a vedere quali sono i frutti del suo lavoro allora sì, abbiamo probabilmente a che fare con un genio. E vedrai la carica innovativa di PTL allora! Io che ho avuto la fortuna di vederlo al cinema posso dirti che non mi era mai capitato di vivere un'esperienza filmica di tale portata.
RispondiEliminaGrazie a te che poi hai la voglia di condividere i tuoi pensieri.