Escludendo l’intrigante documentario Van élet a halál elött? (2002), Rengeteg (2003) è il primo effettivo passo di Benedek Fliegauf nel mondo del cinema, un film compiuto con una sua precisa identità che palesa già una certa stoffa registica da non sottovalutare, si tratta infatti di una carrellata di spaccati conversativi dove Fliegauf stringe la cornice in modo oppressivo sul volto degli attori che vengono ripresi con movimenti così nevrotici da far sembrare che il magiaro al posto della testa abbia una macchina da presa.
Le scenette che si susseguono, indipendenti le une dalle altre, edificano un tipo di coralità decisamente atipica [1] appunto perché non vi è alcun tipo di contatto fra gli uomini e le donne che a turno si avvicendano nella storia. In realtà Fliegauf piazza qualche lampo pseudo-collante nei raccordi tra un passaggio e l’altro (ad esempio se si osserva bene è possibile vedere per una frazione di secondo l’aspirante suicida intento a svolgere le proprie faccende), senza contare che nel prologo (riattaccato in fondo al film con un piccolo dettaglio in più) tutti i personaggi si trovano nel medesimo luogo, ma al di là di questi dettagli l’isolamento di ogni singolo pezzetto rende la pellicola decisamente anomala, una vera e propria scommessa che per quanto concerne il sottoscritto Fliegauf ha vinto alla grande.
La varietà degli argomenti affrontati e la loro assoluta diversità, si va da momenti grotteschi come quello del pescegatto ad altri realistici con problemi di coppia e così via, sottendono però un comune denominatore che si esprime subdolamente in un malessere strisciante dentro ad ogni parola sputata, urlata, insalivata dalla fragilità umana; il logos si adombra, sgocciola lacrime nere, si manifesta marcescente in espressioni di rabbia coniugale, di gelosia paterna, di delusione personale, e illustra pieghe che hanno un retrogusto maligno dove Fliegauf suscita un’inquietudine toccabile, scomoda, penetrante (e due sono gli episodi a cui riferirsi dove affiora l’indicibile potenza del fuori campo: il primo è quando due amiconi parlano di qualcosa che è lì davanti a loro ma che noi non vedremo mai, mentre il secondo giunge in coda ad uno dei segmenti meno incisivi – quello in cui una ragazza rimembra la nonna cattiva – che però ha nello sguardo allucinato della giovane tutta l’inesplorabilità dell’abisso).
Rengeteg è cinema intraprendente perché schiva il preconfezionamento della Spiegazione, racconta tracciando una serie di aneddoti la cui disorganicità rende comunque un senso di insieme che non trasmette niente di buono, ed è disinteressato a chiudere convenzionalmente con un sicuro the end preferendo la scomodità del dubbio. Merita.
_____[1] Una similare versione di “film corale” è stata fornita da Ruben Östlund con il suo Involuntary (2008).
Mi piacque Womb e Dealer ce l'ho lì su you tube; insomma, so dove trovarlo e lo vedrò al più presto, ma Rengeteg ho difficoltà a reperirlo.
RispondiEliminaSe mi dessi una dritta in tal senso, te ne sarei grato, Jean Claude.
Io l'ho beccato su eutorrents.me dove c'è tutta la filmografia di Fliegauf, solo che quel portale non tiene sempre aperte le iscrizioni, guarda un po' se è possibile registrarsi, altrimenti sì, ricordo anche io che in giro non si trovava.
RispondiEliminaDealer piaciuto tanto, Womb poco.
forse qui:
RispondiEliminahttp://www.filmvadasz.info/2011/08/rengeteg.html
Finalmente l'ho visto. Un'altra conferma su Fliegauf senza dubbio, anche se Dealer l'ho apprezzato un tantino in più. Personalmente il suo punto a favore stà in quella circolarità di ripresa e nel comparto sonoro, però a livello dialogico si equivalgono, anzi, certi segmenti di Rengeteg sono veramente inquietanti. A me ha colpito parecchio anche il biologo terrorizzato dallo sviluppo della figlia...
RispondiEliminaDiciamo che è un bell'antipasto prima di Dealer.
RispondiEliminaE dato che Fliegauf l'ho visto tutto (esclusi alcuni corti) mi sento di dire che sì, Dealer è il suo film migliore fino ad oggi.