Presentato a Cannes 2008, Delta è un film ungherese diretto da Kornél Mundruczó, discepolo del rinomato Béla Tarr, qui nelle vesti non ufficiali di aiuto-regista, principale esponente del cinema magiaro contemporaneo.
La storia racconta di un ragazzo silenzioso che ritorna nella sua casa sulle rive del Danubio. L’ambiente domestico non è dei migliori a causa del burbero patrigno, così decide di trasferirsi in una capanna sul fiume. La sorella, creatura delicata ma tenace, lo segue abbandonando la famiglia. I due fratelli iniziano a costruire una casa-palafitta sulle acque calme, ma la piccola comunità fluviale non vede di buon occhio la loro convivenza.
C’è molta maestria dietro questo film. Mundruczó riesce nella difficile impresa di rendere vivo il paesaggio che non risulta essere un contorno messo lì tanto per, e nemmeno uno sfondo piazzato per puro senso estetico. No, le acque del fiume, l’erba, il vento e la pioggia sono elementi meravigliosamente vivi, palpitanti, reali. La bellezza della natura contrasta con la bassezza degli uomini. Viene da domandarsi come sia possibile che in un posto così incantevole gli esseri umani riescano ad essere tanto meschini…
Quindi il paesaggio fa da contraltare all’infido villaggio che guarda di sottecchi i due fratelli, la cui relazione, incestuosa o meno che sia, non viene mai ripresa per il gusto di mostrare. L’unica effusione tra i due è un bacio che però avviene fuori campo, noi vediamo soltanto in Dettaglio i piedi della sorella che si alzano sulle punte.
Anche la violenza non viene mai messa in risalto. Lo stupro del patrigno è ripreso da molto lontano; l’unica cosa percepibile sono le urla della ragazza. Stessa “filosofia” nel finale, fotografato divinamente con quella lunga passerella sull’acqua che si perde nel buio, dove l’accoltellamento del fratello è celato allo spettatore. E prima che una ripresa aerea inquadri il suo giubbotto scorrere sul pelo dell’acqua, appare per un paio di secondi una schermata nera. Non è la classica dissolvenza in nero perché dura un pochino di più, ma può essere definita ugualmente silenzio visivo. In quel momento la narrazione si blocca, non si sa quanto tempo sia passato: una notte? Un anno? Resta solo una giacca che naviga solitaria nel fiume mentre la natura, maestosa e inafferrabile come sempre, resta impassibile anche all’orrore degli uomini.
C’è di cui pensare.
Ho dimenticato di dire una cosa.
Delta è un film che verrebbe definito cinema d’autore, o arthouse, o film d’essai. A dire il vero non so se siano esattamente dei sinonimi questi termini, ma credo che riescano a rendere bene l’idea di un film che non è stato pensato per vendere al botteghino, nelle nostre sale non c’è arrivato e dubito che mai ci arriverà, ma che rappresenta, come dice Exxagon: “la genuina espressione del proprio punto di vista [del regista], come le più vere espressioni artistiche”. Ciò significa che se vorrete guardare Delta sappiate che andate incontro a lunghe sequenze di silenzio, a dialoghi stringati e “cartoline” paesaggistiche molto suggestive ma che potrebbero anche annoiare.
Si tratta di abitudine. Io ormai questo tipo di cinema riesco ad apprezzarlo in toto, probabilmente un fan sfegatato del live action non andrebbe oltre i primi dieci minuti. Il che non vuol dire che l’amante di un film Marvel non capisca niente di cinema, anche perché a me, ad esempio, lo Spider-Man di Raimi piace una cifra, è solo una questione d’abitudine. Ci sono film “impegnati” che fanno pena e “americanate” che non smetterei mai di guardare. Basta essere obiettivi e non avere pregiudizi…
Vabbè mi sono dilungato troppo: Delta è un buon film.
La storia racconta di un ragazzo silenzioso che ritorna nella sua casa sulle rive del Danubio. L’ambiente domestico non è dei migliori a causa del burbero patrigno, così decide di trasferirsi in una capanna sul fiume. La sorella, creatura delicata ma tenace, lo segue abbandonando la famiglia. I due fratelli iniziano a costruire una casa-palafitta sulle acque calme, ma la piccola comunità fluviale non vede di buon occhio la loro convivenza.
