giovedì 17 settembre 2009

Due volte lei

Alain e Bénédicte Getty sono una coppietta deliziosa e tutto va a meraviglia. Ma all’improvviso due eventi turbano l’equilibrio perfetto: il primo è il ritrovamento di un lemming (roditore artico) nello scarico del lavandino, e il secondo è l’incontro con Alice Pollock, moglie inquietante di Richard, capo di Alain. Un giorno Alice entra in casa Getty per farsi un sonnellino, si chiude nella camera degli ospiti e si spara un colpo in testa. Da questo momento Bénédicte sembra assumere la personalità di Alice.

Ancora una volta complimenti alla distribuzione italiana che passa con disinvoltura da un semplice Lemming ad un allusivo, hitchcockianamente parlando, Due volte lei. Olè, bravi!
Brava, invece, lo è per davvero Charlotte Rampling, indimenticabile con le sue bretelle ne Il portiere di notte (1974), che interpreta Alice. È chiaramente una spanna sopra tutti gli altri attori, tant’è che se proprio volete guardare Due volte lei, il suo personaggio è l’unico valido motivo. È talmente brava che annulla la “copia” Bénédicte (Charlotte Gainsbourg), adorabile come mogliettina ma incapace d’essere credibile nel ruolo della consorte cinica. E pur morendo a neanche un quarto di film, la Rampling aleggia fino all’ultimo istante, non per niente l’immagine che chiude il tutto è una sua foto in bianco e nero. Un tale carisma deriva forse da uno sguardo che è stato giustamente definito acquoso, e che nella sua sfuggevolezza riesce a far rabbrividire. Correggetemi se sbaglio: Purtroppo tutto il resto non gira a dovere.
La storia ha momenti di tensione ben calibrati (il suicidio di Alice su tutti) che incollano lo spettatore alla poltrona, ma a controbilanciare ci sono sequenze noiosette in cui traspare una palese rigidità degli attori nel dialogare, rendendo innaturali molte scene. Il doppiaggio potrebbe aver fatto un cattivo lavoro, ma alla base c’è una sceneggiatura un po’ povera.
La faccenda del lemming/Alice che rompe l’idillio borghese mi ha ricordato Visitor Q (2001) di Miike che a sua volta si rifà al pasoliniano Teorema (1968), anche se qui l’impatto che il visitatore ha sulla coppia è ripreso da un’angolazione che mostra per il gusto di mostrare senza impegnarsi granché sotto il profilo socio-psicologico.
Come i critici hanno evidenziato i rimandi ad altre opere sono molteplici: si va da Lynch a Chabrol passando per Kubrick, in un melting pot cinematografico vedibile ma non indimenticabile.

4 commenti:

  1. Sì, non indimenticabile; un po' pesante, per molti versi pretenzioso e a vuoto, o come dici tu "noiosetto". Però comunque non troppo alla svelta liquidabile, per quanto mi riguarda, se non altro perché imita -- magari più per maniera che per crederci troppo -- cose ed atmosfere che in ogni caso si vedono raramente. E alla fine, anche una cosa modesta e confusa com'è sostanzialmente questo film, se visto nel mezzo del resto, un po' si fa ricordare. Almeno, io me lo ricordo abbastanza ancora un anno dopo averlo visto.

    RispondiElimina
  2. Sono questi i commenti che fanno felice un blogger (ci accontentiamo di poco), non perché si allinea al mio pensiero, ma perché è argomentato, ragionato, conciso ma con significato.
    Non si limitia ad un "non capisci un cazzo"; che poi è anche vero, ma una spiegazione sul motivo per cui non capisco una verga sarebbe quantomeno gradita.

    Grazie.

    RispondiElimina
  3. Ma grazie a te, e complimenti per il blog. Mi hai ricordato nelle prime due pagine che devo recuperare "Battaglia nel cielo" (indipendentemente dal fatto che molto probabilmente avrai ragione, ma dato il caso che è stato quel film mi conviene sempre controllare per i fatti miei) e "XXY". Tornerò a leggerti a visioni ultimate.

    RispondiElimina