Roman Kogler, detenuto in
un carcere minorile, trova lavoro in una agenzia di pompe funebri.
Difficile parlare in
termini classici di bildungsroman in riferimento al
protagonista di Atmen (2011), perché Kogler rispetto
alla maggior parte dei diciannovenni ha vissuto situazioni
decisamente adulte come l’assenza di una famiglia, un omicidio
(involontario) e la dura legge della prigione. Però il
viennese Karl Markovics, attore di lungo corso e per la prima volta
dietro la macchina da presa, è di una crescita che ci vuole
parlare, di un percorso evolutivo che riguarda il giovane Kogler e la
sua necessità di ricongiungersi al passato, a quel grembo
materno da cui è stato allontanato troppo presto. E la
compagna con cui Roman deve convivere per scoprire quella parte della
sua vita negatagli e, quindi, automaticamente crescere, ovviamente
non anagraficamente, è la morte vista da vicino, toccata con
mano, rimirata con l’occhio dell’innocenza, sedimentata nelle
narici e sulla pelle, ché nemmeno il sapone più potente
del mondo riuscirebbe a detergere.
Il carico drammatico
proposto dal regista è soddisfacente, anche perché
celato da una via di trasmissione decisamente rigorosa (sì,
potremmo definirla “austriaca”) che trattiene nella forma
qualsiasi acuto. La cristallizzazione delle emozioni, negative o
positive, si appaia perciò a quel metodo così
distaccato che ha reso l’Austria uno dei paesi europei sulla cresta dell’onda in fatto di cinema autoriale. Breathing ci prova
ad infilarsi nella scia degli ormai arcinoti connazionali e in alcuni
passaggi ci riesce, in particolare quelli in cui si pressa il bottone
del sarcasmo (l’incontro con la tipa sul treno e le conseguenze…
alcoliche; la conoscenza con la madre che non è di certo il
tipo di mamma ideale) e quelli indiscutibilmente “forti” come la
vestizione dell’anziana morta (ma anche qui orecchio a ciò
che dice il parente fuori campo) e la rivelazione materna che dà
sostanza al titolo e allo stesso tempo indirizza il prosieguo di
Roman: dopo tanta apnea, adesso si può respirare.
Tante cose bene dunque,
resta solo qualche dubbio ex post che, se apposta una lente
comprensiva dell’insieme, suggerisce l’impressione di come dati
certi antefatti (ad esempio l’assassinio di Kogler poteva essere
più presente durante la storia) alla fine l’incisione sullo
spettatore possedeva le carte in regola per essere ben maggiore di uno
scorrimento che è sì tangente ma non seriamente lesivo,
cinema, insomma, guardabile, per la memorabilità i lavori sono
ancora in corso.