giovedì 10 settembre 2009

Cappuccetto Rosso

All’inizio, poco dopo i crediti iniziali, accade una cosa impossibile: due ragazzini che discutono amabilmente di Mario Bava. “Mario chi?” domanderebbe la maggior parte degli adolescenti di oggi ignari del fatto che molte pellicole d’oltreoceano da loro divinizzate sono debitrici alle opere di Bava, Fulci e Massaccesi. Registi vivi come non mai, testimoni di un cinema che non c'è più. Per fortuna ci sono giovani che a differenza dei loro coetanei non solo apprezzano il cinema di genere italiano, ma lo studiano, lo tastano e lo (ri)vivono. Stefano Simone è uno di questi. Simone è un giovanissimo regista indipendente che a dispetto della sua età ha già all’attivo una dozzina di cortometraggi. Questo è tratto da un racconto di Gordiano Lupi contenuto nel libro Cattive storie di provincia (A.CAR, 2009). Come da titolo il corto si rifà alla fiaba che più ha influenzato il cinema dell’orrore, probabilmente perché si presta facilmente (come tutte le fiabe) ad un’interpretazione paurosa. Gli stilemi della favola classica ci sono tutti anche se rimescolati per dare vita ad un ribaltamento narrativo dei vari personaggi. Partendo dal presupposto che Cappuccetto Rosso è soltanto un divertissement (parole di Simone) mi preme sottolineare di come il film giochi sugli stereotipi che caratterizzano questo genere. Il ragazzino timido e credulone si contrappone al villain scaltro e ammaliante, non si tratta di superficialità di caratterizzazione, sono le regole del gioco. Ovvio che abituati come siamo ad un certo tipo di cinema la recitazione (probabilmente il tallone d’Achille del film) risulterà grossolana facendo perdere pathos ad un finale bello splatteroso che sovverte le regole sopraccitate, ma così è, non tutti possono permettersi di essere prodotti dalla Columbia Pictures. A far da contraltare alla prova attoriale c’è un buon uso della mdp che azzecca gli stacchi giusti nel far rifiatare lo spettatore con panoramiche del paesaggio. Notevoli anche le musiche di argentiana memoria di Luca Auriemma. Infine, vorrei citare l’aspetto che a parer mio è riuscito meglio a Simone: l’illuminazione. Ottima, in particolare nel miscelare le fonti luminose che colpiscono i visi degli attori donando loro un aspetto sinistro, in particolar modo nelle sequenze finali. Non deve essere semplice, un bravo al regista. Regista che ammiro profondamente non solo perché è in grado di imprimere le sue idee su pellicola, questo apprezzamento vale un po’ per tutti quelli che stanno al di là dello schermo mentre io me ne sto mesto aldiquà, ma soprattutto perché ha avuto l’onore di sedersi di fronte a Deodato e farci una bella chiacchierata. Argomento il cinema: quello che non c’è più, ma che forse un giorno ritornerà, magari anche grazie a Simone.

1 commento:

  1. Perfettamente daccordo con la recensione che esalta la musica di argentiana memoria e le riprese e mette in risalto le pecche degli attori (davvero pessime). Comunque ne consiglio la visione di Cappuccetto rosso.
    MARCELLO PROIETTI

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