C’è molta maestria dietro questo film. Mundruczó riesce nella difficile impresa di rendere vivo il paesaggio che non risulta essere un contorno messo lì tanto per, e nemmeno uno sfondo piazzato per puro senso estetico. No, le acque del fiume, l’erba, il vento e la pioggia sono elementi meravigliosamente vivi, palpitanti, reali. La bellezza della natura contrasta con la bassezza degli uomini. Viene da domandarsi come sia possibile che in un posto così incantevole gli esseri umani riescano ad essere tanto meschini…
Quindi il paesaggio fa da contraltare all’infido villaggio che guarda di sottecchi i due fratelli, la cui relazione, incestuosa o meno che sia, non viene mai ripresa per il gusto di mostrare. L’unica effusione tra i due è un bacio che però avviene fuori campo, noi vediamo soltanto in Dettaglio i piedi della sorella che si alzano sulle punte.
Anche la violenza non viene mai messa in risalto. Lo stupro del patrigno è ripreso da molto lontano; l’unica cosa percepibile sono le urla della ragazza. Stessa “filosofia” nel finale, fotografato divinamente con quella lunga passerella sull’acqua che si perde nel buio, dove l’accoltellamento del fratello è celato allo spettatore. E prima che una ripresa aerea inquadri il suo giubbotto scorrere sul pelo dell’acqua, appare per un paio di secondi una schermata nera. Non è la classica dissolvenza in nero perché dura un pochino di più, ma può essere definita ugualmente silenzio visivo. In quel momento la narrazione si blocca, non si sa quanto tempo sia passato: una notte? Un anno? Resta solo una giacca che naviga solitaria nel fiume mentre la natura, maestosa e inafferrabile come sempre, resta impassibile anche all’orrore degli uomini.
C’è di cui pensare.
Ho dimenticato di dire una cosa.
Delta è un film che verrebbe definito cinema d’autore, o arthouse, o film d’essai. A dire il vero non so se siano esattamente dei sinonimi questi termini, ma credo che riescano a rendere bene l’idea di un film che non è stato pensato per vendere al botteghino, nelle nostre sale non c’è arrivato e dubito che mai ci arriverà, ma che rappresenta, come dice Exxagon: “la genuina espressione del proprio punto di vista [del regista], come le più vere espressioni artistiche”. Ciò significa che se vorrete guardare Delta sappiate che andate incontro a lunghe sequenze di silenzio, a dialoghi stringati e “cartoline” paesaggistiche molto suggestive ma che potrebbero anche annoiare.
Si tratta di abitudine. Io ormai questo tipo di cinema riesco ad apprezzarlo in toto, probabilmente un fan sfegatato del live action non andrebbe oltre i primi dieci minuti. Il che non vuol dire che l’amante di un film Marvel non capisca niente di cinema, anche perché a me, ad esempio, lo Spider-Man di Raimi piace una cifra, è solo una questione d’abitudine. Ci sono film “impegnati” che fanno pena e “americanate” che non smetterei mai di guardare. Basta essere obiettivi e non avere pregiudizi…
Vabbè mi sono dilungato troppo: Delta è un buon film.
hai scritto cose molto belle e soprattutto corrette,dal mio punto di vista..il film è davvero buono,..ora ti aspetta la balena di bela tarr...il film è LES ARMONIESWERCKMEISTER
RispondiEliminaGrazie! Ma l'hai visto pure tu Delta?
RispondiEliminadiciamo che ho avuto modo...ma in lingua originale con sottotitoli ma non in italiano..per cui me ne son perso qualcoisa,ma quel tuo discorso sulla natura,pensando al fiume,alle immagini,mi è sembrato appropriato..anche tarr l'ho visto sottotitolato in francese,ma francamente la copsa è irrilevante.ci sono momenti di genio puro
RispondiEliminaAnche io ho avuto "lo stesso modo" per vederlo, ma d'altronde non ci sono molte altre alternative...
RispondiEliminaIl film di Tarr che mi hai consigliato ha delle affinità con questo?
francamente non saprei..so solo che è davvero un'opera straordinaria.perlomeno,a me così è parsa.. vedilo,poi dimmi che ne pensi..ah,il "modo" è sempre lo stesso..
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