Maniac (2011) potrebbe essere giudicato in una manciata di righe: nel leggere la sinossi il senso dell’operazione è piuttosto lampante per cui ogni passaggio risente un po’ di questa mono-dimensione concettuale che mette di fronte chi vede (lo spettatore) e ciò che è visto (i due assassini). Però se la regia porta la firma di Shia LaBeouf, proprio quel LaBeouf protagonista di giga-produzioni americane, allora ci si allieta un goccio, ovviamente senza particolare trasporto, però sapere il ragazzo non artisticamente omologato dalle pellicole in cui ha recitato trasmette una microscopica dose di stupore. Perché in fondo il cortometraggio non è malaccio, perlomeno l’attore losangelino si gioca la carta di una fotografia metallica, un b/n iridescente lontano dalle solite tinte a stelle e strisce, e poi opta per soluzioni tecniche che denotano un minimo ed anche più di attenzione alla forma: l’iniziale carrello laterale, gli accorgimenti (tarantiniani) come i sicari che discutono al ristorante o lo schizzo di sangue che macchia la lente della mdp, robetta tra l’ordinario e non che fila via senza arrecare disturbo.
È però sul piano “sperimentale” che si poteva sviluppare meglio il film, perché a prescindere dai richiami di genere, è palesemente nell’apertura meta che LaBeouf vorrebbe lasciare il segno. L’idea è decente (ma pare riciclata da un film non visto dal sottoscritto: Man Bites Dog, 1992) e, se vogliamo esagerare, anche intrigante, soltanto che non è sfruttata adeguatamente, in altre parole ad esclusione di un momento in cui uno dei due killer (è Kid Cudi!) interagisce con chi sorregge la cinepresa offrendogli una caramella, per tutto il resto dell’opera il possibile gioco tra realtà e finzione, cruccio di molti autori esorbitanti (vedi Lynch), viene ovviato lasciando agli atti soltanto le malefatte dei sicari che francamente sono prive di sprazzi interessanti (agguati nel parco, irruzioni in camere da hotel, uccisioni di coppiette appartate). Poi sì, con il finale l’obiettivo sarebbe quello di piazzare la zampata, non solo allegorica, in grado di rovesciare gli assiomi (l’osservatore cade sotto i colpi dell’osservato), ma c’è un odore di forzatura che non convince appieno, sensazioni che spingono a pensare di come le sorti di un progetto ambizioso potevano avere riuscita migliore, resta il fatto che Shia LaBeouf non ha neanche trent’anni e se non si fa plagiare troppo da Bay e compagnia cantante ha in un film come Maniac una discreta base da cui partire.